Solennità dell’Epifania

COSA RESTA DEL NATALE ?

(prima parte)

Si stanno ormai spegnendo le luci che addobbavano le nostre strade, ora si accendono le luci che danno vita ed illuminano realmente la nostra città. Con la Festa dell’Epifania Gesù si manifesta a tutti i popoli. È Lui la luce vera che illumina ogni uomo. Come si manifesta oggi? Ecco, ci viene incontro l’Apostolo Giovanni.

“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.  In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. […] Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. […] Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. […] Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo.  Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.  Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello.” (1 Gv 4, 7-21).

Un appello all’amore

E’ l’appello all’amore di San Giovanni! Egli, intorno al 90-100 d.C., esorta le sorelle e i fratelli – della regione di Efeso nell’Asia Minore – a vivere nell’agàpe (amore), “così da realizzare la verità della fede cristiana, che si manifesta nella “comunione” all’interno della comunità”. L’Evangelista, con le sue parole, altresì, mette a nudo la tentazione, diffusa (ancora oggi) tra i cristiani, di evitare la pratica del comandamento, nuovo ed eterno, dell’amore donatoci da nostro Signore Gesù Cristo. Non a caso, San Giovanni Paolo II disse: “Ad un amore tanto grande non manchi la risposta generosa della nostra gratitudine, tradotta nella testimonianza coerente dei fatti”.

Una comunità sa bene che “pregare, celebrare l’Eucarestia, celebrare la Parola di Dio sono cose importanti, ma sa bene anche che non sono segni sufficienti perché non sono segni evidenti attraverso i quali possiamo dire ai nostri fratelli e alle nostre sorelle di essere cristiani”.

Alla domanda che cosa comporta l’essere cristiani e che cosa caratterizza l’identità cristiana, l’apostolo Paolo dà una risposta chiara: essere cristiani significa essere “in Cristo” e “con Cristo” e comportarsi “secondo l’insegnamento di Gesù”. Non far del male, come sappiamo, non equivale ad aver conosciuto Dio. Conoscere Dio è fonte di gioia, e dà capacità e voglia di andare incontro all’altro.  Il Cristianesimo è la religione della gioia!  La gioia di sentirsi amati e di poter amare!

Papa Francesco, al termine del Giubileo della Misericordia, ha voluto offrire alla Chiesa la Giornata Mondiale dei Poveri, “perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi.”  Il Suo messaggio del 19 giugno u.s. inizia con le parole dell’apostolo Giovanni, «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18), e termina con un’esortazione: “Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo”.

I provvedimenti a favore dei più deboli non sono differibili nel tempo, ma vanno adottati con urgenza e lungimiranza. L’attività caritativa non può essere limitata alla raccolta e distribuzione dei fondi e dei beni, e deve sempre essere orientata ad avere una speciale cura della persona che è nel bisogno, in un clima di amore e condivisione. La persona – depositaria dell’amore di Dio e destinata all’eternità di Dio stesso – è il soggetto principale della nostra attenzione, va amata e quindi incontrata, e messa in relazione con noi, con gli altri, con la comunità, con Dio.

Succede, non di rado, che la carità sia confusa con l’elemosina. Rifugiamo da questo grave malinteso. Il fondatore, e per anni presidente, della Caritas italiana, mons. Giovanni Nervo, in occasione di un suo incontro con i giornalisti cattolici del Triveneto, a tal riguardo ebbe a dire: “Invece “caritas” vuol dire altro, bisogna tornare al suo vero significato che è amore: è questo il termine squisitamente cristiano pur se ormai esposto a equivoci”.  Fare carità è manifestare nei fatti l’amore!

Il mio pensiero ritorna al Pontefice, alla Sua omelia nel corso della Santa Messa (19 marzo 2013) d’inizio del Ministero Petrino.  In quell’occasione, Egli rivolse un invito. Un invito alla vocazione del custodire che si concreta, tra l’altro, nel prendersi “cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore”. Rimaniamo fedeli alla scelta evangelica di stare dalla parte dei poveri, “marchio di fabbrica di un impegno autentico”, aiutandoci con una verifica periodica, individuale e comunitaria, del nostro stile di vita, dell’uso delle risorse, dei nostri progetti, delle nostre opere.                                                                                                   Sebastiano Ribaudo, Referente parrocchiale per la carità

(continua) 

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