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29^ Domenica del Tempo Ordinario

VOLGIAMO LO SGUARDO A GESÙ CRISTO NOSTRA SPERANZA

Lettera pastorale per l’anno 2024-2025

«La speranza poi non delude,
perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.»      (Rm 5,5)

Introduzione

Cari fratelli e sorelle,

all’inizio di questo nuovo anno pastorale vorrei invitarvi ad un rinnovato sguardo di fede sulla persona di Gesù Cristo, come Colui che è il fondamento della nostra Speranza.

L’ormai prossimo anno giubilare rappresenterà un evento di grande rilevanza spirituale nella vita della Chiesa ed un rinnovato invito alla conversione per ciascuno di noi per una sempre più autentica sequela del nostro Salvatore, Gesù Cristo.

Inoltre il Giubileo del 2025 se da una parte ci chiederà di recuperare il senso di quella fraternità e solidarietà universale, così tragicamente messa in discussione da tanti conflitti armati in corso in tutti i continenti, dall’altra ci solleciterà a fare delle scelte non più procrastinabili per la cura del creato e della nostra casa comune. Solo così noi cristiani potremo essere davvero “Pellegrini di Speranza”, come recita il motto scelto da Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’anno 2025.

Prima parte

CRISTO NOSTRA SPERANZA

  1. Un cuore “irrequieto”

Papa Francesco all’inizio della Bolla di indizione del Giubileo, ci ricorda che «nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé». In effetti l’uomo, nel dispiegarsi delle fasi della vita, coltiva molte e diverse speranze.

Quando è fragile creatura di pochi mesi quella di essere accudito dalla mamma e dal papà; poi di poterli ritrovare all’uscita della scuola dell’infanzia; poi di poter raggiungere un obiettivo nello sport e nello studio; poi di potersi inserire nel mondo lavorativo dando un proprio contributo al miglioramento della società civile; poi di coronare il proprio desiderio di amare ed essere riamato formando una propria famiglia o donando tutta la propria vita al servizio del Signore e dei fratelli; e infine da anziano spera di poter godere dei frutti dei sacrifici compiuti e di veder germogliare nei figli e nei nipoti i semi di bene sparsi nel corso della propria esistenza.

Man mano che questi obiettivi vengono raggiunti, gli appare però sempre più chiaro che tutto questo non soddisfa pienamente e che ha bisogno di qualcosa che vada “oltre”.

È quanto aveva già magistralmente espresso Sant’Agostino nelle sue riflessioni, raccolte nel libro delle Confessioni e che rispecchiano la sua stessa esperienza interiore: «Il nostro cuore è irrequieto e non trova pace finché non riposa in Te».

Anche Papa Benedetto XVI, al termine della prima parte della sua lettera enciclica Spe Salvi, così riassumeva le proprie considerazioni su questa “inquietudine” e sul tema della speranza nel pensiero antico e moderno:

«L’uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non

 abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell’uno o dell’altro successo determinante per il resto della vita. Quando però queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere. In questo senso il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell’instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e a una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile.

Così la speranza biblica del Regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell’uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero “regno di Dio”. Questa sembrava finalmente la speranza grande e realistica, di cui l’uomo ha bisogno. Essa era in grado di mobilitare – per un certo tempo – tutte le energie dell’uomo; il grande obiettivo sembrava meritevole di ogni impegno. Ma nel corso del tempo apparve chiaro che questa speranza fugge sempre più lontano. Innanzitutto ci si rese conto che questa era forse una speranza per gli uomini di dopodomani, ma non una speranza per me. E benché il «per tutti» faccia parte della grande speranza – non posso, infatti, diventare felice contro e senza gli altri – resta vero che una speranza che non riguardi me in persona non è neppure una vera speranza. E diventò evidente che questa era una speranza contro la libertà, perché la situazione delle cose umane dipende in ogni generazione nuovamente dalla libera decisione degli uomini che a essa appartengono. Se questa libertà, a causa delle condizioni e delle strutture, fosse loro tolta, il mondo, in fin dei conti, non sarebbe buono, perché un mondo senza libertà non è per nulla un mondo buono. Così, pur essendo necessario un continuo impegno per il miglioramento del mondo, il mondo migliore di domani non può essere il contenuto proprio e sufficiente della nostra speranza. (…)

Noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino, ma senza la grande Speranza che deve superare tutto il resto, esse non bastano.

Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l’essere gratificato di un dono fa parte della speranza.

Dio è il fondamento della speranza – non un dio qualsiasi – ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati fino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il suo Regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza in un mondo che, di sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è veramente vita.»[1]

È dunque Dio la nostra speranza!

Il Verbo di Dio che si è incarnato per noi e per la nostra salvezza, il Signore nostro Gesù Cristo, ha posto Lui stesso le fondamenta della nostra Speranza con la Sua morte e la Sua Risurrezione dai morti! San Paolo così si esprime al riguardo: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita».            

(Dalla Lettera Pastorale di Mons. Riccardo Lamba, Arcivescovo di Udine)