Seconda Domenica di Avvento

IL VANGELO DI LUCA

 

 

Luca giustamente è considerato un evangelista storico. Egli è sensibile alla dimensione del tempo come presente, passato e futuro e conosce bene il loro reciproco rapporto. All’inizio del Vangelo Luca scrive: «…anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scrivere un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto». Lui si rivolge a cristiani della terza generazione, provenienti dal paganesimo. Distanti da Cristo nello spazio e nel tempo, non l’hanno visto quando è venuto né hanno conosciuto coloro che lo videro. Luca vuole che sia chiaro a tutti che non sta iniziando a raccontare una favola, un mito esoterico nato dalla fantasia di un sognatore. Egli intende riferirsi a fatti concreti. L’intervento di Dio nella storia dell’Umanità è avvenuto in un momento e in un luogo ben definiti.

«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria» (2,2-2). Così inizia il racconto della nascita di Gesù. Il censimento di cui parla Luca è l’atto che consacra l’occupazione militare dei romani, dandole la definitiva struttura politica ed economica. E’ un atto di dominio dell’uomo sul uomo. Siamo nel 6 a.C. e Luca sembra indicare un censimento avvenuto nel 6 d.C. L’intento di questa trasposizione è teologica. La salvezza non è una storia fuori dello spazio e del tempo: è una storia con fatti ben precisi e databili. Il Messia entra e nasce in questa storia di potere e di male, entra come colui che serve (22,27), come povero che non ha dove posare il capo (9,59) per guidare i nostri passi nella via della pace, alla ricchezza sostituisce la povertà, al potere il servizio, alla superbia, l’umiltà. Luca vuole anche dichiarare solennemente che il Figlio di Dio si è inserito nella storia universale, che è diventato cittadino del mondo.

«Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommo sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (3,1-2). Il riferimento qui è preciso e importante perché permette di datare l’inizio della vita pubblica di Gesù. In Palestina l’anno comincia il 1° ottobre e allora l’anno decimoquinto di dell’impero di Tiberio si situa tra il 1° ottobre del 27 e il 30 settembre del 28 d.C. Perché Luca fa tutti questi nomi e aggiunge Anna, che sommo sacerdote non era più da 15 anni? L’evangelista vuol raggiungere il numero sette, numero dal grande significato simbolico, significa la totalità. La storia sacra e profana, giudaica e pagana, è coinvolta nell’avvenimento che sta per essere raccontato. E’ un inizio che riguarda tutti i popoli e tutte le istituzioni civili e religiose.

Tutto questo ci serve per capire alcuni aspetti del Vangelo di Luca. Ma è fondamentale ricordare che Luca è l’evangelista sensibile e attento ai bisogni dei poveri, mette in rilievo gli episodi in cui traspare la tenerezza di Gesù verso gli ultimi, gli emarginati, gli esclusi, i peccatori.

Colgo l’occasione per ringraziare tutti a motivo dei saluti che continuamente mi inviate e so che vi interessate del mio stato di salute e pregate per me. Vi sono grato e anch’io vi ricordo nella preghiera al Signore e all’Immacolata: “Sub tuum presidium confugimus, sancta Dei Genetrix…”                                                 Mons. Pietro Romanello

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