«ABBIAMO LA PRONTEZZA DI DIRE “SI” AL SIGNORE COME HA FATTO MARIA?»

Oltre 900 ragazzi, accompagnati dai catechisti, hanno affollato la cattedrale di Udine la scorsa domenica – 3 dicembre – per il tradizionale incontro di preghiera assieme all’Arcivescovo, all’inizio del cammino di Avvento. Mons. Andrea Bruno Mazzocato, nonostante il recente infortunio, non ha voluto mancare l’appuntamento con i giovanissimi, i quali hanno partecipato con grande attenzione e profondità all’impegnativo pomeriggio udinese, stringendosi anche attorno al Vescovo nel momento in cui, simpaticamente, mons. Mazzocato ha posto a tutti quanti una domanda sul brano evangelico proclamato nel pomeriggio di preghiera.


«Andata e ritorno» era il tema della veglia, ricordando la visita che la giovane Maria fece all’anziana cugina Elisabetta. Entrambe le donne erano in attesa dei rispettivi figli – Gesù e Giovanni Battista -: la visita di Maria è stato quindi un autentico momento di gioia per entrambe. Commentando il brano evangelico della “visitazione”, il Vescovo Andrea Bruno ha colto l’occasione per chiedere ai partecipanti: «abbiamo la prontezza di dire “si” al Signore come ha fatto Maria? Come il Signore ha parlato a Maria tramite l’Angelo, così anche a noi il Signore continua a parlare tramite alcune persone a noi vicine. Ma noi le ascoltiamo e diciamo davvero il nostro “si” con disponibilità, come Maria?» Soffermandosi sul momento di gioia vissuto da Maria ed Elisabetta, mons. Mazzocato ha poi proseguito chiedendo se anche noi proviamo gioia quando siamo insieme a Gesù: «Giovanni Battista, nel grembo di Elisabetta, “sussultò di gioia” davanti a Gesù. Ma è la stessa gioia che proviamo anche noi quando siamo vicino al Signore? Ci è mai capitato?»

Durante la veglia è stata portata in Cattedrale l’antica statua della “Madonna con il bambino” presente nella chiesetta di San Zaccaria, a Lignano Sabbiadoro. Davanti a questa icona di Maria “vestita a festa”, ciascun ragazzo hanno depositato un fiore di carta realizzato nelle proprie Parrocchie, dando vita a un singolare omaggio floreale a Maria. Al termine della celebrazione, i fiori di carta sono stati mescolati e ri-distribuiti per essere portati davanti alle immagini di Maria custodite nelle varie Parrocchie di provenienza dei ragazzi. Fiori portati e riportati, «Andata e ritorno», come il tema della veglia.

E «Andata e ritorno» è anche il movimento che tutti i ragazzi sono invitati a compiere in questo tempo di Avvento: dopo essere “andati” in Cattedrale, è bene “ritornare” nelle nostre comunità e visitare gli anziani della nostra comunità, persone malate o diversamente abili, nello stesso modo in cui Maria visitò l’anziana cugina Elisabetta. Per chi partecipa alla MagicAvventura KEYngdom, la “visita” è una delle missioni che la Regina Miriam consegna per l’Avvento 2017. In occasione della veglia di Avvento è stato pubblicato il terzo filmato della serie.

Un ringraziamento di cuore va all’Arcivescovo, che ha insistito per presiedere e guidare la celebrazione. Grazie anche alla Parrocchia di Lignano, per aver reso disponibile la bellissima e delicata “Madonna con il bambino”. Proprio Lignano, tra l’altro, ospiterà il prossimo appuntamento diocesano per ragazzi: la Festa diocesana dei Ragazzi, in calendario domenica 15 aprile 2018. Grazie, infine, ai numerosi catechisti e animatori che hanno seguito i ragazzi alla veglia e che, con tenacia e dedizione, continuano ad accompagnarli passo-dopo-passo lungo l’intricato percorso della crescita umana e cristiana. A tutti loro un augurio per uno speciale cammino di Avvento sotto la luce del Signore!

Articolo tratto da: www.diocesiudine.it


Per approfondire:

 

Madonnina Lignano

 

 

 

 


Assemblea

 

 

 

 

 


 

Madonnina con fiori

DOMENICA 3 DICEMBRE 2017 ORE 16:00

IN DIRETTA WEB

L’ARCIVESCOVO E I GIOVANI

 

(clicca il tasto centrale)

Carissimi fedeli, si apre oggi un nuovo anno liturgico che ci condurrà per mano nella esperienza del mistero della vita di Cristo. Un anno è una opportunità, ci viene incontro con la ricchezza dei suoi doni, possiamo vivere liturgicamente la vita di Cristo, lasciandoci coinvolgere di giorno in giorno nel suo mistero. Iniziamo con il tempo di Avvento, tempo di attesa e di speranza. Tutti sentiamo il bisogno di speranza. Sono state profetiche le parole del Concilio vaticano II°: “Il mondo si presenta oggi potente e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre davanti la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio” (Gaudium est spes 9).

Ma perché noi speriamo? In un mondo confuso e disorientato, per tanta parte indifferente, sollecitato da continui interessi, noi siamo chiamati a dire con franchezza e a testimoniare con le opere la nostra fede da cui nasce la speranza. Il Signore viene e ci richiama il destino ultimo. Lungo la nostra strada, che percorreremo di domenica in domenica, incontreremo vari personaggi che hanno collaborato nella storia della salvezza portata da Gesù. La Vergine Maria nella sua vita fa intravvedere la nostra vita e la storia della chiesa. Lei è il nuovo tempio nel quale abita la presenza di Dio, il quale proprio in lei dimostra di essere fedele all’umanità, compiendo delle meraviglie. Giovanni Battista ci invita a vedere in Gesù il Dio che si fa vicino a noi e ci esorta ad accoglierlo. Passo dopo passo, giungeremo al Natale di Gesù, preparato anche da un ascolto più assiduo della Parola di Dio partecipando agli incontri di riflessione per tre mercoledì di seguito sulla figura della Vergine Maria per imparare da Lei come si attende Gesù, da una preghiera più intensa e frequente, da gesti di carità e di accoglienza reciproca. A questo proposito, proponiamo varie iniziative che sono abbinate alla “Luce di Betlemme” che giungerà a noi il 16 dicembre: Un aiuto per la formazione di alcune infermiere in un ospedale dell’India, un contributo ad un gruppo di Suore che stanno promuovendo la pastorale vocazionale in una zona difficile della Polonia.

Non mi resta che augurarvi un buon cammino, accompagnati dalla speranza che arde nel nostro cuore, dalla gioia di andare incontro oggi e domani al Signore, dall’impegno di una testimonianza umile e coraggiosa al Signore. I tempi difficili sono i tempi della prova. La prova saggia la nostra fede. Oggi possiamo vivere la perseveranza che altri hanno vissuto prima di noi, restando fedeli al Signore. Sempre con cordialità.                      Don Luciano, parroco

SOLENNITA’ DI GESU’ CRISTO, RE DELL’UNIVERSO

Questa Solennità intende celebrare la centralità di Gesù nella storia umana. In Lui trova compimento il progetto di Dio sull’umanità: Ricapitolare in Lui tute le cose, quelle del cielo come quelle della terra. Questa convergenza di tutto in Gesù non è un fatto meccanico, è il frutto del dialogo tra Dio e l’uomo. Il Padre offre all’uomo la sua vita divina e sollecita una risposta accogliente. Il perno di questo dialogo sta in Gesù e la sua forza sta nello Spirito. Solo attraverso questo dialogo costante l’umanità potrà superare divisioni e conflitti per un futuro di riconciliazione e di pace. Ci sono delle persone che sono entrate, hanno coinvolto altri ed aiutano altri ad entrare in questo sublime dialogo dell’uomo con Dio, attraverso i loro carismi. Una di queste persone è don Giacomo Alberione, la cui vita ed il cui carisma desideriamo far conoscere su questo foglio domenicale.

 

DON GIACOMO ALBERIONE

 

“Eccolo umile, silenzioso, instancabile, raccolto nei suoi pensieri che corrono dalla preghiera all’opera, sempre intento a scrutare i segni dei tempi. Il nostro don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato…. Lasci che il Papa, a nome di tutta la Chiesa, esprima la sua gratitudine”. Così si esprime Paolo VI il 28 giugno del 1969, davanti a don Alberione in udienza, accompagnato dai partecipanti al secondo Capitolo Generale della Società San Paolo. Don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, composta da dieci rami – cinque congregazioni religiose, quattro Istituti aggregati e l’Associazione Cooperatori Paolini- muore il 26 novembre 1971, all’età di 87 anni.

Lo scopo fondamentale della sua vita è stato quello di mettere la comunicazione sociale e la tecnologia al servizio della predicazione del Vangelo e della promozione del progresso umano. Secondo il suo insegnamento, tutte le invenzioni umane dovevano essere messe al servizio della Parola: ogni macchina diventare un pulpito; la stampa, il giornale, il cinema, internet, una predica, un annuncio di salvezza. Egli soleva ripetere: “Se gli spazi della sacralità tradizionale si restringono, noi dobbiamo allargare quelli spirituali; se la gente non va in chiesa, noi dobbiamo trasformare in chiesa i luoghi dove la gente si ritrova e in pulpito gli strumenti tecnologici che le persone utilizzano nella loro quotidianità”. E ancora: “La missione si rivolge a tutto l’uomo, partendo dalla sua situazione concreta, in uno sforzo continuo di identificazione e acculturazione. A quest’uomo noi dobbiamo dare tutto il Cristo integrale, il Maestro che è Via, Verità e Vita e ciò operando in comunione con tutta la Chiesa, universale sacramento di salvezza”.

A cent’anni da quegli inizi, gli Istituti da lui fondati sono presenti in diversi i continenti con la missione di portare a tutti l’annuncio del Vangelo, con i mezzi più celeri ed efficaci che l’uomo ha a disposizione per comunicare.

Quest’anno ricorre anche il Centenario di fondazione dei Cooperatori Paolini, ramo laicale presente fin dagli inizi di fondazione dell’opera del Beato Giacomo Alberione. Nel lontano 1908 aveva pensato ad un’associazione di laici, uomini e donne, impegnati per l’annuncio del Regno di Dio con i mezzi della comunicazione sociale del tempo; più tardi il suo progetto si concretizzò, pensando a religiosi e religiose dediti al servizio del Vangelo, attraverso la stampa, la radio, il cinema, ma affiancati anche da laici, capaci di condividere la stessa spiritualità e missione.

Chi sono i Cooperatori Paolini?

La stupenda realtà toccata a Paolo sulla via di Damasco è sconvolgente: incontra il Cristo e il desiderio di comunicarlo a tutti diventa urgenza, diventa bisogno e necessità da soddisfare subito. Non potendo fare da solo, si sceglie dei collaboratori: li forma e li guida, sapientemente da illuminato. Don Alberione ispirandosi a questi ideali, cent’anni fa istituiva, in seno alla Famiglia Paolina, l’Associazione Cooperatori Paolini. “Loro – egli diceva – non sono i destinatari delle opere paoline, ma i continuatori e cioè coloro che allargano, propagano e propongono ai più lontani i nostri molteplici apostolati. Nella Famiglia Paolina essi sono come i 72 discepoli che vengono mandati da Gesù ad evangelizzare gli altri uomini”.

Per essere più esplicito, Egli puntualizzava: ”I cooperatori sono pensati così: persone che capiscono la Famiglia Paolina e formano con essa unione di spirito e di intendimenti. Ne abbracciano, secondo il loro stato, i due fini principali e vi danno l’apporto a loro possibile; mentre la Famiglia paolina ne vuole promuovere l’istruzione cristiana, avviarli ad una vita esemplare e farli partecipi della missione paolina”. Sono persone che hanno il senso di Cristo: un’istruzione cristiana più ampia, una fede più viva; sono quelli che conducono una vita migliore, hanno zelo e pensano alla missione, come sintesi di passione ed azione. Sviluppano principalmente il loro apostolato nella parrocchia, nella catechesi, nella redazione, sollecitando giornate del Vangelo con mostre del libro, tavole rotonde sulle comunicazioni sociali, sulla Bibbia e quant’altro porti a vivere l’annuncio di Gesù Cristo, Via Verità e Vita. Si è cooperatori paolini se si ha il cuore largo, la mente aperta per pensare a tutti gli uomini con lo spirito di Gesù, il quale venne a dare la sua vita per tutti.

Ogni battezzato è chiamato ad essere “cooperatore” di Cristo, per annunciare agli uomini del suo tempo il Vangelo e qualsiasi categoria di persone vi trova spazio: scrittori, giornalisti, uomini di cultura e di ogni ceto, la cui collaborazione si esplica sul piano della diffusione della Parola e della preghiera. L’annuncio cristiano trova nei mezzi moderni di comunicazione una sorprendente possibilità di raggiungere effettivamente tutti gli uomini, credenti e non credenti. Le parole di Gesù:”…quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti” (Mt 10,26-27) trovano nella testimonianza data attraverso i mezzi di comunicazione più celeri ed efficaci, le cui onde “corrono sui tetti”, un affascinante compimento letterale.

Lui, il Cristo, è stato il precursore delle comunicazioni sociali. Molte volte, infatti, oltre che in privato, ha intrattenuto le folle parlando loro del Regno di Dio, dell’Amore del Padre celeste, della riconciliazione con il prossimo. Se oggi Gesù decidesse, come allora, di parlare agli uomini del nostro tempo, lo farebbe sicuramente, utilizzando i mezzi di comunicazione massmediale più efficaci, che la scienza ha messo a disposizione dell’uomo.                                                                                    Nicla e Livio Passarino

PRIMA GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

 

Non amiamo a parole ma con i fatti.

«Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). Queste parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di Gesù è resa ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci. L’amore non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio; soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri. (….) Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera unilaterale, senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si sente portato a ricambiarlo nonostante i propri limiti e peccati. E questo è possibile se la grazia di Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da muovere la nostra volontà e anche i nostri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo. In tal modo la misericordia che sgorga, per così dire, dal cuore della Trinità può arrivare a mettere in movimento la nostra vita e generare compassione e opere di misericordia per i fratelli e le sorelle che si trovano in necessità.

Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita. Infatti, la preghiera, il cammino del discepolato e la conversione trovano nella carità che si fa condivisione la verifica della loro autenticità evangelica. E da questo modo di vivere derivano gioia e serenità d’animo, perché si tocca con mano la carne di Cristo. Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli. Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce.

Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro. Quale elenco impietoso e mai completo si è costretti a comporre dinanzi alla povertà frutto dell’ingiustizia sociale, della miseria morale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata!

Ai nostri giorni, purtroppo, mentre emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula nelle mani di pochi privilegiati, e spesso si accompagna all’illegalità e allo sfruttamento offensivo della dignità umana, fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società in tutto il mondo. Dinanzi a questo scenario, non si può restare inerti e tanto meno rassegnati. Alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi della professionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre rispondere con una nuova visione della vita e della società.

Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste. Questa Giornata intende stimolare in primo luogo i credenti perché reagiscano alla cultura dello scarto e dello spreco, facendo propria la cultura dell’incontro. Al tempo stesso l’invito è rivolto a tutti, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, perché si aprano alla condivisione con i poveri in ogni forma di solidarietà, come segno concreto di fratellanza. Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti, tradendo il dono originario destinato all’umanità senza alcuna esclusione.

In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo l’insegnamento delle Scritture (cfr Gen 18,3-5; Eb 13,28). A fondamento delle tante iniziative concrete che si potranno realizzare in questa Giornata ci sia sempre la preghiera. Non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La richiesta del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita. Quanto Gesù ci ha insegnato con questa preghiera esprime e raccoglie il grido di chi soffre per la precarietà dell’esistenza e per la mancanza del necessario

Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.                                                          Papa Francesco

ECCLESIA SEMPER REFORMANDA

 

Continua la riflessione iniziata domenica scorsa sulla ricorrenza del 500° anniversario della Riforma e della successiva Controriforma nella chiesa.

Martin Lutero, uomo e monaco

Figlio di un minatore, Martin Lutero nacque in Sassonia – nel villaggio di Eisleben – il 10 novembre 1483. Infanzia e giovinezza furono dure e sottomesse a una severa disciplina che ne segnò l’animo religioso. Avviato dal padre verso gli studi giuridici, all’improvviso entrò nel convento degli eremiti Agostiniani di stretta osservanza, a Erfurt: era il 1505. La regola dell’Ordine prescriveva una sistematica lettura della Bibbia e Martino vi si immedesimò tanto da divenire un vero esperto della Sacra Scrittura: “quando entrai in convento cominciai a leggere la Bibbia, poi a rileggerla ancora una volta e poi a leggerla e rileggerla senza posa”.

Il suo rapporto personale con la parola di Dio divenne molto intenso e lo accompagnò per tutta la vita, determinando in lui una trasformazione spirituale così radicale da condizionare poi tutto il percorso della Riforma. In pratica, egli operò una selezione soggettiva scegliendo ciò che gli appariva essenziale e tralasciando parti che non riteneva importanti (l’Epistola di Giacomo, ad esempio, divenne “una epistola di paglia”). In questo modo invece di lasciarsi plasmare dal messaggio divino, si impadronì della Parola, rendendola un’arma contro i suoi oppositori. Questo atteggiamento era legato alla sua esperienza personale: Dio gli appariva una opprimente maestà. Una visione tetra, acuita dalla dottrina teologica del “nominalismo”, allora dominante nelle università di Erfurt e di Wittenberg: risaliva al francescano inglese Guglielmo Ockham, e poneva l’accento sul concetto di sovranità e libertà assoluta di Dio. Da parte sua Lutero affermò che seguendo la teologia aveva smarrito Cristo e si scagliò con veemenza contro tutto ciò che egli definiva “Scolastica”. La domanda pressante che egli si poneva ossessivamente, nella sua ansia di salvezza, era: “come posso io trovare un Dio misericordioso?”.

Lutero visse molto seriamente la sua vita monastica: molto devoto, si consumava in veglie e preghiere ma non trovò mai serenità. Tormentato dal “peccato” – inteso come atto di egoismo, superba affermazione di sé davanti a Dio – nacquero in lui profondi contrasti, paura di non salvarsi e disperazione.

La giustificazione per fede

Nella sua ansia di salvezza si rifugiò nelle Scritture e fu colpito da un passo dell’Epistola ai Romani (1,17): “In esso [il Vangelo] infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà”. Fu per lui un’illuminazione comprendere il vero significato della giustizia divina: si sentì rinascere e la parola di Dio, da quel momento, acquistò per lui nuovo significato. La “giustizia divina” non va intesa come l’azione punitiva di un Dio terribile e vendicativo ma, se abbiamo fede, è la giustificazione che Dio nella sua misericordia ci dona con la Grazia che Gesù Cristo ha acquistato per noi con il suo sacrificio. La scoperta era rivoluzionaria, ma solo per lui: Lutero aveva riscoperto qualcosa di genuinamente cattolico che non avrebbe dovuto provocare una lacerazione nella Chiesa; essa avvenne purtroppo per altre circostanze che lo spinsero verso una radicalizzazione.

La disputa sulle indulgenze

Fu un fatto particolare a suscitare l’esplosione della Riforma: la predicazione dell’indulgenza giubilare per la ricostruzione della basilica di San Pietro in Roma che in Germania si legò a uno scandaloso traffico di denaro. L’indulgenza era una pratica molto antica connessa alla remissione delle conseguenze del peccato: nei primi secoli alcune penitenze assegnate diventavano anche molto gravose ma, al tempo di Lutero l’indulgenza si poteva ottenere attraverso il pagamento di una somma di denaro. Nel 1514 era sorta una complessa vertenza gerarchica ed economica fra l’arcivescovo Alberto di Hoenzollern e papa Leone X che si concluse con un accordo di compromesso vantaggioso per entrambi: Alberto avrebbe promosso per otto anni la predicazione delle indulgenze e del ricavato avrebbe trattenuto la metà.

Il 31 marzo 1515, con la bolla Sacrosancti Salvatoris et Redemptoris nostri, papa Leone X concedeva l’indulgenza plenaria a quanti, confessati e pentiti, avessero versato un’elemosina adeguata alle loro possibilità. Nella veste di commissario papale, Alberto emanò una disposizione (Instructio summaria) per i predicatori e i confessori. La dottrina delle indulgenze era corretta ma, in questo caso, infarcita di formule devote che trasformavano le indulgenze in una attività mistificatoria e ingannatrice.

Lutero venne a contatto con la predicazione che era stata affidata all’esperto frate domenicano Johannes Tetzel di Lipsia: infatti, anche se il principe di Sassonia Federico il saggio aveva proibito di predicare nei suoi territori, i fedeli si recavano prima in territorio brandeburghese ad acquistare le lettere di indulgenza e poi andavano a confessarsi da Lutero. Questi, da parte sua, comprese subito quale ascendente fuorviante avesse tra il popolo tale predicazione, soprattutto quando apprese che era avallata dalla Instructio summaria emanata dall’arcivescovo. A quest’ultimo, il 31 ottobre 1517, inviò una lettera pregandolo di ritirare tali istruzioni e disporre altrimenti; inoltre chiedeva che le tesi da lui proposte fossero discusse da teologi per chiarire la questione delle indulgenze. La nota circostanza dell’affissione delle tesi di Lutero sul portale della chiesa del castello di Wittenberg non è certa e di tale fatto egli non parlò mai: dirà di aver reso pubbliche le 95 tesi non avendo ottenuta alcuna risposta dalle autorità ecclesiastiche. Nessuna intenzione quindi da parte sua di promuovere un conflitto con la Chiesa. Diverrà “riformatore” in seguito e non solo per sua volontà: anzi, furono i vescovi interessati che sottovalutarono la questione. Le tesi sulle indulgenze non erano affatto contro la dottrina del tempo sostenuta dalla Chiesa: furono piuttosto l’esposizione paradossale (caratteristica dell’autore che tuttavia non ne esprimeva esattamente le idee) e il tono polemico e popolare (piuttosto che il contenuto) a provocare Roma ad accusarlo di eresia e il popolo tedesco ad acclamarlo. Toccavano infatti questioni, lagnanze e risentimenti covati per lungo tempo, suscitarono speranze deluse e fecero esplodere il malcontento diffuso in tutti gli strati della popolazione tedesca. (continua)                                                                    Francesca e Giuseppe Berton

 

 

ECCLESIA SEMPER REFORMANDA

 

Carissimi fedeli,

in questi ultimi tempi ho sentito varie persone preoccupate delle aperture della chiesa cattolica su varie strade, tra le quali quella dell’ecumenismo. Mi pare opportuno offrire una piccola riflessione che possa aiutare la nostra fede nel Signore che guida la storia e che ci conduce su vie forse un tempo insperate. Proprio in questi giorni (31 ottobre) ricorreva il 500° anniversario delle Tesi di Wittemberg, 95 proposizioni affisse da Martin Lutero sulla porta della chiesa del castello della città che anch’io, anni addietro, ho avuto l’occasione di visitare. Lasciamo agli storici stabilire se il fatto sia realmente avvenuto. A tanti anni di distanza, ci offrono una occasione per riflettere, liberi da conflitti, contingenze e tensioni. Dobbiamo prendere atto che quel gesto era anche un desiderio sofferto di rinnovamento nella chiesa di Dio. Il desiderio di conversione è sempre stato, è tutt’ora e deve essere sempre presente nella chiesa. Ma non si trattava né si tratta oggi di una conversione spirituale solo a livello personale ma di una conversione della istituzione-chiesa, che è chiamata ad essere fedele al Vangelo. La chiesa sempre si deve riformare, per essere come il suo Sposo Gesù la vuole. Allora è Gesù che riforma la chiesa, è Dio che chiama con insistenza e che offre il dono della conversione. In quanto istituzione umana, la chiesa va sempre purificata per essere fedele al Signore. Probabilmente l’istituzione umana è stata sorda e così la riforma è stata lacerante e ha dato luogo ad una grave divisione che dura da 5 secoli e che solo in tempi relativamente recenti conosce un faticoso riavvicinamento tra la chiesa cattolica e quella protestante, attraverso il cammino ecumenico. Tutti sentiamo il desiderio di riconciliazione, il Papa ha dato voce, con gesti e parole, a questo anelito comune. Tutti siamo chiamati a convertirci, dal Papa all’ultimo battezzato, e a pregare perché “il Vangelo salvi la chiesa” e perché la chiesa del Signore passi dal conflitto, che sembra ormai attutito, alla comunione, come Gesù ha chiesto al Padre nella preghiera “…siano una cosa sola come io sono in te e tu sei in me”. Ogni giorno la chiesa, con l’aiuto di Dio, deve tentare la sua riforma con l’obbedienza al Vangelo, nell’attesa che il Signore ritorni e trovi la sua Sposa bella e splendente. In questa luce viviamo questo quinto centenario, con la speranza che nuove strade si aprano nell’ecumenismo e la chiesa sia esperienza e modello di pace nel mondo. Nel Battesimo siamo rinati tutti come figli di Dio e come figli suoi vogliamo vivere. Auguro a tutti ogni bene e lascio la parola ai coniugi Francesca e Giuseppe che in queste domeniche ci accompagneranno nella riflessione sul tema accennato in questo mio breve intervento di introduzione, come auspicato nell’ultimo incontro del Consiglio Pastorale Parrocchiale.                                                                                                       Il Parroco Mons. Luciano Nobile

L’idea di Riforma

Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento molte cose cambiano: cambia l’idea del mondo, nasce lo Stato moderno in conseguenza l’impero universale – molto caro a Dante – che avrebbe dovuto tenere insieme l’Europa cristiana comincia a sfaldarsi. Nella Chiesa ritorna con forza l’idea di rinnovamento interiore, richiamo alla penitenza, ritorno alle origini cioè alla vita dei primi cristiani descritta da San Luca negli Atti degli Apostoli. Essa si esprime anche come un ritorno all’antico già presente nei profeti dell’Antico Testamento e inteso come rinascita, nuova creazione, fare nuove tutte le cose.

Questo processo ha sempre accompagnato la Chiesa: la storia del monachesimo è una storia di riforme in seno alla Chiesa in particolare con San Bernardo mentre con San Francesco diventa la realizzazione senza compromessi della vita evangelica. Le tendenze riformistiche interne alla Chiesa, che precedono la riforma vera e propria, sono un tentativo di riportare la Chiesa ad una nuova vita spirituale che nei secoli era andata perduta. Per tutto il Quattrocento si parla di riforma non solo della chiesa – del clero e dei laici, del papato e dei cardinali – ma anche dell’amministrazione dell’impero e delle finanze, della giustizia, delle università e delle scuole. La “Riforma” quindi è una grande speranza che si preannuncia con figure come Hus e Savonarola e costituisce il tema centrale dei concili di Costanza (1414 – 1418) e di Basilea (1431).

La Germania ai tempi di Lutero

All’inizio del Cinquecento la Germania era formata da 30 principati maggiori, 100 tra contee, marche e ducati, 60 città libere imperiali e 50 territori ecclesiastici in totale circa 240 stati. La formazione dello Stato moderno richiedeva sempre maggiori risorse finanziarie e a rimetterci erano i contadini (intesi non come servi della gleba ma come piccoli e medi proprietari terrieri), i cavalieri – che formavano la piccola nobiltà – e stavano perdendo potere a favore dei principi infine il tentativo di appropriarsi delle rendite e dei beni del clero; questi diventeranno fattori molto importanti per il trionfo della Riforma. Infine l’incapacità dei principi tedeschi – la Germania non era riuscita a formarsi come Stato moderno al pari di Francia, Spagna e Inghilterra – di imporsi in modo chiaro e netto sulle pretese della Curia romana. I limiti dei diritti e doveri degli uni e degli altri non erano ben chiari e i principi e le città libere avevano sempre l’impressione che nell’interpretare i concordati la diplomazia pontificia finisse sempre con il prevalere. Questo si trasformò in avversione se non odio viscerale contro le pratiche “romane”. Era uno sfruttamento fiscale della Germania che si concretizzava in continue indulgenze e decime che assieme alla vendita delle cariche al miglior offerente significava un fiume di denaro che dalla Germania prendeva la via di Roma. L’indignazione dei principi contro il papa può essere riassunta in alcune frasi di Ulrich von Hutten, uno dei primi seguaci di Lutero: “nemico mortale della nazione tedesca” e contro Roma “l’inverecondo ludibrio della cristianità”, “la grande divoratrice delle decime di tutto il mondo” (“Roma ladrona” non era ancora stato inventato).

In campo religioso la cosa più importante per un tedesco, dal più potente dei principi al più umile dei servi, era la salvezza dell’anima mentre una nuova forma di intendere il rapporto con Dio – la “via moderna” – si andava affermando in contrapposizione a quella che era la via tradizionale: “via antiqua”. La trattazione di queste due tendenze teologiche esula da questo studio, dirò solo che la “via moderna” considerava il rapporto con Dio e l’esperienza di fede in una visione mistica, personale e intima diversamente dalla “via antiqua” che vedeva la salvezza sotto la guida della Chiesa, non come esperienza personale ma collettiva “extra ecclesia nulla salus”.                                                                                  Francesca e Giuseppe Berton

STEMMA2 ELETTRICA FRIULANA

Dal mese di Ottobre, è attivo un nuovo servizio sperimentale per vedere, sentire e pregare assieme all’assemblea presente in chiesa, la Santa Messa Online. Grazie alla collaborazione con Elettrica Friulana,  con un solo click, è possibile vedere e ascoltare la Santa Messa in live streaming senza limiti o interruzioni e da ogni parte del mondo.


Cosa è necessario?

Semplicemente un dispositivo connesso ad internet! Può essere uno smartphone, un tablet, un pc.


Cosa significa online?

Online significa in rete, in internet. Vedere e ascoltare la Santa Messa in internet non ha lo stesso valore di viverla in Chiesa. La Cattedrale di Udine, cerca di aiutare il più possibile chi ha i mezzi ma non può esserci fisicamente per motivi di salute, di lavoro ecc.


CLICCA QUI PER VEDERE!


Suggerimenti?

E’ un servizio sperimentale, il che significa che stiamo sperimentando la fattibilità del servizio.

Contattaci con  il form sotto oppure utilizza i canali social per darci suggerimenti, aiuti, consigli su come migliorare. Grazie per la collaborazione. [seed_contact_f]

OTTAVARIO PER I DEFUNTI NELLA CHIESA  DI SAN GIACOMO APOSTOLO

1-8 NOVEMBRE

 

Ogni sera alle ore 17.00 Recita del S. Rosario per i defunti

Ore 17.30 Celebrazione della S. Messa per:

* I defunti della “Congregazione della Madonna del Suffragio”.

* I sacerdoti che hanno prestato il loro servizio in questa chiesa.

* Coloro che sono morti tragicamente.

* Coloro che sono stati colpiti da morte improvvisa.

* I nostri benefattori.

* I nostri parenti.

* Tutti i fedeli defunti.

* I defunti dimenticati da tutti.

                                                                                                                                              

INDULGENZA PLENARIA PER I DEFUNTI 1-2 novembre

 

Possiamo ottenere a favore dei defunti l’indulgenza plenaria (una sola volta) dalle ore 12.00 del 1° novembre a tutto il 2 novembre. Queste sono le condizioni richieste:

Visitare una chiesa o una cappella pregando.

Celebrare il sacramento della Riconciliazione, in un tempo ragionevole prima o dopo il giorno in cui è concessa l’Indulgenza (ad esempio otto giorni prima oppure otto giorni dopo).

Partecipare alla S. Messa accostandosi alla Comunione.

Recitare il Padre nostro, l’Ave Maria, il Credo ed una preghiera secondo l’intenzione del Papa.

***Durante l’ottavario, dal 1° all’8 novembre, ogni giorno, alle stesse condizioni, si può applicare la medesima indulgenza, visitando il cimitero e pregando per i propri defunti.

Carissimi fedeli,  in questi giorni troveremo le chiese vestite a festa, con le reliquie dei Santi esposte alla nostra venerazione, tra le fiammelle ardenti e il profumo dell’incenso: segni che ci ricordano vicende di uomini e donne buoni, di ogni nazione, popolo e lingua, che sono passati in mezzo a noi spargendo il buon profumo di Cristo e hanno arricchito e sostenuto la vita di tanti fratelli.

Noi siamo debitori nei confronti del Signore che ce li ha donati,

per loro mezzo ci ha manifestato il suo amore per noi e ce li ha offerti come modelli di vita.

In questi giorni la Chiesa ci invita a:

  *   Contemplare la città del cielo in cui l’assemblea festosa dei Santi glorifica in eterno il Signore Dio,

  *   Affrettare il cammino verso la patria, con quella speranza che ci fa sentire pellegrini (non naufraghi) tra le tempeste della vita,

  *   Lasciarci colmare dalla gioia perché abbiamo tanti fratelli e sorelle come amici e intercessori.

Questa memoria si mescola alla tristezza: la pena di non poter più vedere il volto né poter riabbracciare quelle persone che ci sono state care, che hanno condiviso le nostre esperienze, che hanno segnato la nostra vita…… Nel silenzio e nella preghiera potremo riudire le loro raccomandazioni e far tesoro dei loro insegnamenti: ciò che vale, quello che conta veramente nella vita. Rivedremo i gesti dell’amore e della solidarietà, ricorderemo le parole di pace e di perdono, la loro fedeltà alla preghiera e alla vita della comunità. Consapevoli delle fragilità e delle zone d’ombra che hanno contrassegnato anche la loro esistenza, la nostra preghiera di suffragio diventerà una supplica perché sia affrettato il tempo della loro purificazione.

Nel frattempo potremo continuare il nostro colloquio con loro, invocare la loro protezione, continuare a godere del loro aiuto. E rimaniamo in attesa del giorno nel quale con tutti gli uomini, purificati dalle sofferenze e dal peccato, potremo ritrovarci in festosa convivialità nella Gerusalemme celeste e Dio stesso sarà in mezzo a noi, come nel giorno delle nozze a Cana di Galilea.                                                                                                                                                                                                                                        Don Giulio Gherbezza