Carissimi, il Parroco mi ha detto che ha dovuto aumentare le copie di questo foglietto domenicale anche perché questi interventi che ambientano il Vangelo domenicale sono istruttivi, coinvolgenti e graditi. Ciò mi incoraggia a continuare per offrire la mia collaborazione in parrocchia, pur non potendo venire a celebrare l’Eucaristia con voi, che ricordo volentieri al Signore nella preghiera.
PRENDI IL LARGO
Dopo l’incontro/scontro con i “pii israeliti a Nazaret” “…scese a Cafàrnao, città della Galilea…” (Lc 4,31) e vi si stabilì in casa di Simone e Andrea. Cafàrnao sarà il centro del ministero di Gesù in Galilea. Cittadina situata a 4 Km ad ovest dell’ingresso del fiume Giordano nel lago di Gennèsaret -. (Lc e Mc) detto anche Mar di Galilea o lago di Tiberiade (Gv) -. Era città di confine fra lo stato di Filippo e quello di Erode Antipa. Politicamente meno controllata e più libera, cosmopolita e città di commercio. Luca ci informa che le giornate di Gesù finivano tardi alla sera: “Al calar del sole, tutti coloro che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero da lui” (Lc 4,40) e iniziavano al mattino presto: “Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto” (Lc 4,42).
“Mentre la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la Parola di Dio, Gesù,… vide due barche accostate alla sponda…”(Lc 5,1) così inizia il brano del Vangelo di questa domenica. Siamo sulle rive del lago, in un giorno feriale, mentre gli uomini sono impegnati nel loro lavoro, stanno sudando per guadagnarsi da vivere. Gesù salì sulla barca di Pietro e “insegnava alle folle”(Lc 5,3). “La sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante” (Lc 437) perché avevano visto guarire nella sinagoga di Cafàrnao uno posseduto dal demonio, a casa di Pietro guarire sua suocera da una grande febbre. Il simbolismo è evidente: non è solo durante la liturgia del sabato e negli ambienti e luoghi di culto che Gesù annuncia la parola di Dio. Egli la proclama in tutti i contesti, in quelli sacri e in quelli profani, perché essa illumina, ispira, guida ogni attività dell’uomo ed è sempre luce, consolazione e speranza.
“Quando ebbe finito di parlare disse a Simone: «Prendi il largo – Vulgata – Duc in altum»”. Questo invito ha un significato reale perché il lago era molto grande con i suoi 21 Km di lunghezza e 13 di larghezza e una profondità massima di 45 m. La sua specificità è che si trova a circa 213m sotto il livello del mare ed è circondato da colline alte tra 360 e 460 m che, per le forti correnti d’aria, causano violenti temporali. Lago molto pescoso e al tempo di Gesù nutriva una popolazione molto numerosa. Il simbolismo è ben sottolineato da papa san Giovanni Paolo II°. “Duc in altum” scrive il papa nella sua lettera apostolica Novo millennio ineunte – all’inizio del nuovo millennio – «è un invito ad andare in profondità nelle cose, a essere intraprendenti, audaci; dobbiamo dare alla nostra vita uno slancio, un dinamismo forte fondato sulla grazia di Dio». Ma, leggendo Luca, si scopre che a Pietro questo ordine sembra insensato: quella non è l’ora per pescare e si corre senz’altro il rischio di esporsi al ridicolo e ai motteggi dei colleghi. “…ma sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5). Strano poi: lo stupore per le barche che quasi affondano cariche di “una quantità enorme di pesci” (Lc 5,7) lascia posto al timore ”Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” (Lc 5,8). Stupendo: posso io annunciare il Vangelo con tutti i miei peccati che si ripetono, si rincorrono e non cambia mai niente? Gesù: “Non temere” (Lc 510).
“«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,10b-11). Questi versetti formano il tema centrale del brano evangelico. Il fatto della chiamata dei primi apostoli lo comprendiamo bene, ma il linguaggio merita un momento di riflessione. Nella Bibbia le acque del mare sono il simbolo del potere del male, delle forze che portano alla morte. Uomini che devono essere pescati – Luca usa l’espressione “catturati vivi”- cioè aiutati a vivere, sono coloro che si sentono in balia dei loro idoli, delle loro passioni, che sono capaci solo di fare del male a se stessi e agli altri. A dover essere tirata fuori dalla sua condizione disperata è l’umanità intera che rischia di venir inghiottita dalla violenza, dagli odi, dalla guerra, dalla corruzione morale. I pesci stanno bene nell’acqua, nell’acqua però non si trovano a loro agio gli uomini, specialmente quando si tratta di quel mare immenso, profondo, cupo, agitato I pesci tirati fuori dall’acqua muoiono, gli uomini invece vivono. Di questo simbolismo si serve Gesù per spiegare ai discepoli qual è la loro missione. Ce lo spiega bene sant’Ambrogio. «Gli strumenti della pesca apostolica sono le reti, infatti non fanno morire chi vi è preso, ma lo conservano per la vita, lo traggono dagli abissi alla luce».
“…lo seguirono” (Lc 5,11b) noi cristiani non siamo dei sognatori, degli illusi, ma dei convinti e siamo pronti “sulla tua parola” (Lc 5,5) a “pescare a mezzogiorno”… se il Maestro ce lo chiede.
Buona Domenica. Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-02-09 09:37:092019-02-09 09:37:095^ Domenica del Tempo Ordinario
anche oggi cerchiamo di approfondire questo brano di vangelo chiedendoci: Come mai Gesù viene prima accolto e poi rifiutato nel suo paese dove era cresciuto? Qual è il vero Gesù che l’evangelista Luca ci presenta? (Lc 4,21-30)
Il brano del Vangelo di questa domenica riprende l’ultimo versetto della domenica scorsa “…un anno di grazie del Signore” (Lc 4,21) e apparentemente continua con un’approvazione unanime al discorso pronunciato da Gesù: “Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca…” (Lc 4,22). Poi incominciano le difficoltà. Non si comprende perché gli abitanti di Nazareth improvvisamente passino dall’ammirazione agli insulti e poi al tentativo di linciarlo. Per quale motivo reagiscano in questo modo? E non ci è facile anche capire perché Gesù citi due proverbi: “Medico cura te stesso” e “nessun profeta è accolto nella sua patria” (Lc 4,23-24). Desidereremmo anche sapere come è riuscito a sfuggire a tanta gente inferocita. Si è miracolosamente volatilizzato? Non può essere. Quando, leggendo il Vangelo, ci imbattiamo in particolari che appaiano strani e inverosimili l’evangelista ci spinge a pensare che oltre al puro dato di cronaca bisogna ricercare il significato più profondo dell’episodio. Proviamo a cercarlo.
La reazione dei presenti nella sinagoga si spiega solo se Gesù ha detto o fatto qualcosa che ha urtato la loro sensibilità: E una ragione dell’ostilità possiamo trovarla. Nella celebrazione del sabato era d’obbligo leggere come seconda lettura un brano di un profeta. A Nazareth, povero villaggio, – ricordate che prima dell’Annunciazione il suo nome non era mai apparso nella Bibbia – probabilmente c’era solo il rotolo del profeta Isaia. Quindi letto e riletto, ogni sabato, tutti lo conoscevano ormai a memoria e il brano scelto da Gesù, tra l’altro, era uni dei più noti. L’irritazione degli ascoltatori potrebbe essere stata provocata dal fatto che Gesù ha bruscamente interrotto la lettura dopo un versetto e mezzo. Perché non è andato oltre? Leggiamo il seguito e capiremo la ragione. Dopo “sono stato inviato… ad annunciare un anno di grazia del Signore…” Gesù chiude il libro. Ma il testo, che tutti conoscevano, proseguiva:”...e il giorno di vendetta del nostro Dio” (Is 61,2). Era questa la frase che tutti volevano sentire. Gli abitanti di Nazareth, come tutti gli israeliti, agognavano questa vendetta, desideravano ansiosamente l’intervento punitivo di Dio contro i pagani che per tanti secoli li avevano oppressi. Ora che sembrava giunto il momento Gesù annuncia un anno di grazia, il condono di tutti i debiti, la benevolenza incondizionata di Dio verso tutti.
Le sue parole di grazia contengono un messaggio inaccettabile, inaudito. E allora ecco la reazione: “Chi crede di essere, non è il figlio del carpentiere?” E il contrasto fra la mentalità tradizionale che aspetta un messia glorioso, vincitore e vendicatore e le parole di grazia pronunciate da Gesù è radicale e si riproporrà durante tutta la vita pubblica. I due proverbi sono una ulteriore smentita delle loro attese, una presa di distanza dalle loro convinzioni, un rifiuto dei loro sogni, una condanna delle loro illusioni. Con gratitudine ascoltiamo e leggiamo questi brani che ci fanno incontrare il “vero” Gesù del Vangelo di Luca.
L’ultimo versetto “Ma Gesù passando in mezzo a loro se ne andò” (Lc 4,30). Non è una sparizione miracolosa è un messaggio di speranza a tutti noi credenti: nelle incomprensioni, dissidi, ostilità, derisioni, persecuzioni… non dimentichiamoci che ciò è accaduto a Gesù e con lui continueremo sicuri lungo la strada fino alla meta.
GLI EVANGELISTI E I LORO SIMBOLI
Siamo all’inizio del Vangelo di Luca e, penso utile, fare una riflessione sui simboli degli evangelisti dato che Luca viene spesso raffigurato con accanto un toro alato. Nella nostra bella Cattedrale troviamo ben due volte le raffigurazioni degli evangelisti con i loro simboli. Nella volta della cappella dei SS. Giovanni Battista ed Eustachio il pittore Andrea Urbani ha dipinto i quattro evangelisti con i loro simboli e anche nella sacrestia di mezzo detta “dei canonici” possiamo ammirare i quattro evangelisti con i loro simboli.
Il profeta Ezechiele (593 a. C.) parla di una visione di quattro esseri: ”Quanto alle loro fattezze, avevano facce d’uomo, poi tutti e quattro facce di leone a destra, tutti e quattro facce di toro a sinistra e tutti e quattro facce d’aquila” (Ez1,10). San Giovanni nell’Apocalisse, rifacendosi a Ezechiele scrive: “In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi… Il primo vivente era simile a un leone; il secondo vivente era simile a un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto di un uomo; il quarto vivente era simile e un’aquila che vola” (Ap4,6-7). Alcuni Padri della Chiesa ritennero che le due visioni si riferissero ai quattro evangelisti. Il primo fu Ireneo di Lione (180 d.C.), ma chi ha dato più valore a queste profezie e ha abbinato i simboli agli evangelisti è stato il grande san Girolamo (347-420). Matteo è simboleggiato nell’uomo alato perché il suo vangelo inizia con gli antenati di Gesù-Messia. Marco è simboleggiato nel leone perché il suo vangelo inizia con la predicazione di Giovanni Battista nel deserto, luogo delle bestie feroci. Luca è simboleggiato nel bue perché il suo vangelo inizia con la visione di Zaccaria nel tempio, ove si sacrificavano gli animali come buoi e pecore. Giovanni è simboleggiato nell’aquila, l’occhio che fissa il sole, perché il suo vangelo si apre con la contemplazione di Gesù-Dio: “In principio era il Verbo”.
Buona Domenica. Mons. Pietro Romanello
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-02-02 10:04:462019-02-02 10:04:464^ Domenica del Tempo Ordinario
Durante le feste natalizie le offerte raccolte per l’iniziativa “La luce di Betlemme” portata dagli scout in cattedrale, hanno raggiunto la somma di 1.169,00 Euro che verrà devoluta per la formazione di alcune infermiere cristiane in India e per la comunità delle Suore Apostoline che si dedicano alla pastorale vocazionale a Skierniewice in Polonia.
I bambini del catechismo che hanno accompagnato il corteo dei Re Magi al Presepio della cattedrale, hanno offerto 416,00 Euro per l’istituto dei bambini sordi di Cebu City nelle Filippine.
GIORNATA DELLA CARITA’. Domenica 17.03.2019 abbiamo raccolto 2.365,00 Euro per la Caritas parrocchiale, i gruppi vincenziani e per il Venezuela tramite la Caritas diocesana.
Ringraziamo cordialmente i benefattori
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/centro-di-ascolto-1.jpg175250Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-02-02 09:47:272019-02-02 09:47:27Offerte
ho accolto volentieri l’invito del parroco ad offrirvi il mio contributo di studio e riflessione sul vangelo domenicale, fino alla solennità della Pasqua. Non è una omelia, ma vuole essere una chiave di lettura, corredata da qualche annotazione anche storico-scientifica, offerta a tutti per una comprensione più approfondita del testo sacro. Ognuno di noi potrà trarre qualche spunto per la propria vita cristiana.
Il vangelo di questa domenica è composto da due brani: il prologo, cioè l’inizio del libro redatto da Luca (Lc 1,1-4), e l’inizio della predicazione di Gesù (Lc 4,14-21). Posti l’uno accanto all’altro questi due testi ci fanno capire come la parola di Dio sia diventata prima Scrittura, Bibbia, Libro santo e poi, anche per noi oggi, Parola vivente per l’assemblea dei credenti.
“Poichè molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parole, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scrivere per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo…” (Lc 1,1-3). “Sono accaduti – dice Luca – dei fatti tra di noi. Non sogni, non dottrine filosofiche, non rivelazioni esoteriche, ma fatti, avvenimenti reali che hanno avuto per protagonista Gesù di Nazaret. Ciò che Gesù ha fatto e insegnato ha avuto testimoni oculari che sono diventati poi “ministri della Parola”. “Servi della Parola”; persone che hanno dedicato tutta la loro vita all’annuncio fedele di ciò che hanno udito e visto e hanno preferito morire piuttosto che tradire il messaggio ricevuto dal Maestro. Luca, che non ha conosciuto Gesù, si è rivolto ai primi testimoni per stendere il suo Vangelo. L’obiettivo per cui scrive è: dare basi solide alla fede dei cristiani della sua comunità, alla nostra fede.
“Illustre Teòfilo”. Era abitudine degli autori classici dedicare la loro opera a chi la sponsorizzava. Le pergamene erano costose e per un Vangelo occorrevano le pelli di una ventina di capretti; poi bisognava pagare i calligrafi che ricevevano poco più di un bracciante, ma erano lenti; infine anche l’autore del libro doveva vivere. Luca aveva un ammiratore, Teòfilo, probabilmente dell’Asia Minore che si era accollato tutte le spese. In segno di gratitudine, l’evangelista lo menziona sia nel prologo del Vangelo sia in quello degli Atti degli Apostoli.
La seconda parte del brano del Vangelo (Lc 4,14-21) narra l’inizio della vita pubblica di Gesù nella sua terra, la Galilea. E’ sabato e la gente va alla sinagoga a pregare e per ascoltare la lettura e la spiegazione della Parola di Dio. Un rabbino organizza l’incontro, ma ogni adulto può presentarsi o essere invitato a leggere e commentare le scritture. Il commento consisteva nel ripetere a memoria i commenti dei grandi rabbini. Gesù si unisce al suo popolo e si rende disponibile a fare le letture. Anche lui segue lo schema rituale: la recita del Shema’ – Ascolta Israele… preghiera del pio israelita -, le benedizioni e le due letture, la prima dal Pentateuco – Torah – la seconda dai Profeti. Il testo scelto è preso da profeta Isaia:
“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunciare ai poveri il lieto messaggio… e predicare un anno di grazia del Signore”.
Le parole di Isaia riempiono il silenzio della sinagoga. Tutti gli occhi sono fissi su Gesù. Egli arrotola il volume, lo consegna, si siede. Luca ci racconta la scena di Nazaret quasi al rallentatore, per farci comprendere l’estrema importanza di questo momento. Sono le prime parole ufficiali di Gesù, il senso della sua vita: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi”.
Gesù non commenta il testo del profeta, ma ne proclama la realizzazione. Il profeta presentato da Isaia è Gesù stesso, la parola di Dio testimoniata dall’antico profeta e ascoltata da quanti si trovano nella sinagoga si realizza proprio in lui. Quelle parole indicano anche il programma della vita di Gesù: ecco ciò che lui dirà e farà, ecco la Buona Notizia, il Vangelo che attraverso lui si realizza. Questo evento narrato da Luca e letto ora nell’assemblea cristiana, risuona come Parola che chiede di essere realizzata da ciascuno di noi e dalla Chiesa tutta. La liturgia eucaristica ci aiuta ad assumere questa consapevolezza.
“…e mi ha mandato a predicare un anno di grazie del Signore” (Lc 4,19). «Un anno, cioè un secolo, mille anni, una storia intera, fatta di benevolenza e di tenerezza da parte di Dio. E noi a tentare di prolungarla» (P. Ronchi).
Nel nostro cammino cristiano quest’anno saremo accompagnati ogni domenica dal Vangelo di Luca.
Buona Domenica. Mons. Pietro Romanello
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-01-26 10:48:552019-01-26 10:48:553^ Domenica del Tempo Ordinario
Corsi di preparazione alla Cresima, nelle seguenti Parrocchie:
Cattedrale: Lunedì ore 20.30
(Tel. 0432-505302)
S. Andrea in Paderno: Martedì ore 20.30
(Tel. 0432-42809)
S. Giuseppe (Viale Venezia): Mercoledì ore 20.30
(Tel. 0432-232294 oppure Casa della Missione 0432-505637)
La Cresima verrà celebrata in Cattedrale Domenica 09 giugno 2019 alle ore 10.30 – Solennità di Pentecoste
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/catechesi-cresimandi-adulti.jpg171188Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-01-26 10:29:072019-01-26 10:29:07Preparazione degli adulti alla Cresima
oggi, con la Festa del Battesimo del Signore, termina il Tempo di Natale e la liturgia ci conduce ancora una volta ad ammirare l’identità di Gesù che si è fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Gli evangelisti ci accompagnano nel nostro cammino e nella contemplazione di Lui che, pur senza peccato, umilmente si mette in fila tra i peccatori.
Luca chiude il Vangelo dell’infanzia con Gesù dodicenne tra i dottori del Tempio di Gerusalemme e a conclusione dell’episodio scrive: “Scese dunque con loro (Maria e Giuseppe) e venne a Nazareth, e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,51-52). Poi un lungo silenzio sia di Luca che di Matteo, gli evangelisti, che ci hanno raccontato gli avvenimenti di Gesù fino ai dodici anni; silenzio fino al Battesimo, una ventina d’anni.
Luca specifica l’anno: “Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare”(Lc 3,1) era l’anno 29, ma non specifica il luogo dove è avvenuto il Battesimo di Gesù, ma vi allude Giovanni: “Avvenne in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni Battista stava battezzando” (Gv 1,28). La tradizione ha giustamente localizzato l’episodio a Betabàra, il guado dove anche il popolo d’Israele, guidato da Giosuè, ha attraversato il fiume ed è entrato nella Terra Promessa. Nel gesto di Gesù sono presenti richiami espliciti al passaggio dalla schiavitù alla libertà e all’inizio di un nuovo esodo verso la Terra Promessa.
Il tratto di Vangelo che oggi viene proposto dalla liturgia inizia con il versetto 15 “Poiché il popolo era in attesa…” (Lc 3,15). E’ facile immaginare di che cosa: lo schiavo si aspettava la libertà, il povero una nuova condizione di vita, il bracciante sfruttato si attendeva giustizia, il malato la guarigione, la donna umiliata e violentata il ricupero della dignità. Tutti aspiravano a un mondo nuovo, speravano che fra gli uomini sparissero gli abusi, le prevaricazioni, i soprusi e si instaurassero rapporti di pace. “Ed ecco, mentre il popolo veniva battezzato e Gesù ricevuto anche lui il battesimo…”(Lc 3,21) annota Luca con compiacenza. Partecipando al movimento di rinnovamento e conversione suscitato dal Battista nel suo popolo, Gesù mostra di concepire la sua vita come una via di solidarietà nei nostri confronti. Non è un Messia accanto alla comunità, ma in mezzo ad essa. Si mette a fianco dei peccatori: non li giudica, non li sgrida – come faceva il Battista – non li condanna e non li disprezza. Ne condivide la condizione di schiavitù e con loro percorre il cammino che porta alla libertà. L’evangelista continua: ”…stava in preghiera” (Lc 3, 21). Gesù non prega per darci il buon esempio. Egli ha bisogno, come noi, di scoprire qual è la volontà del Padre, ha bisogno di ricevere la sua luce e la sua forza. Ha bisogno di pregare ora che è agli inizi della sua missione. Dopo questa introduzione Luca non ci racconta il battesimo di Gesù, ma descrive la scena successiva con tre immagini: L’apertura dei cieli, la colomba, la voce del cielo.
“Il cielo si aprì…” (Lc 3,21): Dopo un lungo periodo di silenzio da parte di Dio e da parte del suo Spirito, ora inizia il tempo atteso, nel quale Dio di nuovo si dona agli uomini e torna a parlare. “…e discese sopra di lui lo Spirito Santo…”(Lc 3,22). Lo Spirito del Battesimo non trasforma Gesù, ma svela pubblicamente chi Egli è. Non muta la sua identità, ma la rende trasparente. “…e venne una voce dal cielo” (Lc 3,22). Dal cielo non significa tanto la provenienza quanto l’autorevolezza. E’ una voce che proviene da Dio che proclama: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). Luca ci fa capire chi è Gesù e quale è la sua missione. Una missione che svolgerà nella fermezza e, al tempo stesso, nella dolcezza e nel dialogo: “non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppini dalla fiamma smorta” (Is 42,1ss). Una missione nell’umiltà, che dà speranza e salvezza agli infelici, una missione universale. Gli elementi essenziali del Battesimo di Gesù sono la filiazione divina, il dono dello Spirito e la missione.
Questi sono i tre elementi essenziali che costituiscono anche il nostro battesimo. In questa domenica un bambino viene battezzato: che bellezza! E quando assistiamo alla celebrazione del Battesimo chiediamoci: non che cosa dobbiamo fare e abbiamo fatto, ma che cosa ha fatto Dio in quel giorno per noi? Il nostro buon Vescovo Monsignor Alfredo Battisti – in questi giorni ricordiamo il settimo anniversario della morte – citava spesso una frase di sant’Agostino: “Per voi sono vescovo, ma con voi sono cristiano” a significare la grandezza del Battesimo. Prima di essere vescovo sono un figlio di Dio, un cristiano – un consacrato/unto/inviato – un fratello. Per la grandezza del sacramento del Battesimo, e per la gioia di essere un battezzato, mi ripeto spesso una Parola di Dio trasmessa dal profeta Isaia:
“Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai”. (Is 49,15).
A tutti invio il mio cordiale saluto ed auguro un buon proseguimento nel nuovo anno. Mons. Pietro Romanello
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-01-12 10:01:112019-01-12 10:01:11Festa del Battesimo del Signore
Carissimi parrocchiani e fedeli che frequentate la cattedrale, è sempre bello e a me gradito poter rivolgere a voi gli auguri di Natale. Lo faccio da 15 anni ormai e sono felice di annunciare sempre la stessa bella notizia che Gesù si è incarnato in mezzo a noi e perciò ancora quest’anno canteremo: “Dio si è fatto come noi, per farci come Lui”.
Nostalgia del S. Natale
Ogni anno sento la nostalgia del Natale e non mi vergogno, del Natale della mia infanzia. La preparazione incominciava abbastanza presto. Si doveva mettere una tavola nell’angolo a sinistra entrando in cucina, che era anche sala da pranzo e salotto. Tutto era in un’unica stanza e perciò anche il presepio era parte di noi. Il tavolo era abbastanza grande per ospitare e sostenere anche le montagne che erano resti di ceppaie di gelso portate a casa dalla campagna per bruciare sul fuoco ma che, per l’occasione, diventavano monti con grotte da cui scendeva il fiume simulato da una striscia di carta argentata, recuperata chissà dove… per formare poi un laghetto rappresentato da un frammento di specchio trovato in qualche fosso del paese. Ma occorreva anche il muschio per coprire tutta la tavola ed allora andavamo in campagna sui crinali dei fossi o lungo qualche scarpata che custodiva qualche larga macchia di muschio soffice e profumato, specialmente nelle zone più ombreggiate. Doveva essere il migliore, il muschio più bello e raccolto a zolle perché così restava unito ed un po’ umido per mantenere il suo colore verde e durare a lungo. Su questo prato fresco ed accogliente trovavano posto tutti i personaggi del Presepio che ogni anno aumentavano di numero. Le “statuine” di carta ritagliate da qualche libro e rinforzate con cartone incollato ad ognuna con la colla di farina di frumento impastata con l’acqua, erano sostenute da un listello di materiale più consistente perché non cadessero al primo soffio di vento o colpo d’aria che entrava all’aprirsi della porta di casa. Ogni precauzione però era inutile quando un nemico, durante la notte, con un balzo felino e veloce, entrava con passo felpato e silenzioso in mezzo alle statuine ignare e immobili. Era il gatto, sornione e giocherellone durante il giorno, dispettoso e traditore durante la notte. Al suo passaggio, nell’oscurità e nel silenzio, tutte le statuine cadevano restando prone o supine sul muschio, come innocenti caduti sui campi di battaglia. Al mattino le ricomponevo nella loro posizione naturale, una in piedi, l’altra seduta, una terza in ginocchio o comunque nella posizione indicata dal suo mestiere e dal compito che stava svolgendo. Il gatto, sacrilego, non si limitava soltanto a procurare questo devastante scompiglio ma si accomodava all’ingresso della capanna, facendo scomparire dietro di sé, sia la sacra famiglia che il bue e l’asinello. Inutili erano le mie rimostranze quotidiane e le sgridate mattutine, sia perché fuggiva spaventato al sentirmi alzar la voce, sia perché non capiva come mai lui non potesse fare da statuina vivente accanto alle altre, vicino alle pecore, a debita distanza dal cane dei pastori, in mezzo alle galline e alle anatre come era solito passeggiare nel cortile di casa. Poi venne l’epoca delle statuine vere. Erano fatte di gesso, bellissime, colorate. Le avevo viste solo in chiesa. Mi incantavano. Non vedevo l’ora di poterle comperare ma nel mio paese nessun negozio le vendeva e poi non c’erano letteralmente i soldi per comperarle. La fantasia però, nel momento del bisogno, ci veniva benevolmente incontro per racimolare qualche risparmio. Ci affidammo ad Angelino che veniva a scuola a Udine, dove c’erano i negozi di oggetti religiosi. Lo aspettavamo sulla piazza verso le sette di sera, prima della novena di Natale, quando lui rientrava con la corriera che si annunciava col suo caratteristico suono di clacson, noto a tutti anche oggi. Già al sentirlo mi saliva il cuore in gola per l’emozione ed accelerava i suoi battiti per la gioia di poter ammirare le statuine di terracotta colorata, ancora avvolte nella carta di giornale. Vorrei assaporare ancora questa emozione, forse ritenuta di poco conto e non degna di nota ma per me era profonda, attesa per lungo tempo e gustata lentamente come si gusta con piacere un bicchiere d’acqua fresca quando la calura si fa sentire e si anela di giungere ad una fonte. Mio fratello Toni ed io risparmiavamo qualche spicciolo per comperare innanzitutto Gesù Bambino con le braccia spalancate ed il volto sorridente poi la Madonna, inginocchiata a fianco della culla, con le mani giunte e lo sguardo dolce rivolto a Gesù e quindi S. Giuseppe, con la faccia serena e preoccupata insieme, in piedi, appoggiato al suo inseparabile bastone che si doveva cambiare di anno in anno perché andava sempre perso quando si riponeva in una cassetta il Presepio dopo l’Epifania. Non mancavano il bue e l’asino che scaldavano la sacra famiglia, col loro fiato umido e caldo: la scena doveva essere completa nella capanna di Betlemme! Nessun personaggio doveva mancare! Tutti erano necessari. Ricordo che un giorno mio fratello ebbe l’idea di mettere una piccola lampadina anche nella capanna, dato che Gesù era la luce del mondo. Da un’altra stanza tirò il filo elettrico, quello intrecciato di una volta, ma appena acceso l’interruttore il filo iniziò ad ardere dal punto di partenza e piano piano il fuoco stava giungendo al Presepio e solo la prontezza di mio papà, chiamato d’urgenza dalla stalla dove stava lavorando, tolse di mezzo il pericolo prima che capitasse il peggio. Per me il Natale stava lì, davanti ai miei occhi, era la nascita di Gesù, il figlio di Dio. Nasceva a casa mia, dove ero nato anch’io. E per questo lo consideravo mio fratello. Infatti dopo che era nato in chiesa durante la Messa di mezzanotte, in un presepio più grande, al canto del “Gloria in excelsis Deo” intonato dal parroco a voce spiegata…io correvo a casa e subito ponevo la statuina di Gesù Bambino al centro della capanna, al suo posto, sulla paglia che mandava riflessi dorati. Mi pareva di aiutarlo a nascere. Era questa la sorpresa, l’incanto, lo stupore: nasceva anche a casa mia, dove eravamo nati tutti noi. Diventava uno di noi. Non sapevo come e nemmeno perché, non cercavo ragioni o spiegazioni. Era così e basta. A Natale Gesù Bambino doveva nascere anche nel mio Presepio. Fantasia di un bambino di una volta; ed oggi come la posso chiamare? Nostalgia dell’infanzia, sentimentalismi, vecchiaia che avanza? Tutto vero. Ed ognuno ha la libertà di pensarlo. Ma c’è un “ma”…altrimenti quanto detto, anche da me sarebbe considerato un banale ricordo infantile che non regge di fronte a considerazioni giustamente più attuali, profonde ed impegnative.
Gesù nasce oggi a casa nostra
Carissimi, mi accorgo oggi che io non ero lontano dalla verità, anzi, ero inconsciamente nella verità. Vorrei stupirmi ancora adesso. Infatti anche oggi Gesù nasce misteriosamente, questo è un evento che accade a chi apre il cuore, è una realtà che si può vivere nelle nostre case. Anche oggi può essere disturbato e ostacolato ma nulla può uccidere l’attesa che suscita la sua nascita, il desiderio di un ”oltre, un di più”, di un dono che viene dall’alto, di una luce che scende senza abbagliare. Non ci basta quello che vediamo ogni giorno, il cuore è sempre assetato di gioia e di felicità, del volto di Dio. Ed ecco allora alcune certezze che fanno parte della nostra fede. “Il Verbo di Dio si fece carne” in una famiglia. La famiglia è una realtà di salvezza, vince la solitudine, esorcizza la paura del futuro, dona forza per lottare, fa esperimentare la condivisione, abilita alla relazione autentica, favorisce il dialogo, aiuta ad aprirsi a rapporti di rispetto e generosità, trasmette la fede e le verità più alte. “Venne ad abitare in mezzo a noi”. Egli è solidale con noi e ci insegna a restare uniti tra noi in modo costruttivo, a fare rete tra noi in famiglia, nella realtà lavorativa, nelle istituzioni. Siamo chiamati a camminare concretamente e a sostenerci a vicenda, in modo visibile e fruttuoso. Come ha fatto Lui. Noi vediamo personaggi diversi nel Presepio, esercitano vari mestieri ma tutti sono rivolti ed incamminati verso la capanna di Betlemme. È una meta comune. A nessuno dobbiamo sbarrare la strada verso il Signore, se mai dobbiamo favorirla, non dobbiamo restare indietro ma possibilmente affrettare il passo. Siamo fiamme che ardono di passione umana Un secondo momento della nostalgia natalizia è per me il ricordo vivo dei Re Magi. Già alcuni giorni prima del Natale collocavo in lontananza i Re Magi e piano piano, quotidianamente, li spostavo nella direzione della capanna. Non potevano restare immobili, lontani, e poi, di punto in bianco, comparire davanti a Gesù. Dovevano percorrere il tragitto stabilito, fino a giungere lentamente davanti a Gesù per adorarlo. Mi è sempre piaciuta l’“Adorazione dei Magi” di El Greco conservata al Prado di Madrid. Dio si è incarnato sulla terra ed è Lui il centro di gravità, su nel Paradiso, e perciò i personaggi si allungano verso l’alto come fiamme. Noi siamo terra ma siamo attratti dal cielo. Dio si è fatto terra ma la terra è la strada verso il cielo, siamo fiamme che ardono di passione per le cose umane ma queste sono le strade per quelle divine. Abbiamo una missione che è fatta di compiti e di doveri nella vita. La nostra testimonianza concreta indica il divino che sta in noi. È il suo amore. Fermiamoci davanti al Presepio a guardare, come bambini, il Bambino. Sentiamo la nostalgia del divino dentro di noi. Osserviamo le sue braccia allargate in segno di accoglienza: è questo gesto che mette tutti in movimento, dà garanzia che Dio è in noi e con noi. Oggi e sempre. Anche tramite noi. Imitando il suo gesto accogliente forse qualcuno potrebbe mettersi in movimento e incontrare Dio stesso. Non sarebbe la prima volta che ciò succede. Anche se questo non succedesse, la nostra accoglienza sarebbe già un gesto natalizio, che fa nascere o rinascere. Ad ognuno resta la sua responsabilità. Braccia spalancate o braccia conserte, occhi aperti o occhi chiusi, cuore forte o cuore indurito. Accogliere Gesù è accogliere anche tutti i suoi fratelli. E adesso ognuno faccia la sua parte perché il Natale sia buono per tutti. Lo auguro a voi e a me.
Buon Natale Il Parroco Mons. Luciano Nobile
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/Santo-Natale.jpg172299Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2018-12-24 11:00:422018-12-24 11:00:42Santo Natale
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/4-DI-AVVENTO-4.jpg194321Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2018-12-22 10:44:372018-12-22 10:44:37Quarta Domenica di Avvento
Carissimi, proseguiamo nella spiegazione del Vangelo di Luca, per poter comprendere con maggiore consapevolezza quanto l’autore sacro racconta.
I primi due capitoli del Vangelo di Luca sono comunemente conosciuti come il “Vangelo dell’infanzia”. L’evangelista ci racconta la nascita di Gesù con gli avvenimenti che la precedono e la seguono, sino all’età di dodici anni, e ci dice che ha fatto delle ricerche per conoscere questi fatti quindi fatti certi, ma il linguaggio che usa nel raccontarli è “biblico”. Si serve del linguaggio, metodo di raccontare, che nel Vecchio Testamento hanno usato gli scrittori sacri per avvenimenti simili – apparizioni di angeli, annunci, nascite -.
Penso sia utile per la fede e la preghiera fermarsi un attimo su ogni avvenimento.
Annuncio della nascita Giovanni: «Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria…» (Lc 1,5-35). In un solo versetto ci sono sei nomi propri – Erode, Giudea, Zaccaria, Abia, Aronne, Elisabetta -. L’azione di Dio cade nel tessuto normale degli avvenimenti profani, in un luogo preciso, con persone precise realizza la sua promessa. Ma ciò che conta agli occhi di Dio non è Erode il Grande, ma una coppia di persone modeste in cui depone e fa crescere la sua promessa.
Annuncio a Maria: «Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio…a una vergine…chiamata Maria» (Lc 1,26-38). Al mattino, a mezzogiorno e a sera, per tre volte al giorno suonano le campane. E’ l’Ave Maria. Il saluto dell’angelo scandisce l’inizio, il centro e la fine del giorno per ricordarci che principio e fine di tutta la vita cristiana è l’Incarnazione del Verbo. «Gioisci, piena di grazia…» dice l’angelo a Maria e noi con questa gioia, per antica tradizione, cantiamo nella novena del Natale questo passo del Vangelo, noto e ripetuto “Missus est». Il “sì” di Maria ha fatto scendere Dio tra noi e il nostro “sì” deve annunciare al mondo il grande dono ricevuto.
La visita di Maria ad Elisabetta e il “Magnificat”: «In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa…» (Lc 1,39-56). Maria per la sua fede nella Parola, porta in sé la beatitudine di quel dono che è Dio stesso. Elisabetta trasalisce; riconosce in lei la realtà di ogni promessa. E’ la prima visita che Dio fa al suo popolo e il suo popolo lo riconosce.
Il “Magnificat” è il canto di noi che abbiamo sperimentato “oggi” la salvezza, ma è anche un compendio della storia della salvezza che descrive l’azione di Dio, è un grazie al Dio delle Beatitudini.
La nascita di Giovanni Battista e il “Benedictus”: «Per Elisabetta intanto si compi il tempo del parto e diede alla luce un figlio». (Lc 1,57-80). Al centro di questo racconto evangelico è la questione circa il nome da dare al figlio della promessa fatta a Zaccaria. Nel dilungarsi in questa discussione e sulla nascita di Giovanni Luca vuole rendere cosciente il cristiano che viene dal paganesimo e concepisce la vita sotto il dominio del fato, che “il Signore mi ha disegnato con amore sul palmo della sua mano” (Is 49,16), “fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome” (Is 49,1). Il Benedictus è come il Magnificat un canto per leggere la storia con gli occhi della fede.
La nascita di Gesù: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1-21). Siamo davanti al presepio (mangiatoia), inginocchiati, contempliamo il Bambino, Maria, Giuseppe, ascoltiamo il coro degli angeli, osserviamo i pastori e, con profonda gratitudine, adoriamo il Dio fatto bambino per noi. Contempliamo quel Gesù che, come scrive un frate servita, ha avuto una grande intuizione: non portare gli uomini verso Dio, perché quando si portano gli uomini verso Dio c’è bisogno della legge, delle regole, del culto con la conseguenza che alcuni rimangono indietro, che altri restano esclusi. Gesù ha voluto portare Dio agli uomini “et Verbum Caro factum est”. E’ il momento dello stupore del “non capire” tanto è grande ciò che è avvenuto e avviene oggi qui. «Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia… oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11).
La presentazione di Gesù al tempio: «Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale… portarono il bambino al tempio per presentarlo al Signore» (Lc 2,22-40). E’ il racconto dell’incontro della famiglia di Gesù con il vecchio Simeone e la profetessa Anna. Anche qui abbiamo un bellissimo inno «Nunc dimittis».
Gesù tra i dottori del tempio: «I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per le feste di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni vi salirono secondo la consuetudine della festa» (Lc 2, 41-52). Gesù rivela la sua missione. Pur rimanendo sottomesso ai genitori terreni, la sua missione è quella di essere l’inviato dal Padre.
Nota: Gli altri avvenimenti dell’infanzia di Gesù: visita dei Magi, Fuga in Egitto, strage degli innocenti e ritorno a Nazaret sono narrati dall’evangelista Matteo al capitolo secondo del suo Vangelo.
Buon Natale! Mons. Pietro Romanello
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/Terza-domenica-di-Avvento.jpg210299Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2018-12-15 10:05:172018-12-15 10:05:17Terza Domenica di Avvento
Luca giustamente è considerato un evangelista storico. Egli è sensibile alla dimensione del tempo come presente, passato e futuro e conosce bene il loro reciproco rapporto. All’inizio del Vangelo Luca scrive: «…anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scrivere un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto». Lui si rivolge a cristiani della terza generazione, provenienti dal paganesimo. Distanti da Cristo nello spazio e nel tempo, non l’hanno visto quando è venuto né hanno conosciuto coloro che lo videro. Luca vuole che sia chiaro a tutti che non sta iniziando a raccontare una favola, un mito esoterico nato dalla fantasia di un sognatore. Egli intende riferirsi a fatti concreti. L’intervento di Dio nella storia dell’Umanità è avvenuto in un momento e in un luogo ben definiti.
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria» (2,2-2). Così inizia il racconto della nascita di Gesù. Il censimento di cui parla Luca è l’atto che consacra l’occupazione militare dei romani, dandole la definitiva struttura politica ed economica. E’ un atto di dominio dell’uomo sul uomo. Siamo nel 6 a.C. e Luca sembra indicare un censimento avvenuto nel 6 d.C. L’intento di questa trasposizione è teologica. La salvezza non è una storia fuori dello spazio e del tempo: è una storia con fatti ben precisi e databili. Il Messia entra e nasce in questa storia di potere e di male, entra come colui che serve (22,27), come povero che non ha dove posare il capo (9,59) per guidare i nostri passi nella via della pace, alla ricchezza sostituisce la povertà, al potere il servizio, alla superbia, l’umiltà. Luca vuole anche dichiarare solennemente che il Figlio di Dio si è inserito nella storia universale, che è diventato cittadino del mondo.
«Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommo sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (3,1-2). Il riferimento qui è preciso e importante perché permette di datare l’inizio della vita pubblica di Gesù. In Palestina l’anno comincia il 1° ottobre e allora l’anno decimoquinto di dell’impero di Tiberio si situa tra il 1° ottobre del 27 e il 30 settembre del 28 d.C. Perché Luca fa tutti questi nomi e aggiunge Anna, che sommo sacerdote non era più da 15 anni? L’evangelista vuol raggiungere il numero sette, numero dal grande significato simbolico, significa la totalità. La storia sacra e profana, giudaica e pagana, è coinvolta nell’avvenimento che sta per essere raccontato. E’ un inizio che riguarda tutti i popoli e tutte le istituzioni civili e religiose.
Tutto questo ci serve per capire alcuni aspetti del Vangelo di Luca. Ma è fondamentale ricordare che Luca è l’evangelista sensibile e attento ai bisogni dei poveri, mette in rilievo gli episodi in cui traspare la tenerezza di Gesù verso gli ultimi, gli emarginati, gli esclusi, i peccatori.
Colgo l’occasione per ringraziare tutti a motivo dei saluti che continuamente mi inviate e so che vi interessate del mio stato di salute e pregate per me. Vi sono grato e anch’io vi ricordo nella preghiera al Signore e all’Immacolata: “Sub tuum presidium confugimus, sancta Dei Genetrix…” Mons. Pietro Romanello
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/2domavv.jpg450600Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2018-12-07 10:07:272018-12-07 10:07:27Seconda Domenica di Avvento