Et vocabis nomen eius Jesum
Carissimi,
lo scorso anno abbiamo vissuto mesi di fatica per tutti, di dolore per tante persone, anche di lutti. Non potevamo incontrare gli altri nella libertà, alcuni hanno chiuso le loro attività, certamente è cresciuta la povertà. L’incertezza era di tutti: medici, virologi, ricercatori, noi. La paura di ammalarci era palpabile. Prima ci sembrava di avere tutto sotto controllo ma poi ci siamo scoperti fragili e piccoli. Prima si poteva anche tenere nascosta la morte, era una cosa privata di cui non si doveva parlare per non turbare la serenità della vita, come se, nascondendola, non esistesse più ed invece è tornata ad essere una realtà che interessa tutti. La solitudine ci ha richiamati alla necessità delle relazioni. Abbiamo ancora davanti agli occhi i malati isolati negli ospedali, i giovani e i bambini. che non si potevano incontrare. Era una situazione insopportabile.
Eppure siamo andati avanti.
Con varie buone strategie. Abbiamo visto la dedizione di tante persone accanto ai malati, l’impegno degli insegnanti, la vicinanza del Vescovo, dei sacerdoti e di tutto il personale religioso alla loro gente, il tempo dedicato ai figli da parte dei genitori, le iniziative di tanti volontari per prendersi cura dei più fragili. Anche il Papa ci è stato accanto con la sua parola: “Questa è la forza di Dio: volgere in bene tutto ciò che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai. ”Credo che tutti ci siamo fatti questa domanda: Tutto tornerà come prima o tutto sarà cambiato? Tutto può essere, ma ci vuole qualcosa di bello per vivere. Ci vuole fiducia. Ci vuole un sorriso, un po’ di ottimismo, una speranza. Di che cosa vive l’uomo? Di efficienza? Di consumi? Questi diventano la prigione del desiderio che viene ridotto alla soddisfazione immediata ma non è mai sazio. L’uomo vive di amore, solidarietà, relazioni, di senso. La vita è sempre un ripartire: dopo una malattia, una discussione, una disgrazia, uno strappo affettivo. Per chi vuole camminare. Alziamo lo sguardo verso l’alto per avere nuove idealità che ci attraggano e ci mettano in moto verso cieli nuovi e terre nuove. Occorre un punto fermo per ripartire. Ascoltiamo in questi giorni la bella notizia che può essere il punto di partenza:
Il Figlio di Dio, Gesù, si è fatto uomo
Questa dovrebbe essere la bella notizia che squarcia i giorni bui, le paure che ancora persistono a causa del virus che sembra rialzare la testa. Forse è una notizia che “non fa più notizia”, perché ci siamo abituati a sentirla, ci sembra scontata e forse inutile, anzi abbiamo l’impressione che sia scomparsa dall’orizzonte. Sembra quasi che ci si debba vergognare di continuare a credere in Lui. Siamo tanto preoccupati di salvare il Natale. Quale natale? Quello commerciale? Certamente l’economia fa il suo corso. Lo possiamo anche salvare. Ma il natale di chi? Tutto è noto da 2.000 anni. Tutto è troppo noto per stupirci di ciò che ancora ci è dato di vivere. Come fare a stupirci delle cose ormai ovvie? Allora porgo una domanda: Siamo noi che salviamo il Natale o è il Natale che salva noi? Sotto questa luce sono da riconsiderare tutte le realtà che ci circondano: La casa, i figli, i genitori, i colleghi, la nostra città, i nostri monti, le campagne, il mare. Di fronte alla nascita di un bambino sentiamo di essere davanti a qualcosa di più grande, qualcosa che ci supera. Ci stupisce. Ebbene siamo davanti a questo mistero: Ci è dato un figlio. È il Figlio di Dio. Si chiama Gesù, che significa “Dio salva”. Nel finito appare l’infinito. In un frammento appare la totalità della vita. Il nostro cuore dovrebbe sobbalzare. Solo Dio poteva pensare di diventare piccolo, inerme e di entrare così, in silenzio, nella vita di tutti noi, per farne esperienza. E salvarci. Nessuno potrà rubarci questo Natale perché è il Natale che salva noi. Grazie a Dio. Facciamo attenzione a ciò che capita. Impariamo a scorgere la strada sulla quale camminare. Il Figlio di Dio si è fatto uomo per rivelarci il volto misericordioso di Dio e per mostrarci la dignità dell’uomo plasmato dalle sue mani. L’uomo che guarda alla effettiva sua fragilità con sincerità, si accorge di non essere onnipotente ma di aver bisogno di un Salvatore. Un Salvatore che venga dall’alto e che doni speranza. È già qui, tra noi. Basta cambiare lo sguardo, togliere un po’ di polvere per scoprire il volto del protagonista del Natale. Fidarci di Lui. Camminare dietro a Lui, magari zoppicando. Ma seguirlo lungo il suo sentiero, cioè incarnandoci come Lui in questa storia umana che cammina verso la resurrezione e la gloria, cioè verso la pienezza della vita. Il Natale di Gesù è una opportunità, una occasione da non perdere, per essere ancora più solidali, con Dio e con i fratelli. Questo nostro mondo è il grembo dove sta crescendo un mondo nuovo che è il Regno di Dio, che è Cristo stesso. Fermiamoci davanti al Presepio e lasciamo che lo sguardo di Gesù incroci il nostro ed illumini i no-stri occhi perché sappiamo vedere il volto di Dio là dove c’è un volto umano.
Buon Natale a tutti.
Il Parroco don Luciano Nobile