“Et Homo factus est”

Il presepe nelle chiese di S. Giacomo e S. Pietro martire

Praesepae dal latino “recinto chiuso” e “greppia”. E’ questa l’etimologia della parola latina con cui, tradizionalmente, identifichiamo la rappresentazione della Natività. Fu San Francesco d’Assisi il primo che, nel Natale del 1223, volle dare concretezza tangibile alla nascita di Gesù, allestendo a Greccio quella che in seguito sarebbe divenuta la tradizione natalizia più radicata del mondo cristiano. Fin da bambini ci siamo lasciati stupire dalle figure dei pastori, dalle greggi di pecore, dagli abiti di foggia orientale dei Magi che suscitavano quell’atmosfera calda e familiare che sempre emana il presepe. Entrando, in questo periodo di festività, nelle chiese di San Giacomo e San Pietro martire tale atmosfera ci assale e ci avvolge nuovamente, ci fa venire voglia di tornar bambini.

Le rappresentazioni della Natività (allestite come ogni anno dalle sapienti e fantasiose mani del sacrista Fabio Viola che ha coinvolto anche me nell’opera) sono il miglior modo per meditare visivamente il Mistero dell’Incarnazione. L’occhio si sofferma sui dettagli, numerosissimi, che attraggono l’attenzione di adulti e bambini: il ruscello gorgogliante, le montagne scure, gli alberi spogli, il fuoco che arde sotto le piccole luccicanti stoviglie di rame. Esse, però, non sono sufficienti a distogliere l’attenzione dal centro, dal nucleo fondamentale: la Sacra Famiglia. E’ lì, sotto una capanna fatta di tronchi, a mostrare tutta la semplicità e la precarietà di quella lontana Notte, che il Bambino Gesù è stato adagiato sul caldo fieno e si mostra quale è: umile neonato e Salvatore del mondo. Ecco che allora il presepe diviene un vero e proprio altare dove non v’è spazio per raffinati richiami e simbolismi, ma semplicemente il luogo in cui il Re della Pace si lascia adorare dai semplici. E noi diveniamo come quei pastori, stupefatti e gioiosi di fronte al Dio fatto Uomo. In questo nostro tempo di pandemia, in cui l’angoscia e l’incertezza per la salute sono messe a repentaglio e, per un futuro ricco di incognite, sembrano aver fagocitato tutti i nostri pensieri, il presepe delle nostre chiese ci trasporta in una dimensione senza tempo, dove le dolorose vicende attuali per un istante spariscono e nel cuore resta solo lo spazio per lo stupore e la gioia per il grande evento della nostra Salvezza. E allora, davanti al presepe, sorgerà ancora spontaneo nell’anima quel canto che, sulle note del responsorio della nostra tradizionale novena friulana, ci farà esclamare con rinnovata commozione: “Et homo factus est: venite adoremus”.                                             Filippo Cocconi

 

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