33^ Domenica del Tempo Ordinario

CHI SONO IO?  CHI SEI TU?  CHI SIAMO NOI?

 Giornata Mondiale dei Poveri

 

 

 

Fragilità e vulnerabilità

……….Il dramma dell’umanità non sta tanto nella sua fragilità, quanto nel fatto che la fragilità la rende “esposta”, quindi vulnerabile. Chiunque può approfittarne. Ecco perché un qualsiasi contesto umano, una qualsiasi società ha bisogno di darsi delle regole che hanno lo scopo di porre dei limiti a chi può approfittare della fragilità altrui.

Ma vediamo che anche le regole, anche le leggi fanno esse stesse i conti con la fragilità perché sono frutto di un’umanità sempre oscillante tra la paura della sopraffazione da parte dell’altro e la voglia di emergere al di sopra dell’altro… e spesso ad ogni costo. I riferimenti al secolo 20° parlano chiaro di leggi create non per il bene comune ma per quello di una parte a scapito delle altre (pensiamo alle leggi razziali).

E così ci accorgiamo che… i conti non tornano! Anche oggi vediamo che le tante legislazioni sono strapiene di “carte dei diritti”: e quelli dell’uomo, e quelli del bambino o della donna, e quelli delle minoranze etniche o linguistiche o religiose che siano. Eppure abbiamo tutti la impressione che qualcosa (o tanto) non quadri! Perché troppo spesso la salvaguardia dei diritti di qualcuno va a scapito dei diritti di qualcun altro. Pensiamo alla famosa 184 (legge sull’aborto).

Io poi resto sconvolto quando sento parlare di altre leggi di fronte alle quali ogni essere della terra sembra inchinarsi referenzialmente: le “leggi del mercato”! E mi immagino il “grande fratello” che sa tutto, segue tutto e determina tutto! Popoli e nazioni sembrano non avere alcuna forza di fronte alle cosiddette leggi del mercato che sembrano rispondere a interessi di ben pochi a scapito del resto del mondo.

Sono rimasto scioccato quando ho sentito che, con la crisi economica degli scorsi anni il numero dei ricchi in Italia, anziché diminuire, è cresciuto di 22 mila unità. Ma allora la crisi per chi c’è stata?

Come sono rimasto stordito dalla notizia che gli 8 uomini più ricchi al mondo possiedono quanto possiedono i 3 miliardi di persone più povere (un terzo dell’intera umanità).

Noi viviamo in mezzo alla fragilità, viviamo la fragilità della nostra stessa società, che diciamo evoluta, ma dove vediamo intere categorie che sembrano escluse! Basta avere un cognome che dice una precisa appartenenza e il lavoro non si trova. Basta dire che sei in attesa di un figlio e il lavoro, se ce l’hai, rischi di perderlo. Se non sei funzionale al sistema non hai prospettive! Guardiamo a come la nostra politica gestisce la grande questione dell’immigrazione dove sembra che il problema si riduca al decidere se tenere aperte o chiudere le frontiere, piuttosto che capire (e ammettere) le cause storiche (ma anche quelle ancora attuali) che stanno determinando questa movimentazione di milioni e milioni di persone.

Si ha l’impressione, almeno guardando la storia, che non ci siano molte speranze… a meno che…

Caritas e ascolto nell’Antico Testamento

… a meno che non ci sia la disponibilità a porsi seriamente una grande domanda: o meglio due domande che in realtà sono le due facce della stessa medaglia: Chi sono io? Chi è quello che mi sta di fronte? Una domanda a cui non può non rispondere ciascuno di noi. È – essenzialmente – il tentativo delle tante “religioni” che vogliono aiutare ad offrire risposte di senso piuttosto che soluzioni meramente funzionali ad un sistema. Ci riescono? Non ci riescono? Credo non sia così facile rispondere.

Noi siamo figli della cultura e della fede ebraica. Anche noi figli di Abramo, come gli ebrei e come i musulmani (Poi si può anche discutere chi ha per madre Sara o Agar!). Perché siamo i discepoli di un ebreo che non intendeva fondare un’altra religione ma portare a pienezza di senso di quella che lui stesso aveva fatta propria e vissuta fino in fondo… È proprio dentro quel contesto culturale e religioso che dobbiamo guardare a Gesù – Colui che noi accogliamo come piena rivelazione di Dio ma anche come piena rivelazione dell’uomo!

Lui stesso era stato educato (prima di portare a pienezza il senso di questa identità) nella prospettiva della paternità (ma anche della maternità, e ancora della nuzialità) di Dio. Di conseguenza era stato educato anche a quello di fraternità. Perché il Dio d’Israele si rivela come il Signore e Padre del suo popolo, che dà al suo popolo “Parole” di vita e per la vita. E in queste parole di vita chiede al suo popolo di fidarsi di lui ed esclusivamente di lui, e di rapportarsi con quelli del proprio popolo nel pieno rispetto dell’altro, della sua vita, delle sue relazioni, delle sue cose.

I testi del Levitico e del Deuteronomio sono la descrizione di un progetto dentro il quale è escluso ogni tipo di sopraffazione nei confronti del “prossimo”. Ed è interessante vedere come sia presente – nella legislazione mosaica – l’attenzione alle categorie che oggi potremmo definire “a rischio”: i poveri (anawim).

Pensiamo alla grande intuizione dell’anno sabbatico, che ogni 50° anno prevedeva la restituzione delle proprietà confiscate a chi non era in grado di pagare i propri debiti. Pensiamo alla proibizione, nei confronti dei proprietari di terreni coltivati, di andare a spigolare dopo la mietitura, al fine di permettere ai poveri di poter raccogliere qualcosa che li aiutasse a sopravvivere. Pensiamo all’attenzione richiesta nei confronti degli orfani e delle vedove che non erano in grado, data la morte del capofamiglia, di provvedere al proprio mantenimento. Ma pensiamo anche al forestiero, la cui presenza era considerata sacra. Nel forestiero era Dio stesso che si presentava: l’accoglienza, l’ospitalità al forestiero bisognoso era accoglienza e ospitalità nei confronti di Dio. Pensiamo ancora all’impegno di restituire, prima della notte, il mantello preso in pegno… perché è la coperta del povero. E potremmo continuare.

Però credo che possiamo dire – pur nel pieno rispetto di una cultura religiosa sicuramente “progredita” rispetto quelle circostanti e che trovava nell’unicità di Dio la propria forza – che si trattava ancora di un “sistema etnico, culturale e religioso” mirante all’autodifesa e all’autoconservazione (la storia successiva del popolo ebraico ce lo dimostra).

Gesù si pone come vero “spartiacque” tra la concezione di Dio che è “Padre”, ma fondamentalmente soltanto del “popolo che si è scelto come sua eredità” (pensate come anche certe espressioni dicono la profonda convinzione dell’ebreo!) ma solo “Signore” (potremmo dire anche “patrigno”) di chi ebreo non era, e la concezione di Dio Padre di ogni uomo e donna della terra dove non esiste più una separazione tra figli e servi, o tra figli e figliastri.                                                                                            don Roberto Gabassi

(continua)