Seconda domenica di Quaresima

CHI STIAMO SEGUENDO?

Luca 9, 28-36

 

Carissimi fedeli, anche oggi colgo la felice occasione di condividere con voi il Vangelo che viene proclamato durante le SS. Messe, che è sempre una bella notizia per noi.

“Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,28-29). Notiamo con una certa curiosità la precisazione dell’evangelista “Circa otto giorni dopo questi discorsi”. I discorsi a cui Luca si riferisce sono quelli riportati nel capitolo sesto del suo Vangelo: “Beati voi, poveri” (Lc 6,20); “Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici” (Lc 6,27); “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36); “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38); “Può forse un cieco guidare un altro cieco?” (Lc 6, 39); “Ipocrita! Togli prima la trave del tuo occhio” (Lc 6,42); “Perché mi invocate: Signore, Signore! E non fate quello che vi dico?” (Lc 6,46). Gesù aveva presentato la sua proposta del vero discepolo, dell’uomo riuscito secondo Dio. Ma i cristiani delle comunità di Luca si tormentano nel dubbio della scelta: queste proposte fanno di me un uomo di successo secondo Dio, ma sono, umanamente parlando, un fallimento. E chi è questo Gesù che propone un tale rischio? Una nascita anonima: gli uomini che contavano allora erano Cesare Augusto, Quirinio, i sacerdoti del tempio e lui l’ultimo, bambino in una grotta. Una vita anche di fatti prodigiosi, ma sempre con poveri, ammalati, lebbrosi, peccatori, amato dai poveri, ma perseguitato dai potenti. Erode Antipa (Lc, 13,32) desiderava vederlo, me Gesù manda a dirgli che ‘non era della sua cerchia’. La fine: condannato e crocefisso come un qualunque malfattore tra due ladri; un fallimento.

Il racconto del Vangelo di oggi è una rivelazione rivolta ai discepoli, rivelazione che ha come oggetto il significato profondo e nascosto della persona di Gesù e della sua opera. Inoltre Luca, con questo racconto, vuole preparare le sue comunità, e quindi noi, a leggere alla luce di Dio gli eventi pasquali. Questa rivelazione ci viene comunicata mediante riferimenti all’Antico Testamento e a due episodi della stessa vita di Gesù, ossia il Battesimo – con il quale il nostro racconto ha diverse analogie – e con i racconti pasquali – coi quali ha innegabile parentela di vocabolario e di immagini -.

“…e salì sul monte a pregare” (Lc 9,28). Il racconto della trasfigurazione di Gesù viene riferito in modo quasi identico dal Vangelo di Marco, di Matteo e di Luca – detti i Vangeli sinottici perché totalmente simili nella struttura e nel testo-, ma solo Luca scrive “salì a pregare” e aggiunge che “il suo volto cambiò d’aspetto e le sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,29). Non parla di trasfigurazione, ma di cambiamento d’aspetto. Questo splendore è il segno della gloria di chi è unito a Dio. La luce sul volto di Gesù indica che, durante la preghiera, egli ha compreso e fatto suo il progetto del Padre; ha capito che il suo sacrificio non si sarebbe concluso con la sconfitta, ma nella gloria della risurrezione. E i tre discepoli, senz’altro i più preparati, scelti da Gesù per vivere questa esperienza spirituale, notano questo “cambio d’aspetto e questa veste sfolgorante”.

“Ed ecco due uomini conversavano con lui. Erano Mosè ed Elia” (Lc 9,30). Gesù è il compimento dell’Antico Testamento e la via che egli percorre è la via della Croce: questo è il primo grande insegnamento. Alcuni elementi del racconto, come la nube e la voce, la presenza di Mosè ci pongono in direzione delle teofanie del Sinai -manifestazioni di Dio – il modello di tutte le teofanie bibliche. Con questo parallelo Luca vuol affermare che Gesù è il nuovo Mosè, il profeta definitivo, e che in lui giungono a compimento l’Alleanza e la legge. Mosè (Es. e Dt.) ed Elia (1/2 Re.) sono personaggi particolarmente qualificati a discorrere con Gesù del suo esodo e della sua Croce. Mosè guidò il popolo di Dio nel passaggio (esodo) dall’Egitto alla terra promessa. Ma fu anche chiamato a vivere un suo esodo personale. Crebbe alla corte del Faraone, ma preferì la solidarietà col suo popolo; minacciato da uno del suo popolo in favore del quale era intervenuto, è costretto a fuggire nel deserto; chiamato da Dio a guidare la marcia di Israele verso la libertà, provò ripetutamente l’amarezza della contestazione e dell’abbandono; e morì alle soglie della terra promessa, senza la soddisfazione di entrarvi. Elia, profeta fra i più tenaci e vigorosi, insofferente di ogni forma di idolatria e della corruzione del governo, conobbe la via della fuga, del deserto e della solitudine, ma anche la gioia della presenza del Signore e il conforto della sua parola. Ascoltare le Scritture, conoscere l’esperienza di Mosè, di Elia e di altri profeti ci aiutano a comprendere più a fondo il ‘nuovo esodo’ che Gesù ha compiuto e che il discepolo dovrà a sua volta compiere. La trasfigurazione è una rivelazione in anticipo della futura risurrezione di Gesù, ma è, lo ripetiamo, anche una rivelazione di ciò che Gesù è già: il Figlio di Dio. L’episodio è una chiave che permette di cogliere la vera natura di Gesù dietro le apparenze che lo nascondono.

“Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne…” (Lc 9,33). La trasfigurazione è anche una rivelazione dell’identità del discepolo. La via del discepolo è come quella del Maestro, ugualmente incamminata verso la Croce e la risurrezione. La comunione con Dio è già operante. E di tanto in tanto questa realtà profonda e pasquale, normalmente nascosta, affiora. Nel viaggio della fede non mancano momenti chiari, momenti gioiosi, all’interno della fatica dell’esistenza cristiana. Il loro carattere è però fugace e provvisorio, e il discepolo deve imparare ad accontentarsi. Pietro desiderava eternizzare quell’improvvisa chiara visione, quella gioiosa esperienza. E’ un desiderio che rivela un’incomprensione dell’avvenimento: ”Egli non sapeva quello che diceva” (Lc 9,33). I momenti gioiosi e chiari disseminati nella vita di fede non sono il definitivo, ma soltanto la sua pregustazione; non sono la meta, ma soltanto un anticipo profetico di essa. La strada del discepolo è ancora quella della croce.

Auguro a tutti una buona domenica.                                            Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano

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