“Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi…ma nella legge del Signore trova la sua gioia…”(Sal 1,1-2) così inizia il Libro dei Salmi. “Beato” è un complimento: «Mi congratulo con te che cammini sulla strada della giustizia». A tutti fanno piacere i complimenti in modo particolare se provengono da persone particolari per prestigio, bontà, scienza ecc… I rabbini del tempo di Gesù si servivano spesso della forma letteraria delle beatitudini e anche delle maledizioni. Per inculcare valori sui quali costruire la vita dicevano: «Beato colui che…» e per metterlo in guardia da proposte ingannevoli e illusorie usavano invece l’espressione: «Guai a chi si comporta…». Essendo questo il modo di comunicare impiegato dai saggi in Israele non fa meraviglia che nei Vangeli si trovino parecchie beatitudini e anche minacce.“E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,45) è il complimento di Elisabetta a Maria. Anche Gesù usa lo stesso linguaggio sapienziale, parla di beato e di maledetto. “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli” (Lc 12,37); “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29); “Quando offri un banchetto invita i poveri…e sarai beato perché non hanno da ricambiare. Beato chi prenderà cibo nel Regno di Dio” (Lc 14,14-15); “E beato colui che non trova in me motivo di scandalo” (Mt 11,6); “Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano” (Mt 13,16). E anche “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti” (Mt 23,29) e “Via lontano da me maledetti” (Mt 25,41). Queste citazioni evidenziano come al tempo di Gesù fosse usuale il ricorso alle beatitudini e alle maledizioni per veicolare un insegnamento.
Alla parola beatitudini la mente corre subito al famoso discorso della montagna del Vangelo di Matteo al capitolo 5°. Sono le Beatitudini più conosciute perché, nella liturgia, più volte vengono lette, come ad esempio nella Festa di Tutti i Santi o nella Commemorazione dei fedeli defunti. Matteo ambienta il discorso delle beatitudini sul monte: “Vedendo le folle Gesù salì sul monte” (Mt 5,1). Il monte è simbolo del luogo in cui l’uomo incontra Dio. “Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante” (Lc 6,17) Luca invece ambienta il discorso nella vasta pianura ovvero il luogo dove sono convocate le folle di tutto il mondo. Una seconda differenza è che Matteo ha una formula impersonale: ”Beati i poveri in spirito”, Luca ha un discorso diretto: “Beati voi, poveri”. La formulazione è differente, sono artifici letterari, ma il messaggio è identico e, in fine, nel Vangelo di Matteo le beatitudini sono otto mentre nel Vangelo di Luca sono quattro accompagnate da altrettanti “guai a voi”.
Per comprendere il messaggio del Vangelo di questa domenica è necessario scoprire a chi sono rivolte le Beatitudini. “Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: Beati voi, poveri” (Lc 6,20). Ricordiamo ciò che è accaduto dopo la pesca miracolosa: “Gesù disse a Simone «…sarai pescatore di uomini». E tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,10-11). E’ evidente che i destinatari delle beatitudini e dei successivi guai a voi non sono le folle, ma soltanto i discepoli e, in prospettiva, la comunità cristiana. Ecco perché Pietro, Andrea, Giovanni, che non erano ricchi, ma neanche miserabili, sono considerati poveri:“lasciarono tutto ”. Non è stato un terremoto, non uno tsunami a renderli poveri, ma la loro libera scelta di seguire Gesù. Povero in senso evangelico è colui che, illuminato dalla parola di Cristo, dà ai beni il giusto valore. Non possiede nulla per sé… rifiuta l’uso egoistico dei beni, dell’intelligenza, del tempo… L’ideale del cristiano non è l’indigenza, ma un mondo di poveri evangelici, un mondo in cui nessuno sperpera, accumula per sé, ma mette a disposizione dei fratelli ciò che ha ricevuto. La promessa che accompagna questa beatitudine non rimanda a un futuro lontano, non assicura l’entrata in paradiso dopo la morte, ma annuncia una gioia immediata: “Vostro è il regno di Dio” (Lc 6,20). Uomini nuovi per un mondo nuovo. All’ultima dogana della vita dobbiamo abbandonare tutto, anche quello che con fatica abbiamo acquistato, ma se non vogliamo perdere proprio tutto e conservare parecchio dobbiamo, ora, trasformare in dono ciò che abbiamo ricevuto.
Quali le conseguenze della scelta della povertà evangelica? “Avrete fame…ora piangerete” (Lc 6,21). Queste parole di Gesù hanno un significato ben preciso. Chi si è fatto povero prova tristezza e sconforto perché, malgrado i suoi sacrifici e il suo impegno, non vede immediatamente e miracolosamente risolti i problemi dei poveri e piange, si duole di un mondo sempre più ingiusto. Ma sarà beato solo se “fedele alla scelta” continuerà a proporre la povertà evangelica. I complimenti vengono da Cristo, dagli altri persecuzioni perché il mondo antico non si rassegna a morire e l’annuncio evangelico è destabilizzante. Le beatitudini sono un grande messaggio di fiducia e speranza.
“Ma guai a voi, ricchi…” (Lc 6,24). Nel linguaggio biblico quel “guai” è un lamento funebre. Non una minaccia, ma un amaro avvertimento: quelle dei ricchi egoisti sono scelte di morte… e “piango su di te perché tu nel mondo procuri povertà e dolore”.
Le Beatitudini proposte da Gesù hanno un fascino tutto particolare. Per sentirlo dobbiamo leggerle e rileggerle in silenziosa preghiera.
Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano
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