2^ Domenica di Avvento

Noi, pastori del XXI secolo (Lc 2, 8-12; 15)

C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia»… Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».

Immaginiamo la scena di qualche secolo fa: i pastori, persone che non sapevano leggere e scrivere, che del mondo conoscevano le terre dove portavano le greggi, i villaggi dove vivevano e, a malapena, la città dove andavano a finire i soldi che di tanto in tanto qualche esattore veniva a riscuotere. Un mondo piccolissimo, fatto solo di ciò che è essenziale, a volte neanche di quello.

In una fredda notte d’inverno, all’improvviso, accade qualcosa di mai visto prima: una luce vivida nel cielo, una voce che dice che in una mangiatoia c’è un neonato: ma quel neonato non è un bambino qualunque, bensì quel Salvatore nel quale i loro padri, i loro nonni e i nonni dei loro nonni tanto avevano sempre sperato.

Proviamo a immaginare cosa si saranno detti: “Ma, cosa è successo?”…“Hai visto anche tu?”…”No, non può essere” “Ma…”. Finché uno di loro, forse il più saggio o il più povero, il più vecchio o quello che tutti consideravano il più sciocco, non disse la frase che tutti avevano in mente: “Andiamo a vedere quello che solo il Signore può averci detto.”

Spostiamo l’orizzonte temporale di qualche secolo, e veniamo ai nostri giorni. Noi, persone più o meno istruite, abituate a ricevere ogni ora enormi quantità di informazioni da televisione, internet o telefonini; noi, talmente abituati alle nuove scoperte ed alle mirabolanti imprese dell’intelletto umano da non stupirci praticamente più davanti a nulla; noi, che abbiamo dei mezzi di trasporto così veloci da farci sembrare il nostro mondo sempre più piccolo.

Cosa faremmo noi se, in una fredda notte d’inverno, ci apparisse una luce ed una voce ci dicesse che Gesù è tornato, come ci aveva promesso duemila anni fa, che è di nuovo tra noi, magari sotto le spoglie di un bambino nato da una coppia di profughi in una tendopoli?

Forse cercheremmo di dare una spiegazione razionale all’accaduto e, non riuscendoci, lo classificheremmo come un fastidioso frutto della nostra immaginazione, come una sorta di allucinazione, personale o collettiva. Magari ne faremmo un brillante post su qualche social network, accompagnato da un’immagine scattata con lo smartphone, in attesa di contare le risposte o i “mi piace” ricevuti.

Oppure, ascoltando la voce di un bambino o di un invalido, di un barbone o di un Papa, andremmo a vedere?

No, non cerchiamo di dare una risposta a questa domanda: qualunque possa essere il frutto del nostro ragionamento non sarebbe adeguato ad un evento di tale portata. Nel momento in cui una simile eventualità dovesse presentarsi, la capacità di dare una risposta ci verrà fornita dal Signore stesso. Se nella notte santa di Betlemme Dio non avesse dato ai pastori la capacità di credere, loro non si sarebbero mai mossi. E se un domani ci venisse tolto il dono della fede, la superbia del nostro intelletto ci renderebbe incapaci di interpretare persino il più evidente dei segni, la più lampante delle verità.

Chi ci darà il segno, ci darà anche la capacità di riconoscerlo. E in quel momento sapremo come rispondere alla voce di chi ci dirà: “andiamo a vedere”.

Carmelo Intersimone

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