29^ Domenica del Tempo Ordinario

L’ECO DELLA PAROLA DI DIO

(Es 17,8-13; Sal. 120; 2 Tim 3,14-4,2; Lc 18,1-8)

 

Dio aveva liberato il popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, ma prima di entrare nella Terra Promessa, Israele doveva peregrinare per ben 40 anni nel deserto. In questo periodo non mancarono le prove: la fame, la sete, i forti disagi delle tende, le malattie infettive, il pericolo degli animali selvatici…. Il brano della prima lettura di questa domenica ci ricorda, che Israele dovette anche combattere con le armi per sopravvivere e arrivare in Palestina.

«Amalek – dice il testo – «venne a combattere contro Israele». E mentre Giosuè, con i suoi uomini, combatteva, Mosè sul monte, pregava. È significativo notare che «quando Mosè, con in mano il bastone di Dio, alzava le mani (in preghiera), Israele era più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek». Questa scena è emblematica, è, cioè, un modello anche per noi redenti, liberati da Cristo. Chi vuole giungere, attraverso il deserto della vita, alla Terra Promessa della salvezza, deve pregare e lottare. Si può dire che molti oggi lottano, ma non pregano. Si danno da fare in mille modi, ma non trovano mai il tempo per pregare. Con quale risultato? Quello di ripetute sconfitte e su tutti i fronti. Pèrdono se stessi e pèrdono ad uno ad uno gli impegni con la Storia della Salvezza. Amalek (simbolo del male), oggi trionfa, perché mancano i Mosè che pregano. Noi, oggi, tutti e ciascuno, dobbiamo essere, nel contempo, i Mosè che pregano e i Giosuè che lottano.

Il brano evangelico odierno si colloca naturalmente in un altro contesto. Siamo ai primi tempi della Chiesa. Anche il nuovo popolo di Dio è nella prova, nella persecuzione, anche cruenta. C’è il pericolo di lasciarsi andare, di perdere la fiducia in Cristo, in Dio. «Se Dio ci ama perché non interviene in nostro favore?», dicevano i primi cristiani imprigionati e sottoposti a tutte le torture.

L’evangelista S. Luca, per dare speranza, ricorda loro una parabola di Gesù, quella, appunto, del giudice senza scrupoli, anzi, cinico, che solo per levarsi la seccatura di una vedova molesta, le fa giustizia. E Gesù conclude: «E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui?». In altre parole l’evangelista Luca dice ai cristiani perseguitati che chiedono giustizia: come è possibile credere che Dio sia indifferente alle suppliche dei suoi figli, quando non lo è neppure lo spregiudicato giudice nei riguardi della vedova? Insomma bisogna imitare la vedova: bisogna “pregare sempre, senza stancarsi”. Il ritardo, vuol dire S. Luca, non è dovuto alla noncuranza, ma alla pazienza di Dio. Dio attende di fare giustizia per lasciare spazio ai peccatori di convertirsi. Dio, è Dio di tutti, dei credenti e degli increduli, dei santi e dei peccatori. La pazienza di Dio è bene illustrata dalla parabola della zizzania e del buon grano (Mt 13, 24 – 30). Dio attende, ma farà giustizia, talvolta nel tempo, sempre nell’eternità.

Per Gesù, il discepolo dovrà preoccuparsi non tanto della giustizia di Dio, che verrà certamente, ma di custodire come bene prezioso la propria fede. Come custodirla e fare accrescere la fede? Con la lettura e meditazione della Parola di Dio e con l’assidua preghiera. La seconda lettura odierna ci parla, delle «Sacre Scritture». «Tutta la Scrittura», dice S. Paolo, «è ispirata da Dio». Ha origine, cioè, da Dio, che ha illuminato lo scrittore sacro. E proprio per questo, essa «è utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia». È utile soprattutto per il discepolo che vuole essere missionario, perché lo aiuta ad essere «completo e ben preparato per ogni opera buona». Oggi celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale. Ricordiamo che la Chiesa è missionaria per costituzione! E la Chiesa siamo noi!

                                               Mons. Ottavio Belfio, Presidente del Capitolo Metropolitano