INIZIA IL TEMPO DI QUARESIMA

2 MARZO – MERCOLEDI’ DELLE CENERI

 

È giornata di digiuno ed astinenza. Ci viene donato un tempo per:

Riposizionare il nostro cuore: Il profeta Gioele ci invita a ”lacerare il cuore non le vesti”. Ci sprona ad entrare nel nostro intimo, per esaminare i nostri desideri e così allineare il nostro cuore con quello del Signore.

Riordinare la mente: Questo è il tempo per ritornare a Dio, anche con tutta la mente. Siamo invitati a rinnovarci nei pensieri e nei progetti, per vivere e testimoniare i valori che confessiamo.

Riorganizzare la vita: I punti di appoggio sono l’elemosina, la preghiera ed il digiuno. Attenzione però al pericolo dell’ipocrisia e della ostentazione che danneggiano il desiderio di fare il bene.

Sante Messe con l’imposizione delle ceneri

Cattedrale: Ore 7.30 – 16.30 Ore 19.00. Celebra l’Arcivescovo. Canta la Cappella Musicale.

Chiesa di S. Giacomo: Ore 10.00



CAMMINO SINODALE

Incontrare – ascoltare – discernere

 

Carissimi fedeli,

riprendo il discorso iniziato domenica circa il cammino della chiesa, di cui prendiamo maggiormente coscienza anche perché sollecitati da Papa Francesco che ha dato un indirizzo con tre semplici verbi: Incontrare – ascoltare – discernere.

Ma prima voglio richiamare gli atteggiamenti con cui procedere nel cammino accogliendo le sfide della storia. Umiltà: per riconoscere i pregi e l’esperienza spirituale di ognuno. Mitezza: per sapersi rapportare con tutti specialmente con i più fragili. Misericordia: per far conoscere la bontà del cuore di Dio. Capacità di sopportare: per condividere i pesi altrui. Impegno concreto: per mantenere la concordia e la pace al fine di instaurare relazioni interpersonali fondate sulla capacità di riconciliazione. Ed ora sentiamo cosa ci dica il Papa. Non fa giri di parole, il Papa è immediato, va al cuore, con arguzia ed intelligenza perché conosce il cuore degli uomini.

INCONTRARE

“La Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui innestano i diversi tipi di abuso (di potere, economici, di coscienza, sessuali). E’ impensabile ‘una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio’ (Francesco, Lettera al Popolo di Dio – 20 agosto 2018 – proemio)”. È una mentalità da cambiare. È necessario del tempo.

Ma dice il proverbio: “Chi ha tempo non aspetti tempo”. Bisogna iniziare subito, se vogliamo dare luce alla nostra fede, se vogliamo rileggere il Vangelo per renderlo attuale, viverlo ed annunciarlo. Se restiamo chiusi nelle nostre chiese, impauriti o annacquati, certamente non siamo sale e luce. Il Papa ci invita ad “uscire” per incontrare chi pensa diversamente, chi agisce diversamente, chi propone strade diverse nel cammino della vita. “La rigidità, la più ostinata nemica del discernimento”. “Uscire dalla comoda presunzione del già saputo, mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà che sempre ci sono” (dal messaggio di papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni 2020).

ASCOLTARE

È importante andare incontro a tutti, credenti e non credenti, camminare insieme con loro, entrare nelle loro case,” nessun essere umano è indegno agli occhi di Dio”. In questi due anni, e non solo, abbiamo il tempo per “far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani…” (papa Francesco, Discorso all’inizio del Sinodo dedicato ai giovani – 3 ottobre 2018). Per ascoltare è necessario abbandonare pregiudizi, ignoranza, condanne, rigidità. Occorre la pazienza del dialogo.

DISCERNERE

Mettiamoci a discernere, a cercare chi è in cammino per altre strade, si avvia ad altri lidi. È una conversione per noi. Certamente siamo invitati a parlare con coraggio, schiettezza e franchezza per costruire, non per condannare e demolire. La secolarizzazione tocca anche le nostre comunità. C’è un allontanamento dalla vita della Chiesa. Stiamo vivendo un tempo difficile. Va forse ripensata l’immagine della Chiesa perché abbia i tratti della freschezza, della comprensibilità, dell’affabilità, che dica veramente qualcosa alla vita della gente? Dobbiamo lasciarci interrogare dalla crisi, come avvenuto durante la pandemia, ma anche dalle difficoltà che la gente incontra. Cercare nuove forme di contatto e di relazione con la gente. Far sentire la vicinanza della Chiesa alla vita, alla sofferenza delle persone. Questa è stata una esperienza molto positiva, riscontrata in molte realtà. Veramente la Chiesa ha saputo essere vicino alla gente. Dobbiamo avere il coraggio di cercare strade nuove, di metterci in cammino, di interrogarci e di lasciarci interrogare, con coraggio, dalla realtà, da quello che accade. E’ sempre tempo fecondo quello che si vive durante le crisi perché si è interrogati in maniera radicale.

Carissimi, fedeli, vorrei farvi una domanda: Quale chiesa sogniate voi? Io lo confesso, ho una simpatia per la chiesa fatta di gente comune, ordinaria, popolare. Ma quale chiesa è nel sogno di Dio?

Lascio aperta questa domanda, perché ognuno possa riflettere e rispondere. Lo Spirito Santo suggerisce, aiuta a discernere ed è fonte di comunione.

Un cordiale saluto con l’augurio di ogni bene, “sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”.                         Mons. Luciano Nobile. Parroco.

 

UN CAMMINO SINODALE

 

Carissimi fedeli,

si sente parlare in questi tempi di un cammino sinodale (camminare insieme), richiamato recentemente dal Papa. Questa modalità della vita cristiana viene da lontano, come ci testimonia il Vangelo di Luca che al capitolo 24 ci narra l’esperienza dei discepoli di Emmaus, molto interessante e significativa per il nostro tempo e la nostra chiesa. Descrive il modo di “procedere” dei cristiani del 1° secolo quando l’organizzazione della chiesa non era ancora così complessa, come oggi. Sulle riviste si parla tanto ed in tanti modi. A mio parere, più che “parlare” di un cammino, si tratta di “fare” un cammino. Significa fare un cammino condividendo la Parola di Dio, raccontando le esperienze di vita cristiana, formulando dei progetti illuminati e prendendo delle iniziative concrete. Ma non a caso. Certamente dobbiamo camminare insieme nella chiesa diocesana, in comunione con quella universale. Non ho mai capito coloro, purtroppo anche qualche sacerdote, che sono autoreferenziali nella chiesa, che si danno la patente di profeti, che camminano da soli, indipendentemente dagli altri, senza confrontarsi mai con gli altri. Sempre critici su tutto e nei confronti di tutti. Mai contenti, sempre corrucciati. Pungenti. Preoccupati come se il mondo gravasse sulle loro spalle. Dediti a parlare abbondantemente agli altri ma meno ad ascoltare. Non così don Tonino Bello, don Puglisi, madre Teresa di Calcutta, don Benzi, don Emilio de Roia e tanti altri che hanno dato la vita per il Regno di Dio.

Ma dove siamo chiamati ad andare? Andiamo a cambiare il mondo. È una utopia? È una pretesa inutile? È una illusione?  È una impresa impossibile?  È un progetto grande senza dubbio, è il progetto per il quale esiste la comunità cristiana. È il progetto di Dio. Ma dobbiamo ricordare che è il Vangelo vissuto che cambia il mondo, che è lo Spirito di Gesù che dà fecondità, non sono le nostre belle idee, le nostre teorie. Allora abbiamo bisogno di tornare alle fonti, di rompere la crosta con una certa energia e di scavare in profondità per scoprire da dove venga la capacità di camminare insieme per evangelizzare il mondo, anzi per evangelizzare anche noi stessi. Ci aiuta S. Paolo nella lettera agli Efesini, capitolo 4: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto” quella di aver accolto il Vangelo e di vivere secondo l’esempio di Gesù. Perché? Dove sta la motivazione profonda della vita cristiana? Siamo:

“un solo corpo” è il corpo di Cristo che siamo noi, la sua chiesa.

“un solo Spirito” che realizza l’unità nella diversità.

”un solo Signore” che è Gesù e che noi riconosciamo.

“una sola fede” che accoglie e pratica i valori del vangelo.

“un solo battesimo” che mette in comunione tutti i credenti in Gesù.

“Un solo Dio e Padre di tutti…che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.

Lui è il fondamento dell’unità tra tutti i suoi figli. Tutti i nostri progetti devono partire da qui, perché qui è la fonte, qui sta l’energia, qui la certezza della riuscita. Al di là di questo, gli sforzi stressano, i progetti si sgretolano, le delusioni prima o poi appaiono, lo scoraggiamento ci isola nella solitudine.

Carissimi, la prossima domenica, vedremo quali siano gli atteggiamenti che dobbiamo assumere per ”camminare insieme”.

Un cordiale saluto a tutti ed una buona Domenica.                                                                                                      Il parroco don Luciano

 

La Corte Costituzionale con la decisione di oggi ha confermato che l’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente è contraria al principio di “tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili. In attesa del deposito della sentenza, prendiamo atto con favore di tale pronunciamento è un invito ben preciso a non marginalizzare mai l’impegno della società, nel suo complesso, a offrire il sostegno necessario per superare o alleviare la situazione di sofferenza o di disagio. Papa Francesco, durante l’udienza di mercoledì 9 febbraio, ha usato parole chiare:

“La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”. Occorre rivolgere maggiormente l’attenzione verso coloro che, in condizioni di fragilità o vulnerabilità, chiedono di essere trattati con dignità ed accompagnati con rispetto ed amore.

(Dall’Avvenire, 16.02.22)

La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana

 

CHIESA DI SAN GIACOMO APOSTOLO

 

Alle ore 17.00 riprende la recita del S. Rosario ogni giorno, dopo che per una settimana, siamo stati ospitati nella Chiesa di S. Maria al Tempio.

Ringraziamo le Suore Salesiane di via Zanon per la disponibilità e cogliamo l’occasione di chiedere la collaborazione dei volontari per tenere aperte le nostre chiese, luoghi di preghiera.

 

Chiese CP UD centro

 

Collaborazione Pastorale UDINE CENTRO – LITURGIA

B.V. delle Grazie – Duomo – SS. Redentore – S. Giorgio – S. Quirino

 

Le nostre cinque comunità desiderano coltivare l’amore per la Parola di Dio oltre la Domenica dedicata e vi invitano allo studio, alla meditazione e alla preghiera del Vangelo di Luca che stiamo ascoltando ogni domenica.

Gli incontri avranno luogo, nel rispetto delle norme di sicurezza anticovid – 19 (certificato verde e mascherina), nella parrocchia di:

 

SAN QUIRINO – ingresso da via Cicogna 25 – parcheggio

 

mercoledì 9 febbraio – ore 18.30 

con Luca                                                     (a cura di don Claudio Como)

(il terzo Vangelo: autore – fonti – data e luogo di composizione – caratteristiche letterarie e dottrinali)

mercoledì 16 febbraio – ore 18.30

dentro la Parola                                     (a cura di Alessio Persic)

(lettura di testi – come li hanno letti i Padri – come parlano e che cosa dicono a noi oggi)

  

mercoledì 23 febbraio – ore 18.30

Parola in azione                                        (a cura di don Federico Grosso)

(un modo di leggere il Vangelo: la lectio divina – meditatio, oratio, contemplatio, actio)

 

 

Le prenotazioni sono necessarie entro domenica 6 febbraioUfficio Parrocchiale (h. 10-12)

tel. 0432-505302 / info@cattedraleudine.it

⁎⁎ Invitiamo i partecipanti a portare la Bibbia o i Vangeli.

“…Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 35)

 

BAKHITA

 

Santa_Giuseppina_BakhitaMartedì scorso 8 febbraio abbiamo celebrato la Giornata di preghiera e di riflessione contro la tratta degli schiavi. Una giornata passata sottotono, forse perché ormai ci sono troppe le giornate da ricordare o forse perché non si desidera o si ritiene inutile portare all’attenzione.

Il giornale “Avvenire” è attento più di altri ed ha scritto che, stando alle stime della Nazioni Unite, ci sono oggi 40 milioni di esseri umani in catene ed il business da 32 miliardi di dollari l’anno rappresenta la terza attività illegale più redditizia, dopo il traffico di droga e di armi. Il Papa domenica scorsa al termine dell’Angelus ha denunciato una “profonda ferita, inferta dalla ricerca vergognosa di interessi economici senza alcun rispetto per la persona umana”. Il 72 per cento delle vittime sono donne e bambine. Tante ragazze che non sono libere, sono schiave dei trafficanti. Oggi succede anche nelle nostre città. In verità ci sono 3.000 religiose che accompagnano milioni di donne verso la libertà. Ma ci sono anche situazioni di lavoratori sfruttati che vivono in ambienti malsani e privi dei confort più elementari. L’economia che uccide potrà essere trasformata in economia samaritana, economia della cura?

La ex baby- schiava sudanese

Proprio l’8 febbraio abbiamo celebrato la memoria di Santa Giuseppina Bakhita che in questa piccola scultura di Timothy Schmalz è ritratta nello sforzo di aprire il portellone attraverso cui escono donne e uomini per correre verso la libertà.

Nacque intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale (regione del Darfur). All’età di sette anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa “fortunata”. Venduta più volte dai mercanti di schiavi sui mercati di El Obeid e di Khartum, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. In particolare, subì un tatuaggio cruento mentre era a servizio di un generale turco: le furono disegnati più di un centinaio di segni sul petto, sul ventre e sul braccio destro, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale per creare delle cicatrici permanenti.

Nella capitale sudanese venne infine comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani, con il proposito di renderle la libertà: questo diplomatico già in precedenza aveva comprato bambini schiavi per restituirli alle loro famiglie. Nel caso di Bakhita ciò non fu possibile per il vuoto di memoria della bambina riguardo ai nomi del proprio villaggio e dei propri familiari. Nella casa del console Bakhita visse serenamente per due anni lavorando con gli altri domestici senza essere più considerata una schiava.

Quando nel 1884 il diplomatico italiano dovette fuggire dalla capitale in seguito alla Guerra Mahdista, Bakhita lo implorò di non abbandonarla. Insieme ad un amico del signor Legnani, Augusto Michieli, raggiunsero prima il porto di Suakin sul Mar Rosso, dove appresero della caduta di Khartum, e dopo un mese si imbarcarono alla volta di Genova.

In Italia Augusto Michieli con la moglie presero con loro Bakhita come bambinaia della figlia Mimmina e la portarono nella loro casa a Zianigo (frazione di Mirano). Dopo tre anni i coniugi Michieli si trasferirono in Africa a Suakin dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita in affidamento presso l’Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena e cominciò a ricevere così un’istruzione religiosa. Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana e con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. Il 7 dicembre 1893 entrò nel noviziato dello stesso istituto e l’8 dicembre 1896 pronunciò i primi voti religiosi. Nel 1902 fu trasferita in un convento dell’ordine a Schio dove trascorse il resto della propria vita. Qui lavorò come cuoca, sagrestana, aiuto infermiera nel corso della Prima guerra mondiale quando parte del convento venne adibito ad ospedale militare. A partire dal 1922 le venne assegnato l’incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne così ribattezzata dagli abitanti di Schio: “Madre Moréta”. Dal 1939 cominciò ad avere seri problemi di salute e non si allontanò più da Schio. Morì l’8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia.

Bakhita è santa

Il 1º dicembre 1978 papa Giovanni Paolo II firmò il decreto dell’eroicità delle virtù della serva di Dio Giuseppina Bakhita. Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio 1992 e canonizzata il 1º ottobre 2000.

Bakhita si esprimeva in veneto e alcune sue frasi ed espressioni sono diventate famose: Parlava di Dio come el Parón: «queło che vołe el Parón», «quanto bon che xé el Parón», «come se fa a no vołerghe ben al Parón. Di sé stessa: «Mi son on povero gnoco, come i gha fato a tegnerme in convento?» Quando la gente la compiangeva per la sua storia: «Poareta mi? Mi no son poareta perché son del Parón e neła so casa: quei che non xé del Parón i xé poareti». Soffrì parecchio nel subire la curiosità della gente e l’acquisita notorietà: «Tuti i vołe védarme: son propio na bestia rara!»

Santa Giuseppina Bakhita viene ricordata da papa Benedetto XVI° nell’Enciclica Spe salvi nel terzo punto. Il Pontefice la ricorda come esempio di speranza cristiana. «Mediante la conoscenza della speranza lei era “redenta”, non si sentiva più schiava ma libera figlia di Dio.»

Un cordiale saluto a tutti e l’augurio di una buona domenica.                                                                                  Il parroco don Luciano

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XXX GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

11 febbraio 2022

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36).
Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità.

 

Cari fratelli e sorelle, trent’anni fa san Giovanni Paolo II istituì la Giornata Mondiale del Malato per sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie cattoliche e la società civile all’attenzione verso i malati e verso quanti se ne prendono cura. 

  1. Misericordiosi come il Padre

Il tema scelto per questa trentesima Giornata, «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36), ci fa anzitutto volgere lo sguardo a Dio “ricco di misericordia” (…) possiamo dire, con stupore e riconoscenza, che la misericordia di Dio ha in sé sia la dimensione della paternità sia quella della maternità, perché Egli si prende cura di noi con la forza di un padre e con la tenerezza di una madre, sempre desideroso di donarci nuova vita nello Spirito Santo.

  1. Gesù, misericordia del Padre

Testimone sommo dell’amore misericordioso del Padre verso i malati è il suo Figlio unigenito.

Quante volte i Vangeli ci narrano gli incontri di Gesù con persone affette da diverse malattie! Egli «percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23). Possiamo chiederci: perché questa attenzione particolare di Gesù verso i malati, al punto che essa diventa anche l’opera principale nella missione degli apostoli, mandati dal Maestro ad annunciare il Vangelo e curare gli infermi? (cfr Lc 9,2).

Un pensatore del XX secolo ci suggerisce una motivazione: «Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro». Quando una persona sperimenta nella propria carne fragilità e sofferenza a causa della malattia, anche il suo cuore si appesantisce, la paura cresce, gli interrogativi si moltiplicano, la domanda di senso per tutto quello che succede si fa più urgente. Come non ricordare, a questo proposito, i numerosi ammalati che, durante questo tempo di pandemia, hanno vissuto nella solitudine di un reparto di terapia intensiva l’ultimo tratto della loro esistenza, certamente curati da generosi operatori sanitari, ma lontani dagli affetti più cari e dalle persone più importanti della loro vita terrena? Ecco, allora, l’importanza di avere accanto dei testimoni della carità di Dio che, sull’esempio di Gesù, misericordia del Padre, versino sulle ferite dei malati l’olio della consolazione e il vino della speranza.

  1. Toccare la carne sofferente di Cristo

L’invito di Gesù a essere misericordiosi come il Padre acquista un significato particolare per gli operatori sanitari. Penso ai medici, agli infermieri, ai tecnici di laboratorio, agli addetti all’assistenza e alla cura dei malati, come pure ai numerosi volontari che donano tempo prezioso a chi soffre. Cari operatori sanitari, il vostro servizio accanto ai malati, svolto con amore e competenza, trascende i limiti della professione per diventare una missione. Le vostre mani che toccano la carne sofferente di Cristo possono essere segno delle mani misericordiose del Padre. Siate consapevoli della grande dignità della vostra professione, come pure della responsabilità che essa comporta. Benediciamo il Signore per i progressi che la scienza medica ha compiuto soprattutto in questi ultimi tempi; le nuove tecnologie hanno permesso di approntare percorsi terapeutici che sono di grande beneficio per i malati; la ricerca continua a dare il suo prezioso contributo per sconfiggere patologie antiche e nuove; la medicina riabilitativa ha sviluppato notevolmente le sue conoscenze e le sue competenze. Tutto questo, però, non deve mai far dimenticare la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e le sue fragilità. Il malato è sempre più importante della sua malattia, e per questo ogni approccio terapeutico non può prescindere dall’ascolto del paziente, della sua storia, delle sue ansie, delle sue paure. Anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua patologia. Per questo auspico che i percorsi formativi degli operatori della salute siano capaci di abilitare all’ascolto e alla dimensione relazionale.

  1. I luoghi di cura, case di misericordia

La Giornata Mondiale del Malato è occasione propizia anche per porre la nostra attenzione sui luoghi di cura. La misericordia verso i malati, nel corso dei secoli, ha portato la comunità cristiana ad aprire innumerevoli “locande del buon samaritano”, nelle quali potessero essere accolti e curati malati di ogni genere, soprattutto coloro che non trovavano risposta alla loro domanda di salute o per indigenza o per l’esclusione sociale o per le difficoltà di cura di alcune patologie. A farne le spese, in queste situazioni, sono soprattutto i bambini, gli anziani e le persone più fragili. Misericordiosi come il Padre, tanti missionari hanno accompagnato l’annuncio del Vangelo con la costruzione di ospedali, dispensari e luoghi di cura. Sono opere preziose mediante le quali la carità cristiana ha preso forma e l’amore di Cristo, testimoniato dai suoi discepoli, è diventato più credibile (……) In un tempo nel quale è diffusa la cultura dello scarto e la vita non è sempre riconosciuta degna di essere accolta e vissuta, queste strutture, come case della misericordia, possono essere esemplari nel custodire e curare ogni esistenza, anche la più fragile, dal suo inizio fino al suo termine naturale.

  1. La misericordia pastorale: presenza e prossimità

Nel Cammino di questi trent’anni, anche la pastorale della salute ha

visto sempre più riconosciuto il suo indispensabile servizio. Se la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri – e i malati sono poveri di salute – è la mancanza di attenzione spirituale, non possiamo tralasciare di offrire loro la vicinanza di Dio, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. A questo proposito, vorrei ricordare che la vicinanza agli infermi e la loro cura pastorale non è compito solo di alcuni ministri specificamente dedicati; visitare gli infermi è un invito rivolto da Cristo a tutti i suoi discepoli. Quanti malati e quante persone anziane vivono a casa e aspettano una visita! Il ministero della consolazione è compito di ogni battezzato, memore della parola di Gesù: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36).

Cari fratelli e sorelle, all’intercessione di Maria, salute degli infermi, affido tutti i malati e le loro famiglie. Uniti a Cristo, che porta su di sé il dolore del mondo, possano trovare senso, consolazione e fiducia. Prego per tutti gli operatori sanitari affinché, ricchi di misericordia, offrano ai pazienti, insieme alle cure adeguate, la loro vicinanza fraterna.

Su tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.                                                                                                             Francesco

Roma, San Giovanni in Laterano, 10 dicembre 2021, Memoria della B.V. Maria di Loreto