Carissimi parrocchiani e fedeli che frequentate la cattedrale, è sempre bello e a me gradito poter rivolgere a voi gli auguri di Natale. Lo faccio da 15 anni ormai e sono felice di annunciare sempre la stessa bella notizia che Gesù si è incarnato in mezzo a noi e perciò ancora quest’anno canteremo: “Dio si è fatto come noi, per farci come Lui”.
Nostalgia del S. Natale
Ogni anno sento la nostalgia del Natale e non mi vergogno, del Natale della mia infanzia. La preparazione incominciava abbastanza presto. Si doveva mettere una tavola nell’angolo a sinistra entrando in cucina, che era anche sala da pranzo e salotto. Tutto era in un’unica stanza e perciò anche il presepio era parte di noi. Il tavolo era abbastanza grande per ospitare e sostenere anche le montagne che erano resti di ceppaie di gelso portate a casa dalla campagna per bruciare sul fuoco ma che, per l’occasione, diventavano monti con grotte da cui scendeva il fiume simulato da una striscia di carta argentata, recuperata chissà dove… per formare poi un laghetto rappresentato da un frammento di specchio trovato in qualche fosso del paese. Ma occorreva anche il muschio per coprire tutta la tavola ed allora andavamo in campagna sui crinali dei fossi o lungo qualche scarpata che custodiva qualche larga macchia di muschio soffice e profumato, specialmente nelle zone più ombreggiate. Doveva essere il migliore, il muschio più bello e raccolto a zolle perché così restava unito ed un po’ umido per mantenere il suo colore verde e durare a lungo. Su questo prato fresco ed accogliente trovavano posto tutti i personaggi del Presepio che ogni anno aumentavano di numero. Le “statuine” di carta ritagliate da qualche libro e rinforzate con cartone incollato ad ognuna con la colla di farina di frumento impastata con l’acqua, erano sostenute da un listello di materiale più consistente perché non cadessero al primo soffio di vento o colpo d’aria che entrava all’aprirsi della porta di casa. Ogni precauzione però era inutile quando un nemico, durante la notte, con un balzo felino e veloce, entrava con passo felpato e silenzioso in mezzo alle statuine ignare e immobili. Era il gatto, sornione e giocherellone durante il giorno, dispettoso e traditore durante la notte. Al suo passaggio, nell’oscurità e nel silenzio, tutte le statuine cadevano restando prone o supine sul muschio, come innocenti caduti sui campi di battaglia. Al mattino le ricomponevo nella loro posizione naturale, una in piedi, l’altra seduta, una terza in ginocchio o comunque nella posizione indicata dal suo mestiere e dal compito che stava svolgendo. Il gatto, sacrilego, non si limitava soltanto a procurare questo devastante scompiglio ma si accomodava all’ingresso della capanna, facendo scomparire dietro di sé, sia la sacra famiglia che il bue e l’asinello. Inutili erano le mie rimostranze quotidiane e le sgridate mattutine, sia perché fuggiva spaventato al sentirmi alzar la voce, sia perché non capiva come mai lui non potesse fare da statuina vivente accanto alle altre, vicino alle pecore, a debita distanza dal cane dei pastori, in mezzo alle galline e alle anatre come era solito passeggiare nel cortile di casa. Poi venne l’epoca delle statuine vere. Erano fatte di gesso, bellissime, colorate. Le avevo viste solo in chiesa. Mi incantavano. Non vedevo l’ora di poterle comperare ma nel mio paese nessun negozio le vendeva e poi non c’erano letteralmente i soldi per comperarle. La fantasia però, nel momento del bisogno, ci veniva benevolmente incontro per racimolare qualche risparmio. Ci affidammo ad Angelino che veniva a scuola a Udine, dove c’erano i negozi di oggetti religiosi. Lo aspettavamo sulla piazza verso le sette di sera, prima della novena di Natale, quando lui rientrava con la corriera che si annunciava col suo caratteristico suono di clacson, noto a tutti anche oggi. Già al sentirlo mi saliva il cuore in gola per l’emozione ed accelerava i suoi battiti per la gioia di poter ammirare le statuine di terracotta colorata, ancora avvolte nella carta di giornale. Vorrei assaporare ancora questa emozione, forse ritenuta di poco conto e non degna di nota ma per me era profonda, attesa per lungo tempo e gustata lentamente come si gusta con piacere un bicchiere d’acqua fresca quando la calura si fa sentire e si anela di giungere ad una fonte. Mio fratello Toni ed io risparmiavamo qualche spicciolo per comperare innanzitutto Gesù Bambino con le braccia spalancate ed il volto sorridente poi la Madonna, inginocchiata a fianco della culla, con le mani giunte e lo sguardo dolce rivolto a Gesù e quindi S. Giuseppe, con la faccia serena e preoccupata insieme, in piedi, appoggiato al suo inseparabile bastone che si doveva cambiare di anno in anno perché andava sempre perso quando si riponeva in una cassetta il Presepio dopo l’Epifania. Non mancavano il bue e l’asino che scaldavano la sacra famiglia, col loro fiato umido e caldo: la scena doveva essere completa nella capanna di Betlemme! Nessun personaggio doveva mancare! Tutti erano necessari. Ricordo che un giorno mio fratello ebbe l’idea di mettere una piccola lampadina anche nella capanna, dato che Gesù era la luce del mondo. Da un’altra stanza tirò il filo elettrico, quello intrecciato di una volta, ma appena acceso l’interruttore il filo iniziò ad ardere dal punto di partenza e piano piano il fuoco stava giungendo al Presepio e solo la prontezza di mio papà, chiamato d’urgenza dalla stalla dove stava lavorando, tolse di mezzo il pericolo prima che capitasse il peggio. Per me il Natale stava lì, davanti ai miei occhi, era la nascita di Gesù, il figlio di Dio. Nasceva a casa mia, dove ero nato anch’io. E per questo lo consideravo mio fratello. Infatti dopo che era nato in chiesa durante la Messa di mezzanotte, in un presepio più grande, al canto del “Gloria in excelsis Deo” intonato dal parroco a voce spiegata…io correvo a casa e subito ponevo la statuina di Gesù Bambino al centro della capanna, al suo posto, sulla paglia che mandava riflessi dorati. Mi pareva di aiutarlo a nascere. Era questa la sorpresa, l’incanto, lo stupore: nasceva anche a casa mia, dove eravamo nati tutti noi. Diventava uno di noi. Non sapevo come e nemmeno perché, non cercavo ragioni o spiegazioni. Era così e basta. A Natale Gesù Bambino doveva nascere anche nel mio Presepio. Fantasia di un bambino di una volta; ed oggi come la posso chiamare? Nostalgia dell’infanzia, sentimentalismi, vecchiaia che avanza? Tutto vero. Ed ognuno ha la libertà di pensarlo. Ma c’è un “ma”…altrimenti quanto detto, anche da me sarebbe considerato un banale ricordo infantile che non regge di fronte a considerazioni giustamente più attuali, profonde ed impegnative.
Gesù nasce oggi a casa nostra
Carissimi, mi accorgo oggi che io non ero lontano dalla verità, anzi, ero inconsciamente nella verità. Vorrei stupirmi ancora adesso. Infatti anche oggi Gesù nasce misteriosamente, questo è un evento che accade a chi apre il cuore, è una realtà che si può vivere nelle nostre case. Anche oggi può essere disturbato e ostacolato ma nulla può uccidere l’attesa che suscita la sua nascita, il desiderio di un ”oltre, un di più”, di un dono che viene dall’alto, di una luce che scende senza abbagliare. Non ci basta quello che vediamo ogni giorno, il cuore è sempre assetato di gioia e di felicità, del volto di Dio. Ed ecco allora alcune certezze che fanno parte della nostra fede. “Il Verbo di Dio si fece carne” in una famiglia. La famiglia è una realtà di salvezza, vince la solitudine, esorcizza la paura del futuro, dona forza per lottare, fa esperimentare la condivisione, abilita alla relazione autentica, favorisce il dialogo, aiuta ad aprirsi a rapporti di rispetto e generosità, trasmette la fede e le verità più alte. “Venne ad abitare in mezzo a noi”. Egli è solidale con noi e ci insegna a restare uniti tra noi in modo costruttivo, a fare rete tra noi in famiglia, nella realtà lavorativa, nelle istituzioni. Siamo chiamati a camminare concretamente e a sostenerci a vicenda, in modo visibile e fruttuoso. Come ha fatto Lui. Noi vediamo personaggi diversi nel Presepio, esercitano vari mestieri ma tutti sono rivolti ed incamminati verso la capanna di Betlemme. È una meta comune. A nessuno dobbiamo sbarrare la strada verso il Signore, se mai dobbiamo favorirla, non dobbiamo restare indietro ma possibilmente affrettare il passo. Siamo fiamme che ardono di passione umana Un secondo momento della nostalgia natalizia è per me il ricordo vivo dei Re Magi. Già alcuni giorni prima del Natale collocavo in lontananza i Re Magi e piano piano, quotidianamente, li spostavo nella direzione della capanna. Non potevano restare immobili, lontani, e poi, di punto in bianco, comparire davanti a Gesù. Dovevano percorrere il tragitto stabilito, fino a giungere lentamente davanti a Gesù per adorarlo. Mi è sempre piaciuta l’“Adorazione dei Magi” di El Greco conservata al Prado di Madrid. Dio si è incarnato sulla terra ed è Lui il centro di gravità, su nel Paradiso, e perciò i personaggi si allungano verso l’alto come fiamme. Noi siamo terra ma siamo attratti dal cielo. Dio si è fatto terra ma la terra è la strada verso il cielo, siamo fiamme che ardono di passione per le cose umane ma queste sono le strade per quelle divine. Abbiamo una missione che è fatta di compiti e di doveri nella vita. La nostra testimonianza concreta indica il divino che sta in noi. È il suo amore. Fermiamoci davanti al Presepio a guardare, come bambini, il Bambino. Sentiamo la nostalgia del divino dentro di noi. Osserviamo le sue braccia allargate in segno di accoglienza: è questo gesto che mette tutti in movimento, dà garanzia che Dio è in noi e con noi. Oggi e sempre. Anche tramite noi. Imitando il suo gesto accogliente forse qualcuno potrebbe mettersi in movimento e incontrare Dio stesso. Non sarebbe la prima volta che ciò succede. Anche se questo non succedesse, la nostra accoglienza sarebbe già un gesto natalizio, che fa nascere o rinascere. Ad ognuno resta la sua responsabilità. Braccia spalancate o braccia conserte, occhi aperti o occhi chiusi, cuore forte o cuore indurito. Accogliere Gesù è accogliere anche tutti i suoi fratelli. E adesso ognuno faccia la sua parte perché il Natale sia buono per tutti. Lo auguro a voi e a me.
Buon Natale Il Parroco Mons. Luciano Nobile
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