31^ domenica del tempo ordinario

ECCLESIA SEMPER REFORMANDA

 

Carissimi fedeli,

in questi ultimi tempi ho sentito varie persone preoccupate delle aperture della chiesa cattolica su varie strade, tra le quali quella dell’ecumenismo. Mi pare opportuno offrire una piccola riflessione che possa aiutare la nostra fede nel Signore che guida la storia e che ci conduce su vie forse un tempo insperate. Proprio in questi giorni (31 ottobre) ricorreva il 500° anniversario delle Tesi di Wittemberg, 95 proposizioni affisse da Martin Lutero sulla porta della chiesa del castello della città che anch’io, anni addietro, ho avuto l’occasione di visitare. Lasciamo agli storici stabilire se il fatto sia realmente avvenuto. A tanti anni di distanza, ci offrono una occasione per riflettere, liberi da conflitti, contingenze e tensioni. Dobbiamo prendere atto che quel gesto era anche un desiderio sofferto di rinnovamento nella chiesa di Dio. Il desiderio di conversione è sempre stato, è tutt’ora e deve essere sempre presente nella chiesa. Ma non si trattava né si tratta oggi di una conversione spirituale solo a livello personale ma di una conversione della istituzione-chiesa, che è chiamata ad essere fedele al Vangelo. La chiesa sempre si deve riformare, per essere come il suo Sposo Gesù la vuole. Allora è Gesù che riforma la chiesa, è Dio che chiama con insistenza e che offre il dono della conversione. In quanto istituzione umana, la chiesa va sempre purificata per essere fedele al Signore. Probabilmente l’istituzione umana è stata sorda e così la riforma è stata lacerante e ha dato luogo ad una grave divisione che dura da 5 secoli e che solo in tempi relativamente recenti conosce un faticoso riavvicinamento tra la chiesa cattolica e quella protestante, attraverso il cammino ecumenico. Tutti sentiamo il desiderio di riconciliazione, il Papa ha dato voce, con gesti e parole, a questo anelito comune. Tutti siamo chiamati a convertirci, dal Papa all’ultimo battezzato, e a pregare perché “il Vangelo salvi la chiesa” e perché la chiesa del Signore passi dal conflitto, che sembra ormai attutito, alla comunione, come Gesù ha chiesto al Padre nella preghiera “…siano una cosa sola come io sono in te e tu sei in me”. Ogni giorno la chiesa, con l’aiuto di Dio, deve tentare la sua riforma con l’obbedienza al Vangelo, nell’attesa che il Signore ritorni e trovi la sua Sposa bella e splendente. In questa luce viviamo questo quinto centenario, con la speranza che nuove strade si aprano nell’ecumenismo e la chiesa sia esperienza e modello di pace nel mondo. Nel Battesimo siamo rinati tutti come figli di Dio e come figli suoi vogliamo vivere. Auguro a tutti ogni bene e lascio la parola ai coniugi Francesca e Giuseppe che in queste domeniche ci accompagneranno nella riflessione sul tema accennato in questo mio breve intervento di introduzione, come auspicato nell’ultimo incontro del Consiglio Pastorale Parrocchiale.                                                                                                       Il Parroco Mons. Luciano Nobile

L’idea di Riforma

Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento molte cose cambiano: cambia l’idea del mondo, nasce lo Stato moderno in conseguenza l’impero universale – molto caro a Dante – che avrebbe dovuto tenere insieme l’Europa cristiana comincia a sfaldarsi. Nella Chiesa ritorna con forza l’idea di rinnovamento interiore, richiamo alla penitenza, ritorno alle origini cioè alla vita dei primi cristiani descritta da San Luca negli Atti degli Apostoli. Essa si esprime anche come un ritorno all’antico già presente nei profeti dell’Antico Testamento e inteso come rinascita, nuova creazione, fare nuove tutte le cose.

Questo processo ha sempre accompagnato la Chiesa: la storia del monachesimo è una storia di riforme in seno alla Chiesa in particolare con San Bernardo mentre con San Francesco diventa la realizzazione senza compromessi della vita evangelica. Le tendenze riformistiche interne alla Chiesa, che precedono la riforma vera e propria, sono un tentativo di riportare la Chiesa ad una nuova vita spirituale che nei secoli era andata perduta. Per tutto il Quattrocento si parla di riforma non solo della chiesa – del clero e dei laici, del papato e dei cardinali – ma anche dell’amministrazione dell’impero e delle finanze, della giustizia, delle università e delle scuole. La “Riforma” quindi è una grande speranza che si preannuncia con figure come Hus e Savonarola e costituisce il tema centrale dei concili di Costanza (1414 – 1418) e di Basilea (1431).

La Germania ai tempi di Lutero

All’inizio del Cinquecento la Germania era formata da 30 principati maggiori, 100 tra contee, marche e ducati, 60 città libere imperiali e 50 territori ecclesiastici in totale circa 240 stati. La formazione dello Stato moderno richiedeva sempre maggiori risorse finanziarie e a rimetterci erano i contadini (intesi non come servi della gleba ma come piccoli e medi proprietari terrieri), i cavalieri – che formavano la piccola nobiltà – e stavano perdendo potere a favore dei principi infine il tentativo di appropriarsi delle rendite e dei beni del clero; questi diventeranno fattori molto importanti per il trionfo della Riforma. Infine l’incapacità dei principi tedeschi – la Germania non era riuscita a formarsi come Stato moderno al pari di Francia, Spagna e Inghilterra – di imporsi in modo chiaro e netto sulle pretese della Curia romana. I limiti dei diritti e doveri degli uni e degli altri non erano ben chiari e i principi e le città libere avevano sempre l’impressione che nell’interpretare i concordati la diplomazia pontificia finisse sempre con il prevalere. Questo si trasformò in avversione se non odio viscerale contro le pratiche “romane”. Era uno sfruttamento fiscale della Germania che si concretizzava in continue indulgenze e decime che assieme alla vendita delle cariche al miglior offerente significava un fiume di denaro che dalla Germania prendeva la via di Roma. L’indignazione dei principi contro il papa può essere riassunta in alcune frasi di Ulrich von Hutten, uno dei primi seguaci di Lutero: “nemico mortale della nazione tedesca” e contro Roma “l’inverecondo ludibrio della cristianità”, “la grande divoratrice delle decime di tutto il mondo” (“Roma ladrona” non era ancora stato inventato).

In campo religioso la cosa più importante per un tedesco, dal più potente dei principi al più umile dei servi, era la salvezza dell’anima mentre una nuova forma di intendere il rapporto con Dio – la “via moderna” – si andava affermando in contrapposizione a quella che era la via tradizionale: “via antiqua”. La trattazione di queste due tendenze teologiche esula da questo studio, dirò solo che la “via moderna” considerava il rapporto con Dio e l’esperienza di fede in una visione mistica, personale e intima diversamente dalla “via antiqua” che vedeva la salvezza sotto la guida della Chiesa, non come esperienza personale ma collettiva “extra ecclesia nulla salus”.                                                                                  Francesca e Giuseppe Berton

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