UN CAMMINO SINODALE

 

Carissimi fedeli,

si sente parlare in questi tempi di un cammino sinodale (camminare insieme), richiamato recentemente dal Papa. Questa modalità della vita cristiana viene da lontano, come ci testimonia il Vangelo di Luca che al capitolo 24 ci narra l’esperienza dei discepoli di Emmaus, molto interessante e significativa per il nostro tempo e la nostra chiesa. Descrive il modo di “procedere” dei cristiani del 1° secolo quando l’organizzazione della chiesa non era ancora così complessa, come oggi. Sulle riviste si parla tanto ed in tanti modi. A mio parere, più che “parlare” di un cammino, si tratta di “fare” un cammino. Significa fare un cammino condividendo la Parola di Dio, raccontando le esperienze di vita cristiana, formulando dei progetti illuminati e prendendo delle iniziative concrete. Ma non a caso. Certamente dobbiamo camminare insieme nella chiesa diocesana, in comunione con quella universale. Non ho mai capito coloro, purtroppo anche qualche sacerdote, che sono autoreferenziali nella chiesa, che si danno la patente di profeti, che camminano da soli, indipendentemente dagli altri, senza confrontarsi mai con gli altri. Sempre critici su tutto e nei confronti di tutti. Mai contenti, sempre corrucciati. Pungenti. Preoccupati come se il mondo gravasse sulle loro spalle. Dediti a parlare abbondantemente agli altri ma meno ad ascoltare. Non così don Tonino Bello, don Puglisi, madre Teresa di Calcutta, don Benzi, don Emilio de Roia e tanti altri che hanno dato la vita per il Regno di Dio.

Ma dove siamo chiamati ad andare? Andiamo a cambiare il mondo. È una utopia? È una pretesa inutile? È una illusione?  È una impresa impossibile?  È un progetto grande senza dubbio, è il progetto per il quale esiste la comunità cristiana. È il progetto di Dio. Ma dobbiamo ricordare che è il Vangelo vissuto che cambia il mondo, che è lo Spirito di Gesù che dà fecondità, non sono le nostre belle idee, le nostre teorie. Allora abbiamo bisogno di tornare alle fonti, di rompere la crosta con una certa energia e di scavare in profondità per scoprire da dove venga la capacità di camminare insieme per evangelizzare il mondo, anzi per evangelizzare anche noi stessi. Ci aiuta S. Paolo nella lettera agli Efesini, capitolo 4: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto” quella di aver accolto il Vangelo e di vivere secondo l’esempio di Gesù. Perché? Dove sta la motivazione profonda della vita cristiana? Siamo:

“un solo corpo” è il corpo di Cristo che siamo noi, la sua chiesa.

“un solo Spirito” che realizza l’unità nella diversità.

”un solo Signore” che è Gesù e che noi riconosciamo.

“una sola fede” che accoglie e pratica i valori del vangelo.

“un solo battesimo” che mette in comunione tutti i credenti in Gesù.

“Un solo Dio e Padre di tutti…che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.

Lui è il fondamento dell’unità tra tutti i suoi figli. Tutti i nostri progetti devono partire da qui, perché qui è la fonte, qui sta l’energia, qui la certezza della riuscita. Al di là di questo, gli sforzi stressano, i progetti si sgretolano, le delusioni prima o poi appaiono, lo scoraggiamento ci isola nella solitudine.

Carissimi, la prossima domenica, vedremo quali siano gli atteggiamenti che dobbiamo assumere per ”camminare insieme”.

Un cordiale saluto a tutti ed una buona Domenica.                                                                                                      Il parroco don Luciano

 

La Corte Costituzionale con la decisione di oggi ha confermato che l’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente è contraria al principio di “tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili. In attesa del deposito della sentenza, prendiamo atto con favore di tale pronunciamento è un invito ben preciso a non marginalizzare mai l’impegno della società, nel suo complesso, a offrire il sostegno necessario per superare o alleviare la situazione di sofferenza o di disagio. Papa Francesco, durante l’udienza di mercoledì 9 febbraio, ha usato parole chiare:

“La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”. Occorre rivolgere maggiormente l’attenzione verso coloro che, in condizioni di fragilità o vulnerabilità, chiedono di essere trattati con dignità ed accompagnati con rispetto ed amore.

(Dall’Avvenire, 16.02.22)

La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana

 

CHIESA DI SAN GIACOMO APOSTOLO

 

Alle ore 17.00 riprende la recita del S. Rosario ogni giorno, dopo che per una settimana, siamo stati ospitati nella Chiesa di S. Maria al Tempio.

Ringraziamo le Suore Salesiane di via Zanon per la disponibilità e cogliamo l’occasione di chiedere la collaborazione dei volontari per tenere aperte le nostre chiese, luoghi di preghiera.

 

Chiese CP UD centro

 

Collaborazione Pastorale UDINE CENTRO – LITURGIA

B.V. delle Grazie – Duomo – SS. Redentore – S. Giorgio – S. Quirino

 

Le nostre cinque comunità desiderano coltivare l’amore per la Parola di Dio oltre la Domenica dedicata e vi invitano allo studio, alla meditazione e alla preghiera del Vangelo di Luca che stiamo ascoltando ogni domenica.

Gli incontri avranno luogo, nel rispetto delle norme di sicurezza anticovid – 19 (certificato verde e mascherina), nella parrocchia di:

 

SAN QUIRINO – ingresso da via Cicogna 25 – parcheggio

 

mercoledì 9 febbraio – ore 18.30 

con Luca                                                     (a cura di don Claudio Como)

(il terzo Vangelo: autore – fonti – data e luogo di composizione – caratteristiche letterarie e dottrinali)

mercoledì 16 febbraio – ore 18.30

dentro la Parola                                     (a cura di Alessio Persic)

(lettura di testi – come li hanno letti i Padri – come parlano e che cosa dicono a noi oggi)

  

mercoledì 23 febbraio – ore 18.30

Parola in azione                                        (a cura di don Federico Grosso)

(un modo di leggere il Vangelo: la lectio divina – meditatio, oratio, contemplatio, actio)

 

 

Le prenotazioni sono necessarie entro domenica 6 febbraioUfficio Parrocchiale (h. 10-12)

tel. 0432-505302 / info@cattedraleudine.it

⁎⁎ Invitiamo i partecipanti a portare la Bibbia o i Vangeli.

“…Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 35)

 

BAKHITA

 

Santa_Giuseppina_BakhitaMartedì scorso 8 febbraio abbiamo celebrato la Giornata di preghiera e di riflessione contro la tratta degli schiavi. Una giornata passata sottotono, forse perché ormai ci sono troppe le giornate da ricordare o forse perché non si desidera o si ritiene inutile portare all’attenzione.

Il giornale “Avvenire” è attento più di altri ed ha scritto che, stando alle stime della Nazioni Unite, ci sono oggi 40 milioni di esseri umani in catene ed il business da 32 miliardi di dollari l’anno rappresenta la terza attività illegale più redditizia, dopo il traffico di droga e di armi. Il Papa domenica scorsa al termine dell’Angelus ha denunciato una “profonda ferita, inferta dalla ricerca vergognosa di interessi economici senza alcun rispetto per la persona umana”. Il 72 per cento delle vittime sono donne e bambine. Tante ragazze che non sono libere, sono schiave dei trafficanti. Oggi succede anche nelle nostre città. In verità ci sono 3.000 religiose che accompagnano milioni di donne verso la libertà. Ma ci sono anche situazioni di lavoratori sfruttati che vivono in ambienti malsani e privi dei confort più elementari. L’economia che uccide potrà essere trasformata in economia samaritana, economia della cura?

La ex baby- schiava sudanese

Proprio l’8 febbraio abbiamo celebrato la memoria di Santa Giuseppina Bakhita che in questa piccola scultura di Timothy Schmalz è ritratta nello sforzo di aprire il portellone attraverso cui escono donne e uomini per correre verso la libertà.

Nacque intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale (regione del Darfur). All’età di sette anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa “fortunata”. Venduta più volte dai mercanti di schiavi sui mercati di El Obeid e di Khartum, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. In particolare, subì un tatuaggio cruento mentre era a servizio di un generale turco: le furono disegnati più di un centinaio di segni sul petto, sul ventre e sul braccio destro, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale per creare delle cicatrici permanenti.

Nella capitale sudanese venne infine comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani, con il proposito di renderle la libertà: questo diplomatico già in precedenza aveva comprato bambini schiavi per restituirli alle loro famiglie. Nel caso di Bakhita ciò non fu possibile per il vuoto di memoria della bambina riguardo ai nomi del proprio villaggio e dei propri familiari. Nella casa del console Bakhita visse serenamente per due anni lavorando con gli altri domestici senza essere più considerata una schiava.

Quando nel 1884 il diplomatico italiano dovette fuggire dalla capitale in seguito alla Guerra Mahdista, Bakhita lo implorò di non abbandonarla. Insieme ad un amico del signor Legnani, Augusto Michieli, raggiunsero prima il porto di Suakin sul Mar Rosso, dove appresero della caduta di Khartum, e dopo un mese si imbarcarono alla volta di Genova.

In Italia Augusto Michieli con la moglie presero con loro Bakhita come bambinaia della figlia Mimmina e la portarono nella loro casa a Zianigo (frazione di Mirano). Dopo tre anni i coniugi Michieli si trasferirono in Africa a Suakin dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita in affidamento presso l’Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena e cominciò a ricevere così un’istruzione religiosa. Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana e con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. Il 7 dicembre 1893 entrò nel noviziato dello stesso istituto e l’8 dicembre 1896 pronunciò i primi voti religiosi. Nel 1902 fu trasferita in un convento dell’ordine a Schio dove trascorse il resto della propria vita. Qui lavorò come cuoca, sagrestana, aiuto infermiera nel corso della Prima guerra mondiale quando parte del convento venne adibito ad ospedale militare. A partire dal 1922 le venne assegnato l’incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne così ribattezzata dagli abitanti di Schio: “Madre Moréta”. Dal 1939 cominciò ad avere seri problemi di salute e non si allontanò più da Schio. Morì l’8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia.

Bakhita è santa

Il 1º dicembre 1978 papa Giovanni Paolo II firmò il decreto dell’eroicità delle virtù della serva di Dio Giuseppina Bakhita. Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio 1992 e canonizzata il 1º ottobre 2000.

Bakhita si esprimeva in veneto e alcune sue frasi ed espressioni sono diventate famose: Parlava di Dio come el Parón: «queło che vołe el Parón», «quanto bon che xé el Parón», «come se fa a no vołerghe ben al Parón. Di sé stessa: «Mi son on povero gnoco, come i gha fato a tegnerme in convento?» Quando la gente la compiangeva per la sua storia: «Poareta mi? Mi no son poareta perché son del Parón e neła so casa: quei che non xé del Parón i xé poareti». Soffrì parecchio nel subire la curiosità della gente e l’acquisita notorietà: «Tuti i vołe védarme: son propio na bestia rara!»

Santa Giuseppina Bakhita viene ricordata da papa Benedetto XVI° nell’Enciclica Spe salvi nel terzo punto. Il Pontefice la ricorda come esempio di speranza cristiana. «Mediante la conoscenza della speranza lei era “redenta”, non si sentiva più schiava ma libera figlia di Dio.»

Un cordiale saluto a tutti e l’augurio di una buona domenica.                                                                                  Il parroco don Luciano

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XXX GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

11 febbraio 2022

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36).
Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità.

 

Cari fratelli e sorelle, trent’anni fa san Giovanni Paolo II istituì la Giornata Mondiale del Malato per sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie cattoliche e la società civile all’attenzione verso i malati e verso quanti se ne prendono cura. 

  1. Misericordiosi come il Padre

Il tema scelto per questa trentesima Giornata, «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36), ci fa anzitutto volgere lo sguardo a Dio “ricco di misericordia” (…) possiamo dire, con stupore e riconoscenza, che la misericordia di Dio ha in sé sia la dimensione della paternità sia quella della maternità, perché Egli si prende cura di noi con la forza di un padre e con la tenerezza di una madre, sempre desideroso di donarci nuova vita nello Spirito Santo.

  1. Gesù, misericordia del Padre

Testimone sommo dell’amore misericordioso del Padre verso i malati è il suo Figlio unigenito.

Quante volte i Vangeli ci narrano gli incontri di Gesù con persone affette da diverse malattie! Egli «percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23). Possiamo chiederci: perché questa attenzione particolare di Gesù verso i malati, al punto che essa diventa anche l’opera principale nella missione degli apostoli, mandati dal Maestro ad annunciare il Vangelo e curare gli infermi? (cfr Lc 9,2).

Un pensatore del XX secolo ci suggerisce una motivazione: «Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro». Quando una persona sperimenta nella propria carne fragilità e sofferenza a causa della malattia, anche il suo cuore si appesantisce, la paura cresce, gli interrogativi si moltiplicano, la domanda di senso per tutto quello che succede si fa più urgente. Come non ricordare, a questo proposito, i numerosi ammalati che, durante questo tempo di pandemia, hanno vissuto nella solitudine di un reparto di terapia intensiva l’ultimo tratto della loro esistenza, certamente curati da generosi operatori sanitari, ma lontani dagli affetti più cari e dalle persone più importanti della loro vita terrena? Ecco, allora, l’importanza di avere accanto dei testimoni della carità di Dio che, sull’esempio di Gesù, misericordia del Padre, versino sulle ferite dei malati l’olio della consolazione e il vino della speranza.

  1. Toccare la carne sofferente di Cristo

L’invito di Gesù a essere misericordiosi come il Padre acquista un significato particolare per gli operatori sanitari. Penso ai medici, agli infermieri, ai tecnici di laboratorio, agli addetti all’assistenza e alla cura dei malati, come pure ai numerosi volontari che donano tempo prezioso a chi soffre. Cari operatori sanitari, il vostro servizio accanto ai malati, svolto con amore e competenza, trascende i limiti della professione per diventare una missione. Le vostre mani che toccano la carne sofferente di Cristo possono essere segno delle mani misericordiose del Padre. Siate consapevoli della grande dignità della vostra professione, come pure della responsabilità che essa comporta. Benediciamo il Signore per i progressi che la scienza medica ha compiuto soprattutto in questi ultimi tempi; le nuove tecnologie hanno permesso di approntare percorsi terapeutici che sono di grande beneficio per i malati; la ricerca continua a dare il suo prezioso contributo per sconfiggere patologie antiche e nuove; la medicina riabilitativa ha sviluppato notevolmente le sue conoscenze e le sue competenze. Tutto questo, però, non deve mai far dimenticare la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e le sue fragilità. Il malato è sempre più importante della sua malattia, e per questo ogni approccio terapeutico non può prescindere dall’ascolto del paziente, della sua storia, delle sue ansie, delle sue paure. Anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua patologia. Per questo auspico che i percorsi formativi degli operatori della salute siano capaci di abilitare all’ascolto e alla dimensione relazionale.

  1. I luoghi di cura, case di misericordia

La Giornata Mondiale del Malato è occasione propizia anche per porre la nostra attenzione sui luoghi di cura. La misericordia verso i malati, nel corso dei secoli, ha portato la comunità cristiana ad aprire innumerevoli “locande del buon samaritano”, nelle quali potessero essere accolti e curati malati di ogni genere, soprattutto coloro che non trovavano risposta alla loro domanda di salute o per indigenza o per l’esclusione sociale o per le difficoltà di cura di alcune patologie. A farne le spese, in queste situazioni, sono soprattutto i bambini, gli anziani e le persone più fragili. Misericordiosi come il Padre, tanti missionari hanno accompagnato l’annuncio del Vangelo con la costruzione di ospedali, dispensari e luoghi di cura. Sono opere preziose mediante le quali la carità cristiana ha preso forma e l’amore di Cristo, testimoniato dai suoi discepoli, è diventato più credibile (……) In un tempo nel quale è diffusa la cultura dello scarto e la vita non è sempre riconosciuta degna di essere accolta e vissuta, queste strutture, come case della misericordia, possono essere esemplari nel custodire e curare ogni esistenza, anche la più fragile, dal suo inizio fino al suo termine naturale.

  1. La misericordia pastorale: presenza e prossimità

Nel Cammino di questi trent’anni, anche la pastorale della salute ha

visto sempre più riconosciuto il suo indispensabile servizio. Se la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri – e i malati sono poveri di salute – è la mancanza di attenzione spirituale, non possiamo tralasciare di offrire loro la vicinanza di Dio, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. A questo proposito, vorrei ricordare che la vicinanza agli infermi e la loro cura pastorale non è compito solo di alcuni ministri specificamente dedicati; visitare gli infermi è un invito rivolto da Cristo a tutti i suoi discepoli. Quanti malati e quante persone anziane vivono a casa e aspettano una visita! Il ministero della consolazione è compito di ogni battezzato, memore della parola di Gesù: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36).

Cari fratelli e sorelle, all’intercessione di Maria, salute degli infermi, affido tutti i malati e le loro famiglie. Uniti a Cristo, che porta su di sé il dolore del mondo, possano trovare senso, consolazione e fiducia. Prego per tutti gli operatori sanitari affinché, ricchi di misericordia, offrano ai pazienti, insieme alle cure adeguate, la loro vicinanza fraterna.

Su tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.                                                                                                             Francesco

Roma, San Giovanni in Laterano, 10 dicembre 2021, Memoria della B.V. Maria di Loreto 

 

FESTA DIOCESANA PER LA VITA

5-6 FEBBRAIO

 

Carissimi,

sabato 5 febbraio 2022 la nostra Arcidiocesi celebrerà l’importante momento della “Festa diocesana per la vita”, in occasione della 44a Giornata nazionale per la Vita indetta dalla Conferenza episcopale Italiana, con il titolo, quest’anno: “Custodire ogni vita”. È un appuntamento che non dobbiamo stancarci di valorizzare per mantenere viva la nostra preghiera e l’attenzione su un tema la cui importanza non sfugge sicuramente a ognuno di voi. Vi prego di estendere l’invito agli operatori pastorali e a tutte le nostre comunità cristiane. Tenendo conto della situazione pandemica, ci siamo orientati su questo programma che si svolgerà, come ogni anno, nel santuario della Beata Vergine delle Grazie:

  • il pomeriggio di sabato 5 febbraio sarà dedicato all’Adorazione eucaristica, dalle ore 15 alle ore 18. Questa Adorazione sostituirà quella notturna degli scorsi anni. Davanti a Gesù Eucarestia pregheremo per tutte le mamme che sono in difficoltà a tenere il figlio che portano in grembo, per ogni bambino non nato a causa dell’aborto volontario e per i suoi genitori.

  • a conclusione dell’Adorazione eucaristica, alle ore 19, presiederò la celebrazione Eucaristica. Sarà l’occasione per ringraziare Dio Padre per il dono della vita e per i tanti volontari che affiancano e supportano le situazioni di particolare difficoltà. Rinnoveremo l’impegno di prenderci a cuore quelle situazioni in cui la tentazione di non accogliere la vita può portare alla tragedia dell’aborto e dell’abbandono.

    Invoco su tutti la Benedizione del Signore.                                                                                                      +  Andrea Bruno, Arcivescovo

 

 

8 – 14 febbraio XXII Giornata di Raccolta del Farmaco

 

Chi vorrà partecipare a questo gesto di carità, potrà andare presso le farmacie che aderiscono all’iniziativa e acquistare uno o più medicinali da banco che verranno donati a persone bisognose del nostro Comune e della Provincia, direttamente o attraverso gli Enti assistenziali del nostro territorio che ne hanno fatto richiesta.

Il Santo Padre in occasione della Messa per la Giornata Mondiale dei Poveri del 14 novembre scorso diceva: «La speranza di domani fiorisce nel dolore di oggi. Sì, la salvezza di Dio non è solo una promessa dell’aldilà, ma cresce già ora dentro la nostra storia ferita – abbiamo il cuore ammalato, tutti – si fa strada tra le oppressioni e le ingiustizie del mondo. Proprio in mezzo al pianto dei poveri, il Regno di Dio sboccia come le tenere foglie di un albero e conduce la storia alla meta, all’incontro finale con il Signore».

Ringraziamenti a tutti coloro che vorranno collaborare.

 

COME SONO BELLI… I PIEDI…

 

Carissimi fedeli,

in questa Domenica della Parola di Dio desidero proporre una piccola riflessione a voce alta circa un fatto, passato forse inosservato alla grande stampa ma per me emozionante. Era il Tempo di Natale, appena prima dell’Epifania. Un fatto accaduto, direi quasi per completare il mistero del Natale di Gesù. Sono protagonisti i piedi di una donna sconosciuta. Non parlo del piede della dea Artemide prestato o restituito dal Museo archeologico di Palermo al Partenone di Atene. Questo ha trovato spazio e suscitato interesse da parte dei mezzi di comunicazione sociale.  I giornali ne hanno parlato più volte, come di un fatto certamente significativo e rilevante per le buone relazioni e la collaborazione tra l’Italia e la Grecia.

Parlo di un altro fatto successo e presto dimenticato, perché fa parte di quelle notizie alle quali ci siamo ormai abituati, purtroppo!  Mi ha riportato tanto indietro negli anni, quando credevo ancora che S. Lucia passasse col suo asinello a portare ai bambini i suoi doni e che la Befana, furtiva, col suo naso bel adunco, qualche dente di meno in bocca, un cappello non certo alla moda sulla testa, uno scialle sgualcito sulle spalle, “vien di notte con le scarpe tutte rotte”, effettivamente venisse a consegnare i suoi regali. Quanto avrei pagato per vedere almeno i piedi di una o dell’altra, che con passi così felpati da non fare alcun rumore nella camera, venivano a riempire le calze che noi bambini accuratamente avevamo esposto sul davanzale interno della finestra. Erano piedi silenziosi, leggeri, delicati, come stessero camminando sulla neve, senza provocare alcun fruscio perché non si rompesse l’incanto della nostra attesa… ”ricca di fede e di speranza” innocentemente interessata. Quale gioia quando al mattino presto il primo fratello che si svegliava, andava, ancora al buio, a tastare la calza e annunciava la buona notizia: E’ stata!” Quale delusione poi quando ho saputo che S. Lucia era la mamma che metteva nella calza una matita, un quaderno perché servivano per la scuola, un mandarino rimediato non so dove, e che la Befana era la nonna che portava “i bagigi”, due noci e qualche caramella. Rotto l’incanto. La realtà era ben diversa dalla fiaba. Restava però l’amore.

Un fatto drammatico accaduto in questi giorni, mi ha richiamato alla mente e nel cuore questi piedi silenziosi. Su questi ho pensato, con grande tristezza.  Qui è d’uopo il tempo presente, tanto è viva la scena. I piedi sprofondano nella neve fresca, senza far rumore. Piedi doloranti e intirizziti dal freddo. Forse ormai insensibili. Tra la Turchia e l’Iran il cuore di una donna afgana, accasciata sulla neve e coperta da una stuoia, si ferma, e così i suoi passi. Due sacchetti di plastica avvolgono  i suoi piedi. Ha sperato di difendersi dal freddo gelido. Aveva riempito le sue calze con le mani dei suoi due piccoli, perché non patissero il freddo e congelassero.  Le madri son così, sono fatte per donare vita… E così è avvenuto. Lei è morta e i figli sono sopravvissuti.  Il villaggio vicino ha prestato subito i primi soccorsi: un po’ d’acqua tiepida per scaldare le mani ed una bevanda calda per i due bambini. Loro almeno sono salvi. Non ci resta che meditare e possibilmente aiutare. Tutti i commenti possono essere di troppo o troppo poco. Colgo soltanto una suggestione personale che mi pare di poter condividere con voi in questa domenica della Parola di Dio. Sono i piedi di una messaggera che annuncia la pace, che evangelizza, che proclama il vangelo anche a sua insaputa. “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”. Immagine certamente poetica, suggestiva, direi rasserenante, ricca di speranza, questa del profeta Isaia (52,7). Abbiamo letto questa parola di Dio nella Messa del giorno di Natale.

Mi vengono in mente i piedi di Gesù che entra nei villaggi della Palestina, penetra nei vicoli, si ferma nelle case dei malati, dei peccatori pubblici, dei morti e porta vita con la sua presenza e la sua parola. Mi conforta questo Gesù che manda ancora messaggeri, sconosciuti, inconsapevoli che annunciano concretamente, coi fatti, non con le parole soltanto, la buona notizia. L’amore fino a dare la vita. Infatti Gesù ha fatto proprio così. Mi piace ricordare questo testo certamente conosciuto, da alcuni attribuito ad un autore fiammingo del XIV° secolo, da altri a Raoul Follereau, apostolo dei lebbrosi:

“Cristo non ha mani
ha soltanto le nostre mani
per fare oggi il suo lavoro.

      Cristo non ha piedi
      ha soltanto i nostri piedi
      per guidare gli uomini
      sui suoi sentieri.”

È in sintonia con il vangelo di Luca (17,19-23) Quando Giovanni Battista mandò i suoi discepoli da Gesù per chiedere se era Lui che doveva venire o se dovessero aspettare una altro, Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

È la domenica della Parola di Dio. Abbiamo messo in risalto il lezionario, l’abbiamo portato in processione perché raccoglie la Parola che verrà proclamata, l’abbiamo ornato coi fiori per dire la sua bellezza, accompagnato dalla lampada accesa perché è luce della vita, incensato per rendere omaggio alla Parola. Tutto questo ha senso, se la Parola diventa viva nella vita, giorno per giorno, con umiltà e nella concretezza. La fede si mostra con le opere.

In fondo alla chiesa potete acquistare la Bibbia per poterla leggere in famiglia. Potete ritirare, in cambio di una libera offerta, il commento di Mons. Ottavio Belfio al vangelo di Luca, che leggeremo quest’anno nella Liturgia della Messa.

Vi auguro una buona domenica ed una settimana in compagnia della Parola che attende di essere vissuta.

Cordialmente.                                                                                                                                         Don Luciano, Parroco.

 

TRE PRODIGI

Epifania – Battesimo di Gesù – Nozze di Cana

 

Sono tre momenti della vita di Gesù che allargano la nostra mente e il nostro cuore a dimensioni cosmiche. Danno respiro immenso alla nostra fede che alle volte è ansimante, non tanto per la fatica del cammino quanto per la povertà del nostro cuore. La ricchezza di queste feste viene richiamata anche nell’antifona al Magnificat dei Vespri dell’Epifania. Questa ha dato inizio ad una cascata di significati che sono attuali e parlanti.

“Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo:

oggi la stella ha guidato i magi al presepio,

oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze,

oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano

per la nostra salvezza, alleluia”.

E’ insistente questo oggi che viene ripetuto più volte per farci comprendere che il Signore sempre si manifesta a tutti e in tutti i modi, sempre è nostro alleato, sempre ci salva. E’ l’oggi di Dio.

Epifania

I Magi rappresentano i popoli del mondo. Le prime comunità cristiane non avevano subito capito che Gesù era venuto per tutti, con stupore poi si sono accorte che i cosiddetti pagani accoglievano l’annuncio della salvezza. Il cristianesimo raccoglieva il nuovo popolo di Dio. La conoscenza di altri popoli ha rigenerato la fede cristiana che ha trovato in sé stessa una grande ricchezza. Non è storia antica. È storia di oggi. Quando il razzismo rinasce, quando le nazioni sono tentate di ripiegarsi su sé stesse, sui propri interessi, è bene ricordare che tutti gli uomini sono amati da Dio in modo uguale. I percorsi religiosi sono tutti degni di attenzione. In questi ultimi tempi abbiamo avuto belle figure di persone che hanno testimoniato con la loro attività una mentalità aperta al nuovo e fedele al Vangelo.

Battesimo di Gesù

Il primo a dare questa testimonianza è stato Gesù stesso. Si è messo in fila con i peccatori: entra nelle acque limacciose del Giordano, mangia con i pubblicani, muore tra due ladroni. Condivide in tutto la condizione umana già abbracciata con l’incarnazione. Il Padre approva questa vita e lo indica come Figlio amato che squarcia i cieli. Grazie al dono totale della sua vita, solidale col Padre e con noi, i cieli resteranno sempre aperti per una comunicazione continua tra il Padre e l’umanità. Dio ripropone la sua alleanza. Nel Figlio, tutti siamo adottati come suoi figli. Il nostro battesimo ne è un segno. E se figli del medesimo Padre, tutti siamo fratelli. È bene che lo ricordiamo, tutti i giorni. È un tempo piuttosto duro quello che viviamo, non solo per il Covid. È tempo in cui la chiesa, questo suo popolo, esperimenta una enorme fatica nella trasmissione della fede. La nostra fiducia in Dio va raddoppiata. Non piangiamo sul passato e non disperiamo del futuro. Forse per noi è un tempo di conversione. Forse Dio compie meraviglie proprio in questo tempo. Noi viviamo in questa fede mentre facciamo la nostra parte, con intelligenza ed un po’ di fantasia.

Le nozze di Cana

Oggi il Vangelo ci racconta il “principio dei segni”, cioè il prototipo dei segni, che Gesù compie cambiando l’acqua in vino. Dio rinnova la sua alleanza in un contesto di celebrazione nuziale. Si tratta di una alleanza nell’amore e nella fedeltà. Gesù manifesta la gloria del Padre. Ma per ricavare il vino si schiaccia l’uva. C’è un passaggio doloroso vissuto con amore e per amore, la morte per rinascere a una vita nuova e gloriosa. Dio agisce nella nostra storia. Conosce le nostre difficoltà e le nostre gioie, le nostre morti e le nostre resurrezioni. Siamo chiamati a riconoscere la sua azione in mezzo a noi, grazie alla sua parola. A riconoscere il suo Cristo come vino nuovo che rafforza e rallegra la nostra vita.

Un cordiale saluto a tutti.                                                                                                         Don Luciano Nobile, Parroco.