2a Domenica del Tempo Ordinario
S. Agostino: alcuni cenni biografici
Sant’Agostino, conosciuto anche come Agostino di Ippona, è uno dei Padri della Chiesa più significativi e un punto di riferimento per la teologia cristiana. Nato nel 354 d.C. a Tagaste, nell’attuale Algeria, la sua vita fu inizialmente lontana dalla fede cristiana. Prima della sua conversione, Agostino ebbe una giovinezza turbolenta e si dedicò allo studio della retorica, diventando un abile oratore. La sua ricerca della verità lo portò ad aderire alla setta del manicheismo, ma rimase deluso dalle risposte che questa offriva ai suoi interrogativi esistenziali. Fu la lettura delle epistole di San Paolo ad avviare il suo percorso di conversione, che culminò nel 386 d.C. quando, secondo il racconto delle sue ‘Confessioni’, una voce infantile lo invitò a leggere un passo del Nuovo Testamento, portandolo a una profonda trasformazione interiore. Battezzato da Sant’Ambrogio a Milano, in seguito divenne vescovo di Ippona e si dedicò alla lotta contro le eresie, in particolare il donatismo e il pelagianesimo. Autore di opere fondamentali come ‘Le Confessioni’ e ‘La Città di Dio’, Agostino influenzò notevolmente il pensiero occidentale, soprattutto per la sua riflessione sul concetto di grazia e peccato originale. Morì nel 430 d.C., lasciando un’eredità teologica che perdura fino ai giorni nostri.
“DA CUORE A CUORE”
“La speranza non delude”
“Noi siamo salvati nella speranza; ma una speranza che si vede non è più speranza. Sperare, infatti, è credere ciò che non si vede, e pazientare finché non si vedrà. De Civitate Dei, XIX, 4 La speranza è uno dei doni più straordinari che Dio ha elargito all’uomo. Per Sant’Agostino è la forza che ci permette di guardare oltre le difficoltà presenti, fissando il nostro sguardo su ciò non è ancora visibile, ma che è già stato promesso. L’opera De Civitate Dei, da cui è tratta la citazione, è una monumentale riflessione che il vescovo d’Ippona fa sulla storia, la fede e il destino umano. Scritta in un periodo di profonda crisi per l’Impero Romano, dopo il sacco di Roma del 410, esplora la tensione tra la “città terrena”, simbolo dell’umanità dominata dall’egoismo, e la “città di Dio”, il regno eterno di pace e giustizia. Nonostante siano passati sedici secoli, e le invasioni barbariche siano lontane nella storia, rimane un’opera di sorprendente attualità e regala ricchi spunti anche per le incertezze del nostro tempo. La speranza, all’interno dell’opera, è presentata come la forza che consente ai credenti di vivere in questo mondo travagliato senza perdere di vista il loro destino ultimo. Agostino scrive: “La nostra patria è lassù, ma mentre siamo pellegrini qui, viviamo nella speranza di raggiungerla” (De Civitate Dei, XIX, 17).
Una speranza che non delude
La speranza, insieme alla fede e alla carità, è una virtù teologale, cioè ha Dio come origine, oggetto e fine. Sant’Agostino la caratterizza commentando le parole di San Paolo ai Romani (“Nella speranza siamo stati salvati”, Rm 8,24), scrive: “Sperare è credere ciò che non si vede e pazientare finché non si vedrà”. Osserva che questa virtù non riguarda ciò che possediamo già, ma ciò che aspettiamo con fiducia. Questa anticipazione ben si distingue dalle illusioni e dai semplici ottimismi; la speranza cristiana si fonda sulla promessa di Dio, che è fedele (“Teniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso” (Eb 10,23). Questa fedeltà è il cuore della riflessione di Agostino; afferma che la speranza non ci abbandona mai, purché rimaniamo saldi in Dio. E aggiunge: “La speranza ti prepara alla gioia futura, la speranza del bene futuro non ti delude, perché Dio non inganna mai” (Enarrationes in Psalmos, Salmo 62).
La pazienza, il segno di resurrezione
In De Patientia, fa appunto una precisazione: “Non c’è speranza senza pazienza, poiché attendiamo con perseveranza ciò che ancora non vediamo”. Agostino ci ricorda che la pazienza è strettamente legata alla speranza, cioè il saper attendere, accogliere ogni cosa a suo tempo: richiede, inevitabilmente, una grande forza d’animo. Questa visione trova un’eco straordinario negli scritti San Tommaso d’Aquino, che descrive la speranza come “una virtù che tende al bene futuro, arduo ma possibile da conseguire” (Summa Theologiae, II-II, q. 17). È la pazienza che ci sostiene nell’attesa di questo bene. La speranza cristiana è soprattutto escatologica, cioè guarda alla vita eterna, alla resurrezione dei morti e alla comunione eterna con Dio. Sant’Agostino, nel suo commento al Vangelo di Giovanni, scrive: “La nostra speranza è nella resurrezione. È per questa speranza che viviamo, ed è per questa speranza che ci sacrifichiamo”. Non si parla solo di un futuro temporale, ma della radice nella promessa di Cristo: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25).
Testimoni della speranza
Sant’Agostino ci invita a esplorare le diverse dimensioni sella speranza: sostegno alla nostra vita travagliata, guida alla promessa di Dio, segno di resurrezione. E ci chiama a esserne testimoni in un mondo che spesso è privo di orizzonti. Come dice Papa Francesco: “Quanti sono i volti della speranza! La speranza è audace, sa guardare oltre le comodità personali, le piccole sicurezze e le compensazioni che restringono l’orizzonte per aprirsi ai grandi ideali che rendono la vita più bella e più dignitosa” (Evangelii Gaudium, 275). Prendiamo quindi a cuore le parole di Agostino e viviamo con una speranza viva, che ci sospinge verso la gioia eterna. Perché, ci ricorda, chi ha speranza cammina senza stancarsi e canta anche delle difficoltà.
Francesco Palazzolo