MESSAGGIO PER L’AVVENTO 2020

 

Cari fratelli e sorelle,

             da più parti sento ripetere la domanda: “Che Natale ci permetterà di fare quest’anno il covid-19?”. Tutti avremmo il desiderio di vivere le feste natalizie condividendo serenità e affetto con i parenti e gli amici, secondo le nostre belle tradizioni. Purtroppo il contagio del virus non dà segni di resa e cresce la paura di trovarci, fra un mese, con restrizioni ancora più pesanti che a quel punto rovinerebbero le feste.

Riflettendo e pregando su tale situazione, mi è salito dal cuore questo invito, un po’ controcorrente: “Prepariamoci, nonostante il virus, ad un bel Natate”. Sarà, forse, una festa più semplice e più povera, come lo fu per Maria e Giuseppe e per i pastori che si raccolsero attorno a Gesù bambino. Ciononostante, può essere l’occasione per riscoprire la bellezza spirituale del Santo Natale; una bellezza che penetra nella nostra anima e porta quella gioia che Gesù ha acceso tra gli uomini e che gli angeli hanno cantato.

Ci prepara al Natale il tempo dell’Avvento. Valorizziamo allora le settimane dell’Avvento non pensando, prima di tutto, agli acquisti e ai regali ma sperimentando la gioia di un cammino di purificazione della nostra vita e della nostra fede, come ho invitato a fare nella lettera pastorale: «I loro occhi riconobbero il Signore”. Per una Chiesa purificata dalla tribolazione».

Ci indicano la direzione le parole del profeta Isaia, ripetute da Giovanni Battista nel deserto:

“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati.” (Lc 3,4-5)

Queste parole possono spingerci ad un onesto esame di coscienza. Quali sono i sentieri che dovremmo raddrizzare?

Quanto è ingombro il nostro cuore di interessi e bisogni che non lasciano spazio all’amore per Dio e per i fratelli? Quali sono i vuoti di senso e di speranza da riempire nella nostra anima?

Prepariamo la via al Signore durante l’Avvento convertendo la nostra vita cristiana da tutto ciò che è peccato e compromesso col male. Per giungere al Natale con cuore rinnovato suggerisco anche tre utili impegni concreti.

In ogni famiglia costruiamo il presepio mettendoci l’impegno e la fantasia di tutti. Diventi, nel tempo natalizio, il centro della nostra casa attorno al quale pregare assieme. Gesù sarà, così, al centro della nostra famiglia.

Troviamo il tempo per partecipare ogni domenica alla Santa Messa perché è il momento in cui Gesù continua a venirci incontro donando il suo Corpo e il suo Sangue e tutto l’Amore che, dalla mangiatoia di Betlemme, ha diffuso tra gli uomini.

Apriamo gli occhi e il cuore verso chi sta peggio di noi. Arriviamo a Natale portando con noi qualche persona o famiglia che aspetta la nostra vicinanza e il nostro aiuto discreto e generoso. Magari abitano lungo la nostra via o al di là della siepe di casa nostra.

Cari fratelli e sorelle, vi affido questo breve messaggio nella speranza che siamo in molti a vivere un bel Natale anche in tempo di pandemia. Continuiamo ad invocare la Beata Vergine delle Grazie perché interceda presso Gesù e ci ottenga la salute dell’anima e del corpo.

                                                + Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo

Accensione della prima candela

 

Vieni, Gesù, insegnaci a vegliare, attendendo la tua venuta come quella di un amico. Vieni, Gesù, fa che sentiamo la tua presenza dentro di noi. Aiutaci ad amare come hai amato tu, a pensare come hai pensato tu, ad agire come hai agito tu! Vieni, Signore Gesù!

Carissimi fedeli,

            sono passati oltre 15 anni da quando ha iniziato ad uscire il foglietto domenicale “L’angelo di S. Maria di castello” come piccolo strumento di comunicazione all’interno della nostra Parrocchia. Siamo giunti al N° 500. È una bella tappa che mi è gradito ricordare per ringraziare tutti coloro che hanno collaborato con fedeltà a questa iniziativa che, partita con modestia, è diventata uno strumento prezioso per comunicare con le persone che frequentano le nostre chiese. Accanto a costoro vorrei menzionare anche coloro che nel silenzio curano da altrettanti anni il sito web della Parrocchia. Ho compreso anche io il grande valore che c’è dietro a questi nuovi mezzi informatici. Migliaia sono le persone che hanno la possibilità di conoscere la Parrocchia e le sue attività. Soprattutto le persone che non possono partecipare, hanno l’opportunità di seguire la nostra parrocchia da lontano attraverso il medesimo foglietto domenicale, che è possibile scaricare. Inoltre la trasmissione della Santa Messa in live streaming, durante il lock down, ha svolto un servizio enorme sia nei giorni feriali che festivi. Sono strumenti e possibilità per conoscere di più la chiesa e soprattutto il Signore “nel segreto della propria camera”. So che ci sono anche dei pericoli nascosti sotto questi strumenti ma all’occorrenza sono risolutivi. Si tratta solo di saperli utilizzare a momento opportuno.

Grazie a tutti.                                                                          Don Luciano, Parroco.

GESTI, SILENZIO, CANTO: COSÌ SI CELEBRA CON ARTE

A cura di don Loris Della Pietra

 

L’interesse per la pubblicazione della nuova edizione del Messale non può limitarsi all’investigazione filologica, ma richiede uno sforzo più ampio per far sì che il testo del libro diventi gesto per un’assemblea che vuole essere all’altezza del suo compito. È la sfida più grande: recuperare quella capacità dell’agire liturgico che già Guardini, all’inizio della riforma conciliare, vedeva come seriamente compromessa da una mentalità razionalistica. Soltanto se la celebrazione rimane tale, nel pieno rispetto delle sue leggi e delle sue risorse, diventa «luogo privilegiato di trasmissione dell’autentica tradizione della Chiesa e di accesso ai misteri della fede» (Presentazione, n. 10).

È chiaro che non è sufficiente il libro liturgico per celebrare in autenticità, ma il libro – che come stabilito dai Vescovi sarà utilizzato ufficialmente nelle chiese del Triveneto dalla prima domenica di Avvento (29 novembre 2020) – fornisce la griglia indispensabile affinché l’azione sia fedele al progetto ecclesiale e attuabile da una reale assemblea. Se una motivazione didascalica (per capire e far capire) ha caratterizzato una prima fase della ricezione del Messale, un intento “stimolatore” teso ad animare le assemblee ha contrassegnato una seconda fase, ora un nuovo obiettivo deve guidare la pastorale liturgica: permettere che le azioni, celebrate in verità, introducano al mistero che salva, senza aggiunte inopportune che le falsificano o banali spiegazioni che le destabilizzano.

Celebrare con arte

Si comprende tutta l’urgenza dell’ars celebrandi che deve muoversi sui due binari dell’obbedienza al progetto rituale custodito dal libro e della valorizzazione di tutti i linguaggi di cui il rito ha bisogno in vista del coinvolgimento pieno dell’uomo. È quanto affermava papa Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (nn. 38 e 40). Una pluralità di codici perché tutti possano celebrare e così accedere all’unico mistero. Il Messale, a questo proposito, e il suo Ordinamento Generale, sono strumenti che ordinano e guidano la celebrazione eucaristica in modo che tutti possano partecipare, ciascuno secondo il proprio compito, e tutti secondo la dignità ricevuta nel Battesimo (SC 14). Nelle Premesse, ampiamente riviste, e nell’apparato rubricale affiora la traccia che rende possibile la celebrazione come parola da dire o da cantare, gesto da compiere, silenzio che fa tacere ogni suono ormai inutile. È il “rosso” della rubrica che attende di essere risvegliato nelle molteplici possibilità dei linguaggi i quali, come sostengono ancora i Vescovi, «non costituiscono dunque un’aggiunta ornamentale estrinseca, in vista di una maggiore solennità, ma appartengono alla forma sacramentale propria del mistero eucaristico» (n. 9).

Alcuni esempi rintracciabili nelle Premesse e nella stessa struttura celebrativa sono utili per comprendere la responsabilità affidata a chi celebra affinché la “forma sacramentale” della fede nutra ed edifichi la Chiesa.

La cura dei gesti

Innanzitutto, la cura dei gesti e degli atteggiamenti del corpo del sacerdote, dei ministri e dei fedeli. Il n. 42 dell’Ordinamento Generale, di nuovo conio, ricorda che essi devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per la bellezza e per quella nobile semplicità che già il Concilio aveva raccomandato, si colga il vero significato delle sue parti e si favorisca la partecipazione di tutti. Si tratta di gesti che non possono dipendere dall’arbitrio di qualcuno e devono favorire l’afflato spirituale di chi li compie anziché disorientare e confondere. Una verifica della nostra gestualità liturgica sarebbe quanto mai auspicabile per ridare dignità e verità alle azioni che compiamo e toglierle da quel funzionalismo che le ha mortificate. Si pensi, ad esempio, all’incedere simbolico nella Messa: qual è lo stato di salute delle nostre processioni d’ingresso (spesso ridotte a semplice accesso all’altare), offertoriale (sovente a rischio di fraintendimento perché si porta qualsiasi cosa) e di comunione (più simile a una coda alla posta dove il singolo va a procurarsi un bene)?

Il silenzio

Un altro aspetto che la nuova normativa recupera è il silenzio. Il n. 45 dell’Ordinamento, anch’esso di nuova composizione, sembra ridare consistenza ai momenti di silenzio considerati «parte della celebrazione» e la cui natura dipende dalla struttura stessa di ogni rito. Il silenzio liturgico non è semplice tacere, ma intreccio fecondo con la parola, il canto, l’immagine e lo spazio fino a diventare raccoglimento (durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera), meditazione (dopo l’omelia) e preghiera interiore di lode e di supplica (dopo la comunione). Il n. 56, a proposito della liturgia della Parola, richiama l’opportunità di momenti di silenzio brevi e adatti alla reale assemblea. Un silenzio, dunque, non da sopportare, ma da celebrare come “luogo” in cui lo Spirito parla.

Il canto

Infine, il tema del canto del presidente in dialogo con l’assemblea. La nuova edizione italiana presenta nel corpo del Messale le melodie ispirate alla tradizione gregoriana per alcuni testi del Rito della Messa, del Triduo pasquale e di altri momenti dell’anno liturgico e in Appendice anche le melodie composte appositamente per l’edizione precedente. Con questa ampia offerta musicale si è voluto promuovere il canto del presidente, archiviato troppo frettolosamente, quel “recitare cantando” che riesce a sublimare la parola, dove la musica stessa si pone a servizio della parola. Cantare ciò che si può leggere è gratuità, esperienza ed espressione dell’indicibile, gesto sonoro nel quale Dio si mostra e con il quale il suo popolo lo incontra.

Ripartire dalla celebrazione

Nei lunghi mesi del lock down i fedeli sono stati privati dei segni della fede. La consegna del Messale alle Chiese d’Italia è ripartenza dalla liturgia e da quel lato più delicato e decisivo che è la competenza celebrativa. Occorrono, per questo, uomini e donne che a vario titolo considerino la vita liturgica come essenziale e sperimentino e facciano sperimentare il dono inaudito di Dio nelle azioni rituali. Per questo è necessario che il Messale sia patrimonio dell’intera comunità e che il progetto rituale in esso riportato diventi azione viva grazie ad una pluralità di ministeri e ad una ricchezza di linguaggi mai riducibile ad uno solo.

Se il passaggio dal latino alla lingua viva ha significato una maggiore attenzione ai contenuti da comprendere, ora occorre passare dai contenuti ai linguaggi che li mediano. Occorre che presidenti, ministri dell’altare, della Parola e del canto, e tutti i fedeli, recuperino il lato più corporeo della liturgia fino a percepire il non verbale della parola che diventa canto e silenzio.

È attraverso questa via, garbata e persuasiva, che si realizza l’augurio di sant’Agostino: «Se voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete». Nell’Eucaristia che celebriamo in fedeltà a Dio e all’uomo è racchiuso e svelato il mistero che ci riguarda.

ATTO PENITENZIALE

Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, (battendosi il petto) per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

E supplico la beata e sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle, di pregare per me il Signore Dio nostro.

 

PADRE NOSTRO (Braccia allargate)

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.

 

IL PADRE NOSTRO È CAMBIATO?

NON LA PREGHIERA, MA LA TRADUZIONE

                                                         A cura di don Stefano Romanello

È cambiata la preghiera di Gesù?

La nuova edizione del Messale Romano addotta la traduzione ufficiale del Padre Nostro presente nella Bibbia CEI del 2008, e così la sesta richiesta non recita più “non ci indurre in tentazione”, bensì “non abbandonarci alla tentazione”. Qualcuno, entusiasta, ha già introdotto la formula nelle celebrazioni prima dell’uscita del nuovo Messale, altri all’opposto storcono il naso: perché cambiare la formula di preghiera ormai ben conosciuta? È bene innanzitutto rammentare un fatto scontato, non è cambiato il Padre Nostro, ma la sua traduzione.

Non abbandonarci alla tentazione

Il Padre Nostro è una preghiera a noi giunta in greco, in due versioni, una quella di uso comune, tramandataci da Mt 6,9-13, l’altra più breve da Lc 11,2-4. Esse riflettono le tradizioni liturgiche delle rispettive comunità, ma si basano su un originale a noi sconosciuto che risale a Gesù, ed era nella lingua da lui parlata, l’aramaico. Sia Matteo sia Luca riportano, in termini identici, la richiesta riguardante la tentazione. È ovvio che la formulazione tradizionale suscita perplessità: se Dio è il Padre che vuole la nostra salvezza come può volere per noi qualcosa di male, sì da essere stornato in questo con la nostra preghiera? Già il NT, segnatamente la lettera di Giacomo, nega questa possibilità: “Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno” (1,13). Cosa vuol dire, allora, quest’invocazione?

“Tentazione” o/e “prova”?

È necessario andare al testo greco per capirlo bene. Innanzitutto c’è la parola “peirasmos” che può voler dire “tentazione” come “prova”. Per prova s’intende l’esercizio normale della nostra libertà: di fronte alle scelte da prendere ci mettiamo alla prova dovendo decidere l’orientamento da dare alla nostra esistenza. La tentazione è, per così dire, il suo risvolto recondito, il rischio di orientare la nostra libertà in direzioni opposte al progetto di Dio. Dio certamente non può sottrarci alla prova: sarebbe smentire la nostra stessa indole di esseri liberi. Anzi, nell’AT leggiamo che Dio “mette alla prova” i suoi fedeli, come ad es. il popolo d’Israele, condotto da Dio nel deserto proprio per essere educato a orientarsi all’Alleanza che Egli sta per stipulare con loro (Dt 8,2). E così Dio mette alla prova ogni essere umano, ma non lo fa con l’intenzione malevola di farlo cadere, bensì con quella di formarlo nella fede, che è sempre un atto libero. In questo accetta anche il rischio della risposta negativa, della libertà distorta che si fa tentare su strade più facili e auto-centrate. Possiamo adesso andare all’altro termine dell’espressione. Questa è la costruzione “eispherô eis”, che vuol dire “portare, condurre verso”. E qui la difficoltà si accentua. Se infatti Dio non può essere pregato per non portarci alla tentazione, poiché egli non tenta nessuno al male, nemmeno può essere pregato per preservarci dalla prova, se questa è condizione necessaria della fede e della libertà. L’espressione deve avere un senso traslato che si può individuare sulla base dell’intero racconto evangelico.

La prova/tentazione di Gesù e dei discepoli

Gesù ha vissuto la prova/tentazione comune agli esseri umani, ma l’ha superata sempre compiendo la volontà del Padre. I vangeli sinottici all’inizio della sua missione collocano l’episodio delle tentazioni, in cui il diavolo lo provoca a far ricorso alle sue prerogative divine a suo tornaconto, per realizzare un messianismo spettacolare e trionfatore. Ma è soprattutto nell’imminenza della morte che la prova assume il tono della drammaticità. Nel Getsemani (Mt 26,36-46) egli avverte l’angoscia della morte imminente, e prega il Padre che allontani il calice della sofferenza. La preghiera ha però la forza di far emergere la sua relazione filiale con Dio che è Abbà, Padre, e così realizzare l’adesione totale alla sua volontà. Interamente uomo, Gesù si dimostrerà al contempo interamente Figlio di Dio, non in qualche miracolo spettacolare, bensì nel “miracolo” dell’obbedienza. Giunto dai suoi discepoli li trova addormentati, e li ammonisce: “Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione (mê eiselthête eis peirasmon)”. Questa frase, in tutto il vangelo, è quella che si avvicina di più a quella del Padre Nostro. E nemmeno questa può essere intesa in senso letterale: i discepoli, infatti, si trovano già in un contesto di prova! Contrariamente a Gesù, essi soccombono alla tentazione (lo lasceranno solo) perché non sono capaci di affidarsi al Padre con la preghiera. Le parole di Gesù, a loro come ai discepoli di tutti i tempi, indicano nella preghiera la dimensione-forza necessaria per affrontare vittoriosamente la prova/tentazione. Il verbo “entrare” va allora inteso in un senso intensivo: “non cadere, non soccombere”. Il Padre nostro esprime proprio questo monito di Gesù: essendo parola rivolta a Dio il verbo “entrare” è tramutato naturalmente con “condurre”, e va inteso nello stesso senso intensivo: “fa che non soccombiamo nella prova/tentazione”.

Il “non abbandonarci”

Come si vede, a volte la traduzione stessa di certe espressioni richiede uno sforzo d’interpretazione che, per farne emergere il senso, non può limitarsi a una resa letterale. È un fenomeno che ricorre in altri passaggi della Bibbia. La traduzione “non abbandonarci” sottintende l’idea che, per non farci soccombere, Dio non deve abbandonarci. Indiscutibile, tuttavia si potrebbe obbiettare che in questo caso il processo d’interpretazione si è spinto troppo in là, introducendo l’idea di “abbandonare” assente nel testo greco. Ad ogni modo è necessario che la preghiera sia totalmente libera dall’idea sinistra di un Dio che potrebbe condurci al male, e sia invece espressione di fiducia al Padre che, unico, dona la forza per affrontare vittoriosamente la prova, come già spiegava il compianto don Rinaldo Fabris nel suo commentario a Matteo.

PREGHIERA ALLA BEATA VERGINE DELLE GRAZIE

 

O Beata Vergine delle Grazie, clemente Madre nostra, come i nostri antenati, torniamo ad inginocchiarci davanti a Te mentre la nostra salute e serenità, sono turbate da un virus subdolo e invisibile.

Donaci la grazia di ritrovare in noi la fede che non ci fa sentire soli nella prova ma accompagnati ogni giorno dalla Provvidenza di Dio, che ci ama come Padre, e dall’intercessione del tuo cuore di Madre.

Rinnova in noi la coscienza che più grave in noi è il male dell’anima e facci sentire il desiderio di essere liberati e perdonati dai tanti nostri peccati.

Rafforza la speranza che questa nostra preghiera possa essere esaudita. Per i fratelli e le sorelle malati, tutti coloro che si stanno dedicando a loro con coraggio e dedizione, le famiglie e la comunità friulana, la Chiesa e tutta l’umanità.

“Faisi dongje, o cjare Mari, cun chel vuestri biel Bambin”.

Amen.

+ Andrea Bruno Mazzocato – Arcivescovo 

 

Ave Maria… Salute dei malati, prega per noi.

PER I MALATI E GLI ANZIANI

L’Arcivescovo ha accolto questa opportunità offerta da Telefriuli e ci ha chiesto di offrire questo servizio liturgico ogni domenica alle 10.30 (canale 11 o 511HD del DTT), per venire incontro alle persone malate e anziane che non possono presenziare alla S. Messa domenicale.

La celebrazione, pur dignitosa, rispecchierà il volto vero della nostra comunità con le sue peculiarità e possibilità, ma anche con le sue debolezze e povertà. Una preoccupazione eccessiva della perfezione disturberebbe la nostra “nobile semplicità” ed il nostro “essere famiglia” dove tutte le persone devono trovare un posto adatto e sentirsi a proprio agio.

Siate sempre benvenuti!

UNA FIRMA CHE NON COSTA MA HA VALORE

 

 

Sorelle e fratelli carissimi,

innanzitutto io debbo dire grazie a 13 milioni di persone che per tanti anni mi hanno permesso di condurre una vita dignitosa, come prete, al servizio del Signore nella chiesa cattolica. Lo devo a chi ha versato le offerte liberali o la quota IRPEF dell’8xmille alla chiesa cattolica con la presentazione dei redditi 730 o CUD. È un grazie non solo personale; giunge anche da parte di quanti hanno potuto beneficiare del sostegno di tante persone. Infatti ogni sacerdote ha molte occasioni di partecipare ad altri quanto riceve per il suo sostentamento.

1. Una firma, segno di libertà e di solidarietà.

Destinare alla chiesa cattolica la quota dell’8xmille è un segno di libertà. Ognuno, credente o no, con una semplice firma può partecipare al flusso di bene che liberamente molti compiono per orientare il mondo verso la solidarietà. Infatti i fondi destinati alla chiesa cattolica vengono distribuiti in ogni regione d’Italia; per esempio, le chiese del Triveneto hanno potuto ricevere 81,8 milioni di Euro per interventi caritativi, per il sostentamento dei sacerdoti e per progetti pastorali a favore della gente bisognosa di aiuto.

2. Una firma, segno di speranza.

Nei momenti di difficoltà ci si aiuta, si cercano tutte le strade per rinascere, per risorgere. Un gesto, come può essere una firma, è molto semplice ed efficace. Specialmente in questo tempo di pandemia che lascerà strascichi di povertà in tante famiglie, la chiesa non si disinteressa ma crea segni di speranza con la sua stessa presenza. Infatti la chiesa è sé stessa quando raggiunge gli altri.

Nessuno deve trascurare questa possibilità, che non costa nulla ma realizza molto. Anche quelli che non sono tenuti a presentare il loro modello fiscale, perché esenti, sono invitati anch’essi ad apporre la propria firma facendo così la scelta dell’8xmille, usando il modello allegato alla certificazione unica. Così collaborano a promuovere la speranza. La loro firma ha un peso che forse non ci si immagina ma è reale ed importante perché aiuta a mantenere aperte le mense della Caritas, a vivere dignitosamente chi ha perso il lavoro, a recuperare la fiducia chi esperimenta la solitudine.

3. Una firma, segno di corresponsabilità.

Tutti sappiamo come questo tempo non sia facile. Si parla di emergenza, sotto vari aspetti, educativo, economico, sociale ecc… Ma proprio in questo tempo così complesso vogliamo essere protagonisti di un cambiamento che tutti attendiamo. Grazie alla vostra firma corresponsabile, nell’emergenza Covid del 2020, la CEI (conferenza episcopale italiana) ha potuto destinare quasi 228 milioni di Euro (di cui 9 milioni ai paesi del Terzo Mondo) ai più svantaggiati. La nostra stessa Diocesi, tramite le collaborazioni pastorali, ha potuto distribuire generi alimentari e indumenti, pagare bollette di luce, acqua, gas, affitti ecc… pari a circa un milione di euro. Un gruppo di sacerdoti ha risposto all’appello dell’Arcivescovo versando ad un fondo comune una somma pari ad uno stipendio, per future necessità.  Queste somme ci dicono che i cattolici hanno a cuore il futuro, del quale vogliono essere protagonisti corresponsabili. Papa Francesco nella enciclica “Fratelli tutti” ci dice che soltanto la solidarietà riapre la prospettiva del futuro. I cattolici, con i loro pastori, non si tirano indietro. È il momento di essere presenti con la ricchezza del Vangelo che abbiamo tra le mani e con la testimonianza cristiana che è essenzialmente uno stile di vita che prolunga la missione di Cristo.

A tutti rivolgo un cordiale saluto ed un rinnovato grazie.                                                        Il Parroco, Mons. Luciano Nobile

GIORNATA DEL SEMINARIO

 

Sorelle e fratelli, ogni anno ritorna questa giornata che ci ricorda l’importanza della preghiera per coloro che hanno accolto la chiamata ad essere domani pastori nella nostra chiesa di Udine. I giovani che si stanno formando nel seminario interdiocesano di Castellerio necessitano del nostro sostegno spirituale, sono figli di questa nostra grande famiglia diocesana e perciò ci appartengono. Naturalmente non li ricordiamo solo oggi ma sempre nella nostra preghiera, perché il Signore ci doni sacerdoti ricchi di fede, generosi ed entusiasti della loro missione.

In questo foglio domenicale oggi vengono pubblicate alcune riflessioni del Rettore del Seminario don Loris Della Pietra.

 

“Da più parti affiora l’invito a non archiviare troppo frettolosamente l’esperienza dell’epidemia che ci sta colpendo, ma a tentare riletture sapienti alla luce della Parola di Dio. È compito squisitamente ecclesiale decifrare il piano di Dio nella storia complessa, e a volte complicata, dell’uomo. Un compito che assume i connotati evangelici della vigilanza…… Occorre vigilare per mantenersi in atteggiamento di responsabilità, capaci di rispondere di sé e degli altri perché c’è un bene più grande da preparare e da accogliere come fa la sentinella che attende il mattino o la mamma che non prende sonno finché il figlio non torna a casa… In questi mesi, protetti da mascherine e distanziati, abbiamo forse imparato più di sempre che cosa significhi vigilare e come ogni autentica vigilanza sia passione per le cose di Dio e dell’uomo alla ricerca di ciò che non muore. Il cammino vocazionale e di preparazione al ministero ecclesiale può essere segnato da momenti esaltanti o faticosi e da tappe fondamentali e aspetti effimeri. Per questo occorre vigilare, “con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” (Lc 12,33) impegnati e fedeli, e nello stesso tempo e nell’eternità disposti a riconoscere che la salvezza, nel tempo e nell’eternità, non è nelle nostre mani, ma dipende soltanto dall’amore di Dio. Anche le comunità cristiane vigilano… Lo fanno anzitutto con la preghiera assidua e inoltre con la stima e l’incoraggiamento per quei giovani che, non senza una buona dose di coraggio, si preparano a diventare preti in questo tempo e in questi luoghi. Tempi e luoghi dove non sempre tutto è chiaro e dove discernere la chiamata di Dio è impresa ardua, ma sempre tempi e luoghi nei quali il Signore abita e che egli ama e non cessa di salvare.

Il 27 marzo, in una piazza S. Pietro desolatamente vuota ma “misteriosamente” affollata, papa Francesco, tra l’altro, diceva: ”Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera: Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera ed il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.”

Anche per accompagnare e sostenere il cammino dei nostri seminaristi occorrono ”padri” e “madri” seminatori di corresponsabilità, capaci di guardare avanti fiduciosi e, al contempo, capaci di indicare il vero prezzo di ogni vocazione: il dono pieno della vita. Uomini e donne, che non mancano alle nostre comunità, che insegnino ad altri fratelli a convertire le abitudini, ad alzare lo sguardo con speranza, a custodire nella preghiera la radice della missione. La giornata del seminario, che ritorna anche quest’anno… ci raccolga nella preghiera per i seminaristi e per i loro formatori e ci permetta di riscoprire nella comunità eucaristica l’autentica matrice di ogni vocazione.

                                                                     (Dal Messaggio del Rettore don Loris)

CHI PROVVEDE AL SOSTENTAMENTO DEI SACERDOTI?

 

Molti pensano che sia il Vaticano. No. Sono i fedeli stessi che provvedono con le loro offerte come segno di comunione nella chiesa.

Ma perché donare offerte per i sacerdoti, se c’è l’8xmille?

Le offerte deducibili per i sacerdoti e l’8xmille sono nati insieme, con gli accordi di revisione del Concordato nel 1984. Sono due modalità diverse e avrebbero due destinazioni diverse. L’8xmille sostiene la chiesa cattolica in tutte le sue opere di carità, istruzione, evangelizzazione, nelle calamità ecc… come è avvenuto anche in tempi recenti proprio a proposito della pandemia. Le offerte deducibili invece dovrebbero sostenere il clero.

Perché si dicono offerte deducibili?

Si dicono offerte deducibili perché si possono dedurre dalla dichiarazione dei redditi ai fini del calcolo dell’IRPEF fino ad un massimo di 1.032,91 euro ogni anno.

Come vengono distribuite e a chi sono destinate le offerte deducibili?

Vengono convogliate tutte a Roma e poi l’istituto centrale del sostentamento del clero (ICSC) ripartisce le offerte raccolte in forma di remunerazione mensile ai 34.000 sacerdoti diocesani. Circa 31.000 preti sono in attività nelle oltre 25.000 parrocchie italiane, circa 400 sono fidei donum, cioè sacerdoti diocesani in missione nei paesi in via di sviluppo, e i restanti, per ragioni di età o di salute, sono in previdenza integrativa.

Quando si può fare un’offerta per i sacerdoti?

Tutto il tempo dell’anno. Ognuno offre quanto può e quanto desidera.

Tutto il clero italiano che opera anche in situazioni di povertà e che può vivere dignitosamente grazie al vostro aiuto, è riconoscente a quanti lo sostengono con la preghiera e l’offerta.

AIUTATI CHE IL CIEL TI AIUTA!

Questo detto popolare ci aiuta ad essere equilibrati nel vivere la situazione presente. Non desidero creare paura in coloro che stanno frequentando la Messa nei giorni feriali e festivi ma soltanto condividere con voi la responsabilità di quanto avviene nelle chiese della nostra parrocchia. Mi pare opportuno richiamare qualche disposizione che è obbligatoria poiché dettata dall’autorità sanitaria e dal buon senso. Non è mia intenzione polemizzare con nessuno né umiliare ma soltanto illuminare e sostenere che le disposizioni sono ragionevoli e opportune. Siccome viviamo insieme, siamo tenuti ad osservare quelle regole che tendono a garantire la salute di tutti. In questo caso, le convinzioni personali che si discostano dalle regole dettate da chi ha la responsabilità di promuovere e difendere il bene comune, tengono si e no fino all’ uscita della propria casa. Non si tratta di limitazioni alla libertà ma di amore verso il prossimo e verso sé stessi.

Tre norme per chi viene in chiesa, per il bene di tutti:

Indossare la mascherina in modo corretto cioè coprendo naso e bocca. Igienizzare le mani. Mantenere la distanza interpersonale. Le contestazioni adesso sono fuori luogo e non è tempo di correr dietro a opinioni personali. Qualcuno mi dice che è il Signore che ci salva. Indubbiamente, per la vita eterna. Ma non tentiamo il Signore inutilmente, esponendoci al virus per noncuranza o leggerezza o imprudenza o sfida, sperando che il Signore ci salvi.

La S. Comunione, sulla mano o sulla lingua?

In tempi normali non c’è alcun problema, sono ammesse tutte e due le modalità. Il tempo di pandemia non è normale, è tempo di pericolo per tutti e allora ci si adegua alle necessità. Per non essere causa di contagio, si accoglie sulla mano, con rispetto e devozione il Pane Eucaristico, sacramento del Corpo di Cristo. Se vogliamo tornare all’epoca antica, un testo famoso e opportuno di San Cirillo di Gerusalemme (+ 386) ci testimonia quanto segue: “Quando ti avvicini… fai della tua mano sinistra un trono per la tua mano destra poiché questa deve ricevere il Re e nel cavo della mano ricevi il corpo di Cristo dicendo: amen” (Catechesi Mistagogiche 5,21).

Come si può ritenere questa modalità più indegna o sacrilega?

Qualcuno si presenta con un fazzolettino sulla mano o una piccola custodia e poi assume le Sacre Specie. So che lo fa per rispetto. Ma un fazzoletto o una custodia sono più degni della nostra mano? La gloria di Dio è l’uomo vivente, uscito come opera d’arte unica dalla mano del Padre, redenta dal Figlio e santificata dallo Spirito. Cosa vogliamo di più? Ma non si tratta neppure di discutere se sia più degna la mano o la lingua, se mai preoccupiamoci che il cuore sia purificato dal perdono del Signore e perciò degno. Tutta la nostra persona è già consacrata, è santa per la presenza della SS. Trinità in noi, dal giorno del nostro battesimo. L’attenzione al prossimo e a sé stessi, in questo frangente, si esprime anche attraverso l’osservanza di una norma sanitaria. Teniamo presente che Gesù per ognuno di noi ha donato la vita. Mi è dispiaciuto vedere una persona rifiutare, stizzita, il Pane Eucaristico piuttosto che accoglierlo sulla mano. Cos’è più importante, fare la comunione con Cristo perché ci doni la forza della comunione con gli altri o la modalità dell’accoglienza? La mano tesa che riceve con gratitudine, si tende anche per dare. Gratuitamente abbiamo ricevuto il Bene più grande, gratuitamente doniamo ciò che possiamo.

Fare la comunione

Dirò ancora qualcosa di più. L’atto di “fare la comunione” è squisitamente comunitario e non va vissuto soltanto come atto devoto dell’individuo. L’Ordinamento Generale del Messale Romano(n. 86) mette in luce proprio questo atteggiamento che si esprime anche attraverso la processione ed il canto: “Mentre il sacerdote assume il Sacramento, si inizia il canto di Comunione: con esso si esprime, mediante l’accordo delle voci, l’unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere “comunitario” della processione di coloro che si accostano a ricevere l’Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli.” Spero vivamente che nessuno si senta a disagio accogliendo l’Eucaristia sulla mano e nessuno metta a disagio il ministro che la distribuisce, creando un disturbo a tutti. Un caro saluto a tutti con l’augurio di attraversare la prova della pandemia con coraggio e serenità, aiutati dalla forza del Signore che non abbandona mai i suoi figli.

                                                                                                                                                                Il Parroco don Luciano Nobile