Possiamo ottenere a favore dei defunti l’indulgenza plenaria (una sola volta) dal mezzogiorno del 1° novembre fino a tutto il giorno successivo vistando una chiesa e recitando il Credo e il Padre Nostro.

Sono inoltre da adempiere queste tre condizioni:

*confessione sacramentale. Questa condizione può essere adempiuta parecchi giorni prima o dopo.

*comunione eucaristica

*preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice recitando Padre Nostro e Ave Maria
La stessa facoltà alle medesime condizioni è concessa nei giorni dal 1° all’ 8 novembre al fedele che devotamente visita il cimitero e anche soltanto mentalmente prega per i fedeli defunti.

“Ad resurgendum cum Christo”

La sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione 

  1. Per risuscitare con Cristo, bisogna morire con Cristo, bisogna «andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2 Cor 5,8). la cremazione non è «di per sé contraria alla religione cristiana»… e non siano più negati i sacramenti e le esequie a coloro che abbiano chiesto di farsi cremare, a condizione che tale scelta non sia voluta «come negazione dei dogmi cristiani, o con animo settario, o per odio contro la religione cattolica e la Chiesa»……..

  2. La risurrezione di Gesù è la verità culminante della fede cristiana, predicata come parte essenziale del Mistero pasquale fin dalle origini del cristianesimo: «Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1 Cor 15,3–5). Mediante la sua morte e risurrezione, Cristo ci ha liberato dal peccato e ci ha dato accesso a una nuova vita: «Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4)… Uniti a Cristo mediante il Battesimo, partecipiamo già realmente alla vita di Cristo risorto (cf. Ef 2,6). Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. La liturgia della Chiesa prega: «Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo…….

  3. Seguendo l’antichissima tradizione cristiana, la Chiesa raccomanda insistentemente che i corpi dei defunti vengano seppelliti nel cimitero o in altro luogo sacro…… La Chiesa, che come Madre ha accompagnato il cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, offre al Padre, in Cristo, il figlio della sua grazia e ne consegna alla terra le spoglie mortali nella speranza che risusciterà nella gloria. Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne, e intende mettere in rilievo l’alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia.  Non può permettere, quindi, atteggiamenti e riti che coinvolgono concezioni errate della morte, ritenuta sia come l’annullamento definitivo della persona, sia come il momento della sua fusione con la Madre natura o con l’universo, sia come una tappa nel processo della re–incarnazione, sia come la liberazione definitiva della “prigione” del corpo. Inoltre, la sepoltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri risponde adeguatamente alla pietà e al rispetto dovuti ai corpi dei fedeli defunti, che mediante il Battesimo sono diventati tempio dello Spirito Santo e dei quali, «come di strumenti e di vasi, si è santamente servito lo Spirito per compiere tante opere buone»… Il giusto Tobia viene lodato per i meriti acquisiti davanti a Dio per aver seppellito i morti, e la sepoltura dei morti come un’opera di misericordia corporale. Infine, la sepoltura dei corpi dei fedeli defunti nei cimiteri o in altri luoghi sacri favorisce il ricordo e la preghiera per i defunti da parte dei familiari e di tutta la comunità cristiana, nonché la venerazione dei martiri e dei santi. Mediante la sepoltura dei corpi nei cimiteri, nelle chiese o nelle aree ad esse adibite, la tradizione cristiana ha custodito la comunione tra i vivi e i defunti e si è opposta alla tendenza a occultare o privatizzare l’evento della morte e il significato che esso ha per i cristiani.

  4. Laddove ragioni di tipo igienico, economico o sociale portino a scegliere la cremazione, scelta che non deve essere contraria alla volontà esplicita o ragionevolmente presunta del fedele defunto, la Chiesa non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi, poiché la cremazione del cadavere non tocca l’anima e non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo e quindi non contiene l’oggettiva negazione della dottrina cristiana sull’immortalità dell’anima e la risurrezione dei corpi. La Chiesa continua a preferire la sepoltura dei corpi poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti; tuttavia la cremazione non è vietata, «a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana». In assenza di motivazioni contrarie alla dottrina cristiana, la Chiesa, dopo la celebrazione delle esequie, accompagna la scelta della cremazione con apposite indicazioni liturgiche e pastorali, avendo particolare cura di evitare ogni forma di scandalo o di indifferentismo religioso.

  5. Qualora per motivazioni legittime venga fatta la scelta della cremazione del cadavere, le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa o in un’area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica. Sin dall’inizio i cristiani hanno desiderato che i loro defunti fossero oggetto delle preghiere e del ricordo della comunità cristiana. Le loro tombe divenivano luoghi di preghiera, della memoria e della riflessione. I fedeli defunti fanno parte della Chiesa, che crede alla comunione «di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa». La conservazione delle ceneri in un luogo sacro può contribuire a ridurre il rischio di sottrarre i defunti alla preghiera e al ricordo dei parenti e della comunità cristiana. In tal modo, inoltre, si evita la possibilità di dimenticanze e mancanze di rispetto, che possono avvenire soprattutto una volta passata la prima generazione, nonché pratiche sconvenienti o superstiziose.

  6. Per i motivi sopra elencati, la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita. Soltanto in caso di circostanze gravi ed eccezionali, dipendenti da condizioni culturali di carattere locale, l’Ordinario, in accordo con la Conferenza Episcopale… può concedere il permesso per la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica. Le ceneri, tuttavia, non possono essere divise tra i vari nuclei familiari e vanno sempre assicurati il rispetto e le adeguate condizioni di conservazione.

  7. Per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista, non sia permessa la dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, tenendo presente che per tali modi di procedere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione.

  8. Nel caso che il defunto avesse notoriamente disposto la cremazione e la dispersione in natura delle proprie ceneri per ragioni contrarie alla fede cristiana, si devono negare le esequie, a norma del diritto. Il Sommo Pontefice Francesco ha approvato la presente Istruzione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2016

Chiesa missionaria, testimone di misericordia

Cari fratelli e sorelle,

il Giubileo Straordinario della Misericordia, che la Chiesa sta vivendo, offre una luce particolare anche alla Giornata Missionaria Mondiale del 2016: ci invita a guardare alla missione ad gentes come una grande, immensa opera di misericordia sia spirituale che materiale. In effetti, in questa Giornata Missionaria Mondiale, siamo tutti invitati ad “uscire”, come discepoli missionari, ciascuno mettendo a servizio i propri talenti, la propria creatività, la propria saggezza ed esperienza nel portare il messaggio della tenerezza e della compassione di Dio all’intera famiglia umana. In forza del mandato missionario, la Chiesa si prende cura di quanti non conoscono il Vangelo, perché desidera che tutti siano salvi e giungano a fare esperienza dell’amore del Signore. Essa «ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo» (Bolla Misericordiae Vultus, 12) e di proclamarla in ogni angolo della terra, fino a raggiungere ogni donna, uomo, anziano, giovane e bambino.

La misericordia procura intima gioia al cuore del Padre quando incontra ogni creatura umana; fin dal principio, Egli si rivolge amorevolmente anche a quelle più fragili, perché la sua grandezza e la sua potenza si rivelano proprio nella capacità di immedesimarsi con i piccoli, gli scartati, gli oppressi (cfr Dt 4,31; Sal 86,15; 103,8; 111,4). Egli è il Dio benigno, attento, fedele; si fa prossimo a chi è nel bisogno per essere vicino a tutti, soprattutto ai poveri; si coinvolge con tenerezza nella realtà umana proprio come farebbero un padre e una madre nella vita dei loro figli (cfr Ger 31,20). Al grembo materno rimanda il termine usato nella Bibbia per dire la misericordia: quindi all’amore di una madre verso i figli, quei figli che lei amerà sempre, in qualsiasi circostanza e qualunque cosa accada, perché sono frutto del suo grembo. È questo un aspetto essenziale anche dell’amore che Dio nutre verso tutti i suoi figli, in modo particolare verso i membri del popolo che ha generato e che vuole allevare ed educare: di fronte alle loro fragilità e infedeltà, il suo intimo si commuove e freme di compassione (cfr Os 11,8). E tuttavia Egli è misericordioso verso tutti, il suo amore è per tutti i popoli e la sua tenerezza si espande su tutte le creature (cfr Sal 145,8-9).

La misericordia trova la sua manifestazione più alta e compiuta nel Verbo incarnato. Egli rivela il volto del Padre ricco di misericordia, «parla di essa e la spiega con l’uso di similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la personifica» (Giovanni Paolo II, Enc. Dives in misericordia, 2). Accogliendo e seguendo Gesù mediante il Vangelo e i Sacramenti, con l’azione dello Spirito Santo noi possiamo diventare misericordiosi come il nostro Padre celeste, imparando ad amare come Lui ci ama e facendo della nostra vita un dono gratuito, una segno della sua bontà (cfr Bolla Misericordiae Vultus, 3). La Chiesa per prima, in mezzo all’umanità, è la comunità che vive della misericordia di Cristo: sempre si sente guardata e scelta da Lui con amore misericordioso, e da questo amore essa trae lo stile del suo mandato, vive di esso e lo fa conoscere alle genti in un dialogo rispettoso con ogni cultura e convinzione religiosa.

A testimoniare questo amore di misericordia, come nei primi tempi dell’esperienza ecclesiale, sono tanti uomini e donne di ogni età e condizione. Segno eloquente dell’amore materno di Dio è una considerevole e crescente presenza femminile nel mondo missionario, accanto a quella maschile. Le donne, laiche o consacrate, e oggi anche non poche famiglie, realizzano la loro vocazione missionaria in svariate forme: dall’annuncio diretto del Vangelo al servizio caritativo. Accanto all’opera evangelizzatrice e sacramentale dei missionari, le donne e le famiglie comprendono spesso più adeguatamente i problemi della gente e sanno affrontarli in modo opportuno e talvolta inedito: nel prendersi cura della vita, con una spiccata attenzione alle persone più che alle strutture e mettendo in gioco ogni risorsa umana e spirituale nel costruire armonia, relazioni, pace, solidarietà, dialogo, collaborazione e fraternità, sia nell’ambito dei rapporti interpersonali sia in quello più ampio della vita sociale e culturale, e in particolare della cura dei poveri.

In molti luoghi l’evangelizzazione prende avvio dall’attività educativa, alla quale l’opera missionaria dedica impegno e tempo, come il vignaiolo misericordioso del Vangelo (cfr Lc 13,7-9; Gv 15,1), con la pazienza di attendere i frutti dopo anni di lenta formazione; si generano così persone capaci di evangelizzare e di far giungere il Vangelo dove non ci si attenderebbe di vederlo realizzato. La Chiesa può essere definita “madre” anche per quanti potranno giungere un domani alla fede in Cristo. Auspico pertanto che il popolo santo di Dio eserciti il servizio materno della misericordia, che tanto aiuta ad incontrare e amare il Signore i popoli che ancora non lo conoscono. La fede infatti è dono di Dio e non frutto di proselitismo; cresce però grazie alla fede e alla carità degli evangelizzatori che sono testimoni di Cristo. Nell’andare per le vie del mondo è richiesto ai discepoli di Gesù quell’amore che non misura, ma che piuttosto tende ad avere verso tutti la stessa misura del Signore; annunciamo il dono più bello e più grande che Lui ci ha fatto: la sua vita e il suo amore.

Ogni popolo e cultura ha diritto di ricevere il messaggio di salvezza che è dono di Dio per tutti. Ciò è tanto più necessario se consideriamo quante ingiustizie, guerre, crisi umanitarie oggi attendono una soluzione. I missionari sanno per esperienza che il Vangelo del perdono e della misericordia può portare gioia e riconciliazione, giustizia e pace. Il mandato del Vangelo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20) non si è esaurito, anzi ci impegna tutti, nei presenti scenari e nelle attuali sfide, a sentirci chiamati a una rinnovata “uscita” missionaria, come indicavo anche nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (20).

Proprio in questo Anno Giubilare ricorre il 90° anniversario della Giornata Missionaria Mondiale, promossa dalla Pontificia Opera della Propagazione della Fede e approvata da Papa Pio XI nel 1926. Ritengo pertanto opportuno richiamare le sapienti indicazioni dei miei Predecessori, i quali disposero che a questa Opera andassero destinate tutte le offerte che ogni diocesi, parrocchia, comunità religiosa, associazione e movimento ecclesiale, di ogni parte del mondo, potessero raccogliere per soccorrere le comunità cristiane bisognose di aiuti e per dare forza all’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della terra. Ancora oggi non ci sottraiamo a questo gesto di comunione ecclesiale missionaria. Non chiudiamo il cuore nelle nostre preoccupazioni particolari, ma allarghiamolo agli orizzonti di tutta l’umanità.

Maria Santissima, icona sublime dell’umanità redenta, modello missionario per la Chiesa, insegni a tutti, uomini, donne e famiglie, a generare e custodire ovunque la presenza viva e misteriosa del Signore Risorto, il quale rinnova e riempie di gioiosa misericordia le relazioni tra le persone, le culture e i popoli.

LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “BUEN CAMINO”

Con tanto affetto e riconoscenza, un folto pubblico (circa 100 persone), nella sala consiliare della Provincia di Udine, ha partecipato venerdì 7 c.m. alla presentazione del libro “Buen Camino” di Mons. Luciano Nobile. Il racconto di un pellegrinaggio verso San Giacomo di Compostella, è diventato uno strumento di catechesi per 35 domeniche di seguito, per i tanti fedeli che nell’anno 2013-14 hanno frequentato le sacre liturgie in cattedrale nelle chiese della medesima Parrocchia. È un libro scritto con penna agile e raffinata, di facile lettura e di immediata e piacevole comprensione; si potrebbe dire che manifesta la “sollicitudo pastoralis” di un parroco.

Redatto da un gruppo di collaboratori (in primis Sebastiano Ribaudo), si è presentato nella sua stesura finale come un efficace documento, dove momenti di spiritualità dettati dal tempo liturgico, episodi di storia personale e diario giornaliero delle esperienze vissute e delle bellezze ammirate, si intrecciano armoniosamente, donandoci ulteriori possibilità di approfondimento sulla maturazione del proprio cammino di fede.

Gli interventi da parte dei convenuti, dal saluto caloroso del Presidente Pietro Fontanini alla parola di gratitudine… per i primi 50 anni di sacerdozio, da parte del Vicario Generale della Diocesi, sono stati appropriati e meritano una ulteriore descrizione sul foglietto della prossima domenica, per rivivere un crescendo di testimonianze e di emozioni e per sottolineare con sincerità la stima e l’affetto verso un sacerdote che si presenta con tutta la sua umanità.

Volveno Lucca

VERE DIGNUM ET JUSTUM EST… GRATIAS AGERE

“È veramente giusto rendere grazie a Te, Signore, Padre santo!” È questo ringraziamento che ho voluto esprimere domenica scorsa con voi al Signore, per quello che Egli mi ha donato nella vita o ha fatto per mezzo di me, anche a motivo del ministero che ho svolto e vado ancora svolgendo. Pure per le difficoltà incontrate che spingono a cercare l’aiuto dall’alto. È Lui che agisce, che ama, che insegna, che coinvolge le persone, diverse per carattere, pregi e difetti, e porta a compimento il cammino della salvezza. Noi gli offriamo soltanto quello che Lui ci ha dato. Veramente diciamo: Deo gratias!

Ma sento dentro di me la necessità ed il piacere di dire grazie anche a voi tutti per la presenza così numerosa alla S. Messa giubilare. Anche i miei confratelli, insieme con me, sono rimasti felicemente sorpresi e meravigliati per un duomo così affollato. Ho incontrato persone delle varie comunità, da quella di Basiliano dove sono nato e cresciuto nei primi anni della vita (anni estremamente importanti) a quelle dove ho svolto la missione di pastore e che amo ricordare per i tanti amici che ho lasciato senza scordarmi mai di loro: Colloredo di Prato (solo alcuni mesi), S. Paolo in Udine (due anni), Rivignano (quasi tre anni), Mortegliano (due anni e mezzo), Pavia di Udine (cinque anni e mezzo), San Quirino in Udine (15 anni), Seminario di Castellerio (dieci anni). Tutte le comunità erano presenti, assieme   a quella di S. Maria Annunziata nella chiesa madre dove attualmente (da 12 anni) svolgo il mio ministero e del Cristo (Gervasutta) che cerco di assistere spiritualmente da un anno. Tutte mi sono care. Ricordo tutte con simpatia. A tutte dico grazie per le preghiere, per l’affetto e per la stima che senz’altro va oltre i miei meriti. Devo dire grazie anche per la pazienza e la comprensione.

In particolare sono grato agli attuali parrocchiani e a quanti frequentano le chiese della nostra Parrocchia per le sacre liturgie. In primis ricordo e sono riconoscente al Consiglio Pastorale parrocchiale che condivide con me preoccupazioni e tentativi di risposte per una vita comunitaria significativa; al Consiglio per gli affari economici che mi aiuta nella oculata amministrazione e nella manutenzione attenta delle chiese e degli ambienti parrocchiali che tutti adoperiamo per le attività necessaria alla comunità; ai vari collaboratori nel campo della catechesi, della liturgia e della carità che sono le dimensioni principali della vita cristiana. Non dimentico tutti i volontari, “Gli amici della cattedrale” che tengono aperte le chiese ed il museo del duomo, il gruppo “Una luce nella notte” che dà l’occasione di pregare ogni sabato notte nella chiesa di S. Pietro martire, i vari cori che a turno sostengono i canti nelle Sante Messe, i sagrestani che prestano servizio in Duomo e a S. Giacomo, i segretari che accolgono le persone nell’ufficio parrocchiale offrendo gratuitamente una parte del loro tempo.

E ora rivolgo un grazie di cuore a quelle persone che ultimamente si sono impegnate nella preparazione discreta della festa in occasione del 50° anniversario della mia Ordinazione sacerdotale: a Sebastiano che, con meticolosa precisione è stato l’artefice ed il tessitore di tutte le iniziative, a Ettore che mi ha rivolto un cordiale saluto alla fine della Messa, a Roberta che si è premurata di mandare gli inviti, a don Loris che ha tenuto una elevata e gradita omelia, a quanti mi hanno regalato la sorpresa del ritratto, agli amici Ave e Piergiorgio che hanno fatto giungere la Benedizione del Papa, al Sindaco che mi ha rivolto un breve saluto ricordando qualche tratto evangelico commentato insieme.

Ma chiederei anche un grande applauso a coloro che hanno preparato il momento conviviale per tante tante persone, nelle sale adiacenti all’Oratorio della Purità: a Eliseo, cuoco per passione, che ha dato il meglio di sé ed i convitati lo hanno ripagato degnamente ponendogli sul piatto un elevato gradimento e una grande soddisfazione. Non posso dimenticare il motore della organizzazione culinaria Alberto che ha messo in azione gli Scout Cattolici d’Europa per un servizio preciso e coordinato in sala.

Meglio di così non poteva andare… anche perché in questi giorni io non ho avuto tempo di interessarmi della festa. Mi sono affidato all’esperienza e alla buona volontà degli amici. Ne è valsa la pena, lo dico a tutti, con gratitudine.

Che ne è stato del libro “Buen Camino”? E’ andato a ruba. L’iniziativa ha superato tutte le mie attese e devo dire che questa volta i collaboratori avevano ragione. Il gregge ha avuto più fede del pastore. Succede! Anzi è successo. Grazie di cuore.

                                                                                                                                                                      Don Luciano

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Ringraziamento

Il Parroco ringrazia tutti coloro che hanno preparato la festa del suo 50° anniversario di Ordinazione Presbiterale e quanti hanno pregato o partecipato alla S. Messa giubilare di domenica scorsa.

RICORDANDO IL MIO CAMMINO DI VITA PASTORALE

Il mio itinerario sacerdotale è ben descritto sulla immaginetta che trovate pubblicata su questo foglietto domenicale. È opera dell’artista friulano Gianni Di Lena che mi ha sempre gratuitamente assecondato nelle mie richieste, interpretando i miei desideri. Potrete ritirare l’immaginetta-ricordo, accompagnata dal mio ringraziamento, da questa sera alle uscite della chiesa.

Nell’estate 1966 assieme agli altri sacerdoti novelli ho potuto far visita al Papa Paolo VI° che si fermò con noi e ci parlò brevemente, raccomandandoci di preparare bene il Congresso Eucaristico che si sarebbe celebrato a Udine nel 1972. Poi quasi per caso iniziai la vita pastorale a Colloredo di Prato dove il Parroco, molto malato, mi aveva chiesto una sostituzione per trascorrere un mese di ferie dalla sua sorella a Napoli. Tornò a casa dopo poco tempo e lo assistetti in punto di morte. Mi lasciò nel cuore una bella impressione di quel transito così sereno. Rimasi in questo paese, dove feci i primi passi del mio sacerdozio, fino a metà dicembre del 1966, sempre attorniato da affetto per la mia giovane età. Poi mi trasferii nella parrocchia di S. Paolo in Udine, dove ero stato destinato dal Vescovo. Vi rimasi 2 anni, occupandomi specialmente della gioventù. Ho conservato belle amicizie e ricordo con piacere i pomeriggi trascorsi insieme, prima al catechismo e poi sul campo di calcio. Anzi conservo ancora la targa-ricordo che mi è stata regalata alla partenza per esser stato cofondatore, con i giovani più maturi, della Società Sportiva di basket S. Paolo. Rivignano mi accolse nel mese di settembre 1968. Iniziai a insegnare religione nella Scuola Media e nelle elementari e ad inserirmi nella comunità, dedicandomi specialmente ai giovani. Erano le prime avvisaglie del’68. Accompagnai i giovani in questo periodo di ricerca e di cambiamento commentando nelle conferenze settimanali la “Humanae vitae”, a preparando insieme a loro le omelie da proporre  nelle Messe domenicali e inserendo nella liturgia i canti di Giombini che stavano imponendosi in quei tempi. Non mancarono i campeggi, le gite ecc…So di essermi dedicato anche agli adulti, considerata l’età avanzata del parroco. Fu un periodo di intenso lavoro e di entusiasmo. Conservo ancora i quaderni delle 4 squadre di aspiranti con le loro firme di presenza, i l riassunti dei racconti (nel mese di maggio) delle apparizioni della Madonna a Lourdes, a Fatima, a La Salette ecc…, i disegni. Li ho mostrati a loro una quindicina di anni fa in un incontro in occasione del S. Natale. Non esagero dicendo di aver visto lacrime di commozione sui loro volti. Il 29 giugno 1971 venni inviato a Mortegliano dove era Parroco il mio paesano Mons. Faustino Di Benedetto. Non era una situazione tranquilla. Si trattava di vivere con equilibrio “le spinte e le frenate”, per tenere unita la comunità. Cercai di fare del mio meglio, feci quello che mi sembrava essere il mio dovere. Ebbi l’impressione che il popolo di Dio comprendesse la mia buona volontà. Continuai ad insegnare religione nelle Scuole Medie ed elementari. Nel pomeriggio curavo il catechismo per i bambini Una volta alla settimana, verso sera, l’incontravo i ragazzi di prima e seconda superiore, presentando anche i pericoli di cadere nell’ uso della droga che iniziava a far capolino anche nei paesi…così mi dicevano. Il lunedì sera era l’esperienza del servizio gratuito riservato ai giovani più grandi. Si partiva con un gruppo ben nutrito di giovani verso Udine per essere utili alla comunità Piergiorgio che era appena nata e che necessitava di aiuto. L’aiuto poi continuava a Mortegliano coinvolgendo le famiglie nella casa della gioventù Fu questa per me una esperienza, che ritengo ispirata dallo Spirito Santo, che ci aiutò ad uscire dalle buone intenzioni per giungere alle buone pratiche. Ricordo ancora la bella mostra sulla Eucaristia tenuta nella casa della gioventù che coinvolse gli insegnanti e gli alunni delle Scuole medie ed elementari in occasione del Congresso Eucaristico del 1972. Quanto pagherei per avere qualcuna di queste opere fatte dai ragazzi con l’aiuto degli insegnanti. Per me furono tempi difficili ma, ora lo dico con gratitudine, tempi fecondi. Le difficoltà mettono alla prova, danno la possibilità di rafforzare la volontà e offrono l’opportunità di crescere. Appena giunto il nuovo parroco Mons. Pietro Antares nel 1973 a Mortegliano, lo misi al corrente della mia intenzione di diventare io stesso “Parroco” e non soltanto cooperatore parrocchiale. Mi presentai dal Vescovo Mons. Battisti e gli dissi la mia intenzione, che egli assecondò subito inviandomi a Pavia di Udine. Vi giunsi il 20 novembre 1974. Fu un periodo di gioiosa sosta e di impegno. Eravamo come una famiglia. Il paese era ricco di associazioni e di iniziative alle quali partecipavo volentieri. Mi è stato facile inserirmi ed acquistare la fiducia, ero giovane e la carta della giovinezza normalmente è vincente, se giocata per il Regno di Dio. Ho bei ricordi: la banda giovanile, il coro parrocchiale, il restauro dell’organo e della scuola materna, la confidenza con le persone, la Scuola Media, la collaborazione con i parroci limitrofi, la festa dei “Luciano”, nata nel 1975, che ancora annualmente ci dà l’occasione di radunarci insieme…Mi ero talmente affezionato alla gente di questo paese che quando nel maggio 1979 il Vescovo venne a comunicare la sua decisione, da me accolta per obbedienza, di trasferirmi nella Parrocchia di S. Quirino in Udine, in quella notte, nel letto, piansi quasi sentendo il rimorso di aver accolto la proposta del Vescovo, come fosse un tradimento nei confronti di quella piccola e cara comunità. Alle volte bisogna anche piangere per sentire la nostra umanità e rispettare i sentimenti del nostro cuore. Entrai a S. Quirino Domenica 11 novembre 1979 alle ore 11. Furono 15 anni di intenso lavoro pastorale, sia per quanto riguarda la vita comunitaria che le opere cui si dovette mettere mano. Le fatiche iniziali a nessuno vengono risparmiate. Questo periodo è stato il centro della mia vita, dai 37 ai 52 anni. Ciò che mi è giunta come una novità mai pensata e tanto meno attesa fu la richiesta del Vescovo di mandarmi nel  Seminario Interdiocesano di Castellerio, come rettore. Cercai di presentare qualche obiezione ma ormai i giochi erano fatti. Forse dovevo ricorrere all’obiezione di coscienza  ma chi è abituato ad obbedire dice sempre di sì. Non ho capito mai se sia giusto o meno. Comunque mi affidai alla divina Provvidenza ed espletai quel delicato compito per 10 anni, tra gioie e preoccupazioni. Sono venuto in questa parrocchia nel 2004. Voi mi conoscete. Voi sapete i miei difetti ed i pregi. Non occorre che ve ne parli. Mi son trovato e mi trovo bene con voi. Gli impegni sono aumentati di anno in anno. Ho un grande rammarico, quello di non aver attualmente il tempo di venire a visitare le vostre famiglie. Ma non ho accantonato il desiderio e, prima o poi, spero di suonare non solo le campane del duomo e delle altre chiese, ma anche i campanelli delle vostre case.

Sono queste le realtà che fanno parte dell’itinerario della mia vita. È stata ed è una vita bella la mia, di impegno, di soddisfazioni, di varie realizzazioni pastorali. Ci sono state e ci sono anche difficoltà indubbiamente ma queste rafforzano la volontà e provocano la nascita di energie insperate e non prima immaginate. La vita di un parroco è la vita più bella e varia che un sacerdote possa vivere. Le numerose relazioni, dettate e improntate alla carità pastorale, non sono mai banali, sono sempre importanti perché segnano in profondità le persone. È quella profondità che sa scavare solo Dio nelle anime per donare la sua grazia e farla fruttificare. Il sacerdote che celebra i sacramenti è portatore di una ricchezza di cui forse non ci si rende conto a sufficienza e che ci supera. Siamo ministri, strumenti coscienti e alle volte poveri che favoriscono l’incontro più importante che una persona possa avere nella vita: l’incontro con Dio.

Entusiasmo e stanchezza, gioie e preoccupazioni fanno parte di ogni vita. Non posso che ringraziare il Signore per questo lungo cammino che ho potuto percorrere con Lui e con tante persone che ho incontrato. Ringrazio i miei genitori che si sono fatti pellegrini con me di parrocchia in parrocchia, le sorelle, i fratelli, i parenti tutti , gli amici tra i quali non posso dimenticare i coetanei della classe 1942, i maestri, le suore. Sono grato ai vari parroci di Basiliano che mi hanno accolto sempre con affetto e stima. Non penso di far torto a nessuno se menziono in particolare don Luigi Londero che è padre della mia vocazione sorta fin da bambino e che mi ha accompagnato nel lontano 1953 per la prima volta nel Seminario di Castellerio. Ringrazio tutte le comunità che mi hanno voluto bene, assecondato, favorito, aiutato nelle difficoltà incontrate. Alle volte mi sono sentito il pastore che cammina davanti e guida il gregge, altre volte il pastore mescolato in mezzo agli altri, qualche volta ho avuto l’impressione di essere il pastore che si lasciava trascinare dalla gente. È l’esperienza della vita di fede, è l’esperienza concreta della vita comunitaria, è la bellezza del sentirsi chiesa di Cristo. Si vive anche della fede e della testimonianza degli altri. È la comunione ecclesiale, sempre dono dall’alto, cercato, pregato, vissuto. Con questi sentimenti invio un saluto cordiale a tutti mentre oggi celebro con gioia assieme a voi la Messa giubilare ed invito tutti a dire grazie per quanto il Signore ha compiuto e a gustare il suo perdono nell’ Anno della Misericordia.  Cordialmente!                                                                                            Don Luciano.

 

RICORDI DI 50 ANNI FA

 

Carissimi amici,

don-luciano-consacrazionemi è caro ricordare il 50° anniversario di Ordinazione sacerdotale avvenuta il 29 giugno 1966 nella cattedrale di Udine, per le mani e l’invocazione dello Spirito Santo da parte dell’Arcivescovo Mons. Giuseppe Zaffonato. È stato un momento di intima trepidazione, di intensa gioia e di forte emozione che, per mia libera scelta, mi impegnava per tutta la vita, definitivamente. Il canto: “Tu es sacerdos in aeternum” lo ricordava a tutti noi chiaramente. Il “per sempre” mette indubbiamente un certo timore nel cuore ma grande era anche la fiducia nel Signore che mi aveva chiamato al sacerdozio ministeriale. L’impegno era mio certamente ma Lui mi prometteva fedeltà e assistenza continua con la sua grazia perché potessi seguirlo sulla strada che Egli mi andava tracciando. Ho davanti agli occhi la foto di gruppo che  riprende tutti noi Sacerdoti Novelli all’esterno del Duomo subito dopo la Messa di Ordinazione. L’ho guardata tante volte e mi è sembrata sempre molto eloquente e misteriosa insieme.

Siamo emozionati, direi frastornati, stupiti di quanto ci era accaduto, anche se ci eravamo preparati durante tutti gli anni di formazione trascorsi in Seminario. Era accaduto qualcosa di grande e di sorprendente. Ciò adesso non mi meraviglia. Sul nostro volto si legge un sentimento profondo di gioia contenuta, generato in tutti noi dalla grazia, dalla bellezza della grazia, dalla missione alta che ci veniva affidata. Era gioia e timore insieme. Non sembri troppo ardito se oso paragonare, logicamente nelle dovute proporzioni, questa esperienza a quella biblica di timore e gioia insieme. È sempre così quando il Signore si fa vicino.

“Non temere” dice l’angelo a Maria e a Giuseppe coinvolgendoli nel mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. “Non temete” dicono gli angeli  ai pastori annunciando la grande gioia della nascita del Salvatore. È il timore e la meraviglia che provarono le donne incontrando il Risorto. Mi permetto di affermare che avevamo toccato con mano la presenza dello straordinario che è comune nelle manifestazioni di Dio. Avevamo fatto l’esperienza degli apostoli. Questo avviene ogni volta che celebriamo un sacramento, è Dio stesso che agisce in noi, dona e chiama. Poi c’è stata la celebrazione della Prima Messa il 3 luglio a Basiliano. Festa di paese. Sono figlio di una famiglia semplice e di una comunità cristiana nella quale sono cresciuto, sempre accompagnato dall’affetto e dalle preghiere di molti, cui debbo sempre riconoscenza.

È stata una attesa lunga 13 anni, non solo da parte mia e dei miei cari, ma di tutto il paese, per questo tutto il paese ha partecipato e alla gente del mio paese ho sempre voluto bene. Ricordo il suono festoso delle campane, il corteo “nuziale” con tutti gli invitati dalla casa alla chiesa parrocchiale, l’arco di rami e foglie verdi fatto durante la notte dai giovani davanti alla chiesa, l’accoglienza di tutti, la poesia del nipote Tiziano, il mazzo di fiori della cuginetta Carla, la chiesa gremita di gente. In quella domenica pochi erano rimasti a casa. Era la festa di tutti. Mi sono sempre sentito “un frut di Basilian” non solo nel senso di un bambino ma di un frutto della comunità cristiana del mio paese.

Ricordo la gioia del Parroco don primo Sabbadini e degli altri sacerdoti che mi accompagnavano. La Messa solenne cantata dalla cantoria è iniziata col Veni Creator Spiritus, eseguito a squarciagola anche da parte dei bambini, come si sente nella registrazione fatta per caso da un giovane su un piccolo registratore “geloso”. Risento l’omelia con voce tonante del paesano Mons. Faustino Di Benedetto circa la grandezza del sacerdozio. Mi faceva balenare nel futuro curriculum un servizio in Seminario. Fu profeta! Il pranzo con i parenti e gli amici, il canto dei Vesperi ed il bacio delle mani, il trattenimento corale nel cortile della casa canonica sono stati tutti momenti che hanno riempito la giornata e soprattutto il cuore. Nelle giornate seguenti ho incontrato i vari gruppi di persone impegnate in parrocchia per dire loro il mio grazie e poi ho trascorso una serata coi miei coetanei (classe 1942) nell’ osteria “Al Friuli”…fino a tarda ora! Conservo ancora il testo di quanto ho detto loro e dell’omelia che ho tenuto la domenica seguente per ringraziare tutta la comunità.

Sono ricordi che danno respiro anche oggi per vivere sempre con riconoscenza la grazia ricevuta e con il medesimo entusiasmo la missione affidata dal Signore a coloro che ha chiamato ad essere pastori nel popolo di Dio. (continua la prossima domenica)

Il parroco don Luciano.

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