Venerdì 11 luglio ore 20.30:

Canto dei Primi Vesperi presieduto dall’Arcivescovo

con la partecipazione delle Croci delle Pievi storiche del Friuli.

I fedeli provengono da tutte le parrocchie della Diocesi.

Sabato 12 luglio:

ore 7.30 S. Messa

ore 10.30 Solenne Pontificale dell’Arcivescovo

con la partecipazione del Capitolo Metropolitano e dei sacerdoti, delle Autorità civili e militari, del Comune di Udine e della Regione Friuli V.G., delle Associazioni, dei fedeli della città.

Benedizione dal sagrato della Cattedrale e saluto del Sig. Sindaco alla cittadinanza.

ore 19.00 S. Messa

ore 21.00 in Cattedrale

Concerto strumentale e vocale da parte della Cappella musicale, del coro dei Pueri e dei Juvenes Cantores. Organista M°Beppino Delle Vedove. Direttori M° Anna Maria Dell’Oste e M° Davide Basaldella.

Conferimento del Premio Santi Ermacora e Fortunato “Cuore Solidale 2025”

Il sagrestano Fabio Viola ha rassegnato le dimissioni per motivi di salute.

Fin d’ora lo ringraziamo per il solerte servizio prestato per tanti anni nella nostra parrocchia, in attesa di potergli manifestare pubblicamente la nostra gratitudine a momento opportuno, nel prossimo autunno.

“Da cuore a cuore”

«Finisce qui il nostro canto, ma non finisca mai la lode di Dio. Se non puoi lodarlo con la lingua, lodalo con la vita» (Sant’Agostino, nella conclusione del commento ai salmi)

Al termine della Messa, le ultime parole del sacerdote invitano a glorificare il Signore con la nostra vita. Queste parole ci invitano a ritornare alle attività della giornata, ma rinnovandone la vocazione: ciò che si è ascoltato, cantato, ricevuto, è chiamato a manifestarsi nella nostra vita. Anche qui, con questo foglietto, siamo giunti al termine delle pubblicazioni settimanali. Negli ultimi mesi abbiamo compiuto, per così dire, una piccola gita fuori porta guidati dal pensiero di Agostino; ogni tappa iniziava su una sua frase e noi, interrogandoci, la seguivamo fin dove ci portava. Si è visto come questo grande Santo parla a noi, di noi, del nostro tempo anche a sedici secoli di distanza. Questa escursione ci ha portati in molte direzioni, e molto ci sarebbe ancora da esplorare. Tuttavia, adesso siamo a luglio, camminare con questo caldo diventa faticoso! E allora è meglio fermarsi con l’estate, usando invece questo tempo di maggiore libertà per tradurre all’atto pratico le nostre migliori intenzioni.

“Lodatelo con la vita”, passare all’azione

Ogni azione – tanto più quella cristiana – non nasce semplicemente da un calcolo, ma da un intreccio di elementi meno prevedibili: un desiderio che affiora, un’intuizione che irrompe, un’impressione che smuove. Anche le scelte più ponderate, in fondo, iniziano da qualcosa che le precede, da un momento di ispirazione, da una ferita o da un fascino improvviso. C’è sempre, all’origine dell’agire, una scintilla che non si programma: un punto in cui la volontà, il sentimento e la realtà si toccano. Mi fa pensare a una distinzione ben nota in economia comportamentale: quella tra acquisti impulsivi e acquisti meditati. I primi sono guidati da una reazione emotiva immediata; i secondi da una riflessione più lunga e razionale. A mio avviso però, se si osserva più da vicino, anche le decisioni apparentemente più razionali scaturiscono sempre da un momento singolare: uno stimolo, un incontro, una parola che termina bruscamente il tempo della considerazione e innesca la scelta. E questo è dovuto, credo, al nostro istinto evolutivo, secondo il quale siamo molto più capaci di reagire agli avvenimenti improvvisi piuttosto che ponderare con calma e fino in fondo una decisione. Perciò l’azione, come ogni acquisto umano, non è mai del tutto lineare, ma comporta sempre un margine di rischio, un elemento di salto. Sant’Agostino lo sapeva bene. Nel celebre episodio del “tolle lege” narrato nelle Confessiones (VIII,12), la sua conversione non è frutto di un piano ben strutturato, ma dell’impatto improvviso: “Prendi e leggi”. Un impulso, un segno, un frammento minimo della realtà che provoca in lui una svolta definitiva. Agostino rifletteva da tempo, ma la decisione è figlia di un attimo. Anche per noi, il treno del Signore non si pianifica. Passa, e quando passa bisogna esser pronti, chi fa troppi calcoli lo perde. In questo senso, la vigilanza è più cristiana della programmazione. È più saggio chi allena l’occhio a riconoscere l’occasione del bene, piuttosto che chi stila un piano perfetto, ammesso che quest’ultimo possa mai esistere. Come ammonisce il Vangelo: «State pronti, perché non sapete né il giorno né l’ora» (Mt 25,13). Ecco allora il punto: l’occasione del bene non è uno spazio. È un istante, va colto senza necessariamente iniziare con un obiettivo preciso: non sempre ne abbiamo la forza, e talvolta le condizioni esterne lo impediscono. Ma possiamo – e dobbiamo – rimanere predisposti, interiormente svegli, non addormentati sulle nostre paure o abitudini.  

Newton e Kierkegaard, ‘uomini d’azione’  

Persino la fisica ha delle buone capacità filosofiche per quanto riguarda l’azione. Famosamente, il secondo principio della dinamica di Newton recita: “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Questa legge fisica, descrivendo l’equilibrio tra forze, esplicita formalmente il fatto che nessun corpo è isolato, ogni evento ha avuto una causa, e avrà poi una ripercussione. Oltre ad essere una regola cosmica, è facile vedere come questa verità valga nei rapporti fra persone, dove i gesti e le parole dialogano avanti e indietro e ad un buon gesto ne succede un’ altro. Come scrive Agostino nel De Civitate Dei (X,6): «Non ci è dato vivere per noi stessi: ogni anima è fatta per essere riflesso e causa, specchio e fonte». Ne “La malattia mortale”, Kierkegaard ha descritto con una chiarezza impietosa l’angoscia dell’uomo moderno di fronte alla decisione. L’angoscia, dice, è la “vertigine della libertà”: sapere di poter scegliere, ma non sapere che cosa scegliere. E tuttavia, la scelta non può essere evitata. L’indecisione è già una decisione, spesso la più dannosa. Ancor prima, in “Enten – Eller” (“Aut-Aut”), scrive: «Il momento della scelta è il momento in cui l’individuo diventa se stesso». E ciò non vale solo per le grandi scelte esistenziali, ma per quelle quotidiane: accogliere o respingere, parlare o tacere, servire o ignorare. In ogni gesto, si gioca la verità della nostra fede. Ma a differenza di Kierkegaard, che spesso resta nell’angoscia della scelta, il cristiano ha un riferimento ulteriore: la volontà di Dio. Non siamo lasciati a noi stessi. Come dice il Salmo: «Affida al Signore la tua via, confida in lui: compirà la sua opera» (Sal 37,5). Affrontare la vita di famiglia, la parrocchia, la città, lo Stato, il mondo con questo spirito significa che avremo sempre la possibilità di comportarci correttamente e trovare la dimensione più adatta per agire.

In conclusione   

Scrivere questi testi è stato un esercizio molto gratificante. Matteo per “Il nostro Giubileo” ed io per i commenti a S. Agostino, ringraziamo insieme don Luciano per averci invitati a scrivere sul foglietto parrocchiale. Grazie alla sua fiducia abbiamo potuto rispolverare vecchie letture e farne di nuove per poter preparare al meglio questi inserti. Un ringraziamento sincero a Bertossi Ameris e a Giulio Macola, che si sono adoperati ogni settimana per l’impaginazione e la stampa di questo foglietto, siamo grati per la loro pazienza. Infine, un ringraziamento ai numerosi Lettore, nella speranza che, scorrendo lungo queste righe, sia capitato loro di incontrare qualcosa di interessante.

Francesco Palazzolo

“Da cuore a cuore”

“Non tutti voi siete colonne, ma tutti siete pietre vive” – Sermo 336, 2

Possiamo immaginare che il rapporto di sant’Agostino con i suoi fedeli della diocesi di Ippona sia stato intenso e profondo, benché la storiografia ci dica poco a riguardo. Intuiamo queste premure dai numerosi consigli, appelli ed esortazioni che rivolge al popolo nei suoi testi. La sua attesa nei confronti dei laici non fu mai quella di spettatori passivi, semplici destinatari di insegnamenti, ma di membri attivi, pietre vive – per usare le sue stesse parole – chiamati a costituire e a sorreggere l’edificio della Chiesa, sia spirituale sia concreto nel mondo. Agostino aveva la tendenza ad essere molto rigoroso nel definire gerarchie, e il suo tempo esigeva questa chiarezza. Abbiamo visto quali posti e ruoli assegnava al ministero ordinato (quello dei vescovi e dei sacerdoti) che, come dice, compone le “colonne” della Chiesa. Resta da capire dove ci collochiamo noi, i laici, cristiani battezzati che partecipano alla vita della comunità ecclesiale in modo vivo, concreto e sostanziale. È importante, dunque, soffermarsi sulla figura del laico in Agostino e sulla sua partecipazione alla vita della Chiesa, soprattutto attraverso i sacramenti, ma anche mediante la testimonianza quotidiana, il servizio e la preghiera. La vita cristiana non si riduce infatti a una frequentazione passiva della liturgia e all’ascolto della Parola; è necessario che sia mattone, “pietra viva” che a seconda della sua forma è chiamata a collocarsi in un determinato posto, nel costituire l’edificio della Chiesa. Siamo quindi pietre, non elementi decorativi superficiali o accessori: siamo parte della muratura, partecipiamo alla solidità e alla bellezza monumentale.

Il laicato nel tempo

In una società cristiana, come quella del IV secolo, dove i confini tra sacro e profano si intrecciavano spesso con sfumature complesse, Agostino propone una visione radicale della santità quotidiana, quella santità che deve abitare ogni casa, ogni famiglia, ogni ambiente di lavoro o di incontro sociale. I laici non sono relegati a un ruolo marginale, ma sono chiamati a essere testimoni costanti di Cristo nel mondo: “Quando siete nelle vostre case, vi esorto a essere testimoni di Cristo verso i vostri familiari” (Sermo 94, 2). L’invito ad essere testimoni di Cristo nei propri ambienti, si traduce in una vocazione alta e impegnativa che si somma alla pratica religiosa e si fa incarnazione di una spiritualità viva e operosa. Nel corso dei secoli, questa idea ha trovato più conferme e si è sviluppata: il Concilio Vaticano II, riprendendo la tradizione patristica, ha rilanciato la vocazione e la missione del laicato, sottolineando la chiamata a collaborare con il ministero ordinato per la costruzione del Regno. Ma già Agostino aveva colto la natura missionaria e sacramentale della partecipazione dei fedeli laici, distinguendola dalla semplice appartenenza formale.

La vocazione dei laici

San Paolo, ricordato con frequenza da Agostino, definisce i credenti “templi dello Spirito Santo” (1 Cor 6,19), affermando così la sacralità della loro esistenza quotidiana, non confinata al sacro edificio, ma radicata nell’umano. Non dimentichiamo l’esempio di quella donna che ungeva i piedi di Gesù con unguento profumato, simbolo della partecipazione attiva nella lode e nel sacrificio; o del giovane ricco, chiamato esplicitamente a donare tutto e seguire Cristo. Come affermava il teologo Romano Guardini, “La Chiesa è prima di tutto la comunità dei fedeli, e questa comunità vive e si esprime nella corresponsabilità di tutti i suoi membri.” E ancora, come sottolineava il cardinale Joseph Ratzinger, “Il laicato ha una missione propria, non derivata ma primaria, che è quella di portare il Vangelo in tutti gli ambiti della vita umana.” I laici sono chiamati al servizio nella carità, nel sostegno ai poveri e ai malati, nell’impegno per la giustizia e la pace, nella cura della liturgia e nella testimonianza pubblica della fede. Anche la preghiera e la catechesi, sebbene spesso meno visibili, sono campi in cui la loro presenza è indispensabile. Agostino, nelle sue lettere e nei suoi sermoni, esorta continuamente i fedeli a non ritirarsi in un anonimato passivo, la Chiesa è un organismo vivente, e come tale ha bisogno non solo di colonne forti, ma di ogni pietra viva che contribuisce alla sua crescita, alla sua bellezza, alla sua santità.

Francesco Palazzolo

(a cura di Matteo Carota)

Il tempo e il dominio dell’uomo su di esso

L’anno sabbatico segue la stessa logica dello shabbat, un’istituzione dell’Antico Testamento essenziale per cogliere l’essenza dell’umanesimo biblico. Porre un sigillo su un giorno della settimana significa aver sottratto il tempo al dominio assoluto degli uomini. Nessuno possiede il tempo. Nella settimana ebraica lo shabbat è il settimo giorno, festivo e consacrato a Dio, nel corso del quale si interrompe ogni lavoro e attività che comportino cosciente trasformazione dell’ordine esistente. Durante un anno giubilare, dovevano essere compiuti con maggiore radicalità i gesti di fraternità umana e cosmica celebrati durante l’anno sabbatico ogni sette anni, ovvero la cessazione dei lavori nei campi, la liberazione degli schiavi e la remissione dei debiti. Infatti, il giubileo ebraico cadeva ogni sette anni sabbatici.

Tornando alla settimana, nel mondo cristiano il sabato è diventato il giorno che precede la festa ed è  ricco di gioia perché si apre alla domenica, caratterizzata non solo dal riposo, ma dall’inizio della settimana che ci ricorda la Resurrezione di Cristo. Non siamo padroni del tempo, che scorre come un fiume: forse siamo padroni o meglio gestori accorti o intelligenti amministratori o semplici consumatori del momento che viviamo, ma il tempo è di Dio. Non c’è virtù umana che possa permetterci di esercitare qualche potere sul tempo, se non quella che il Signore ci regala per vivere il tempo: la speranza. La sapienza ci porta a pregare e a discernere ogni momento come possibilità di vivere con speranza nel tempo.

Il lavoro alla luce della fede

Il lavoro è una parte integrante della vita, perché vi investiamo larga parte del nostro tempo, delle nostre energie e dei nostri pensieri. Per alcuni lavorare è un piacere, per altri è un peso, per altri ancora è una semplice necessità. Alla luce della fede, il lavoro non è soltanto uno strumento d’azione; viene sviluppata la persona del singolo, il quale contribuisce al progresso della società nel suo complesso. Quindi cosa accade quando vediamo il lavoro con lo sguardo della fede, e non con quello della produttività e del dovere? Questa riflessione scaturisce da una domanda molto profonda nella sua semplicità: che significato ha il mio lavoro agli occhi di Dio? La fatica, le frustrazioni e gli incombenti dietro l’angolo, insieme con i rapporti che intrecciamo sul lavoro, possono diventare un punto d’incontro con il Signore? Alla luce della fede, il lavoro è uno spazio in cui coltivare responsabilità, equilibrio, disponibilità, ma anche pazienza, umiltà e speranza. Coltivare la speranza non implica perdere il contatto con la realtà, né tantomeno nutrire un susseguirsi di illusioni: implica essere certi che le giornate più faticose, se vissute con fede, non sono mai sprecate.

Fede e fatturato: una convivenza possibile?

Nel mondo contemporaneo, dove l’efficienza economica e il profitto sembrano dominare ogni aspetto della vita, la domanda se fede e fatturato possano convivere è quanto mai attuale. A prima vista, sembrano appartenere a due mondi inconciliabili: la fede richiama valori come gratuità, giustizia, solidarietà; il fatturato evoca numeri, competizione, profitto. Eppure, una convivenza non solo è possibile, ma può diventare necessaria e virtuosa. L’imprenditore credente non è chiamato a rinunciare al successo economico, ma a vivere l’attività economica come una vocazione, secondo i principi del Vangelo. Il lavoro e l’impresa diventano luoghi in cui si esercita la responsabilità verso i dipendenti, i clienti, l’ambiente. La dottrina sociale della Chiesa parla di un’economia “al servizio dell’uomo”, dove il profitto non è fine a sé stesso ma mezzo per creare valore umano e sociale, che quindi dà agli uomini la speranza di migliorare la propria vita. In definitiva, fede e fatturato possono camminare insieme quando l’etica guida le scelte economiche, e quando l’impresa diventa spazio di fraternità e non solo di produttività. Non è facile, ma è possibile. Ed è ciò di cui oggi la società ha più bisogno.                                                             

Comunicare con fede nel tempo dell’incertezza

Siamo regolarmente trascinati da un flusso continuo di notizie: titoli, video, commenti, analisi. La rapida diffusione delle notizie dà all’informazione un terreno molto fragile in cui la verità è oggetto di contesa, così la fiducia nell’informazione viene meno e a lungo andare la paura viene abitualmente trasmessa non solo nel modo in cui ci informiamo, ma anche in quello in cui comunichiamo, fomentando allarmismo e diffidenza. Comunicare con fede significa scegliere di credere che la parola può costruire ponti, generando fiducia e curando ferite, anche quando il mondo sembra crollarci addosso. Non basta trasmettere notizie, è necessario avere il desiderio di raccontare la verità, dando luce a ciò che viene nascosto.

Comunicare con fede implica dare importanza alla qualità delle informazioni e non limitarsi a scegliere se dire qualcosa o non farlo. Implica rifiutarsi di strumentalizzare la paura e scegliere invece informazioni che costruiscono, educano e promuovono la fiducia e la solidarietà. Anche nel caos mediatico, la fede nella comunicazione, si traduce nella volontà di ascoltare e non solo di parlare.

Comunicare con fede nel tempo dell’incertezza è una sfida continua, oltre a essere una missione fondamentale. Farlo non vuol dire avere tutte le risposte, ma scegliere ogni giorno di fare della comunicazione un atto che costruisce, che cura, che dà spazio alla speranza e alla verità. In un mondo pieno d’incertezze, la fede nella parola diventa un modo per continuare a credere nel suo potere di cambiare il mondo.

Famiglia e fede: un’alleanza sacra

La famiglia è il luogo in cui la vita cresce, nasce e si proietta verso il futuro. Compito della famiglia è la tutela di tradizioni, valori e ricordi trasmessi dai suoi anziani; questo gesto indica che Dio continua a sperare nell’umanità, soprattutto quando i coniugi aspettano la nascita di un figlio. Generare e accogliere la vita è uno degli atti più profondi di speranza. Mettere al mondo un figlio, educarlo, prendersene cura, significa credere nel futuro, nonostante le incertezze del presente.

Pregare insieme, superare le difficoltà quotidiane e perdonarsi sono solo alcuni segni che Dio ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza: in un presente in cui le relazioni sono sempre più fragili, le famiglie che rimangono unite sono una testimonianza viva di speranza che l’amore fedele è ancora possibile. Ogni famiglia che vive secondo il Vangelo anticipa il Regno di Dio nella storia. È una realtà umana che guarda al cielo, rendendo visibile la speranza eterna nella concretezza delle relazioni quotidiane.

Anche in tempi di crisi e trasformazioni sociali, la famiglia rimane un pilastro fondamentale della società, capace di generare non solo vita biologica, ma vita spirituale e morale. Custodirla e sostenerla significa costruire le basi di una società più giusta, fraterna e aperta al futuro.

Servire è governare con il cuore

Cosa c’entra il Giubileo con la politica? Ogni autorità è, in fondo, un servizio. San Paolo scrive ai Romani che “chi governa lo faccia con diligenza” (Rm 12,8), e Gesù stesso lava i piedi ai suoi discepoli per mostrare che governare è servire Gesù ci ha mostrato che il potere vero è proprio quello che si fa servizio e lo ha fatto chinandosi a lavare i piedi dei suoi Apostoli. E San Paolo, nella Lettera ai Romani, ci ricorda: “Chi governa, lo faccia con impegno” (Rm 12,8). Ma aggiungiamo oggi: con speranza. Con la speranza fondata sulla fiducia che Dio opera anche nelle scelte pubbliche, quando sono animate dal desiderio sincero di compiere il bene. Anche governare può essere un atto di speranza. Speranza che il bene comune prevalga sul tornaconto personale, tramite il proprio esempio. Speranza che si possa ancora amministrare con giustizia, trasparenza, passione. Speranza che chi amministra il nostro paese e i nostri enti locali lo faccia accompagnato dalla preghiera di chi crede. In un tempo in cui la fiducia nelle istituzioni sembra affievolirsi, questo Giubileo ci ricorda che governare può essere ancora una vocazione, se vissuta con umiltà e spirito di servizio. Per tutti noi questa è un’occasione per pregare per chi ci amministra, troppo spesso oggetto solo di inutili critiche e polemiche.

Un Giubileo per chi ci guida nella fede

In occasione del Giubileo dei sacerdoti, papa Leone XIV li ha esortati a radicare la loro vita e il loro ministero «in un amore sempre più forte, personale e autentico per Gesù», rimarcando l’importanza di restare immersi nella realtà della vita delle persone, invito rivolto a più riprese anche dal compianto papa Francesco. Il Giubileo li spinge a sentirsi guardati da Dio e salvati dalla Sua misericordia, per poi imparare a guardare con lo stesso sguardo paterno. Questo sguardo sacerdotale non giudica ma accoglie, accompagna e perdona.

In questo Giubileo, siamo chiamati a pregare per i nostri sacerdoti, affinché possano rinvigorire il loro amore personale per Gesù; esercitare uno stile pastorale fatto di misericordia e concretezza, accogliere con cuore paterno ogni fratello e sorella, anche i più smarriti, nonché vivere e testimoniare insieme l’unità della Chiesa. Anche noi fedeli siamo chiamati a sostenere il loro ministero con gratitudine, collaborazione, preghiera e affetto. Ricordiamo ogni giorno che, con tutte le sfide e le responsabilità che comporta, il sacerdozio è un dono che sostiene la vita spirituale della comunità cristiana. Che questo tempo giubilare faccia dono anche a noi del cuore di Cristo, per camminare insieme con i nostri sacerdoti come pellegrini di speranza.

ABBIAMO VISSUTO INSIEME IL GIUBILEO

Carissimi,

giovedì 13 marzo alle 18.30 insieme ai ragazzi ed i loro genitori e nonni abbiamo vissuto il Giubileo presso il santuario della B.V. delle Grazie. Nonostante la pioggia eravamo in tanti anche se non tutti. È stata un’ora di intensità spirituale, preparata dai catechisti della Collaborazione pastorale Udine-centro. Credo che tutti abbiamo colto il senso della speranza cristiana che, come un faro, proietta la luce sul nostro cammino, lo illumina e fa scoprire tanti umili segni della presenza di Gesù in mezzo a noi. Direi emozionante percepire il silenzio dei ragazzi e degli adulti davanti al Crocefisso esposto sul presbiterio del Santuario. Cosa avranno detto questi ragazzi fissando Gesù crocefisso in un momento di intimità con Lui? Non lo sappiamo ma sappiamo che hanno sentito la sua presenza ed hanno con Lui dialogato per alcuni minuti. Vi esorto a leggere l’approfondimento che il giovane Francesco offre oggi su questo foglio domenicale circa il silenzio.

Vivremo un altro momento di Giubileo in forma comunitaria il 10 aprile. Tutti potranno intervenire. Ci troveremo presso il Battistero della Cattedrale alle ore 18.30 per esprimere insieme la nostra fede recitando il Credo di Aquileia poi ci porteremo processionalmente in Cattedrale per l’adorazione del Crocifisso. Quindi celebreremo l’Eucaristia nella chiesa della Purità. Nel mese di maggio ci sarà un’altra occasione per celebrare il Giubileo in forma comunitaria. Ci recheremo al santuario di S. Antonio a Gemona domenica 25 maggio, nel pomeriggio. Comunicherò il programma più dettagliato sul Bollettino parrocchiale di Pasqua e da questo sito. Vi auguro un buon cammino di Quaresima. Ciascuno si regali ogni giorno un momento di silenzio davanti a Dio. D’altronde il tempo è di Dio.

Il Parroco, Mons. Luciano Nobile

SANTE MESSE

1) Cattedrale di S.Maria Annunziata

Sabato: 19.00

Giorni festivi: Ore 7.30 – 9.00 – 10.30 – 12.00 – 19.00

2) Oratorio della Purità

da Lunedì a venerdì: Ore 7.30 e 19.00

Sabato: Ore 7.30; Ore 17.30 S. Messa in lingua friulana

3) Chiesa di S. Giacomo

Giorni feriali: Ore 10.00  S. Messa  – Ore 10.30 S. Rosario o Adorazione.

Giorni festivi: Le Messe temporaneamente sono celebrate nella Chiesa di S. Pietro martire.

4) Chiesa di S. Pietro martire

Giorni festivi: Sabato ore 17.00 S. Rosario – Ore 17.30 S. Messa.

Domenica: ore 10.00 – Ore 11.30 S. Messa

Trasmissione della S. Messa domenicale:

Nel mese di luglio Telefriuli (canale 11) non trasmetterà la S. Messa delle 10.30 dalla Cattedrale di Udine ma dalla Basilica di Aquileia e sarà presieduta a turno da uno dei vescovi della nostra Regione FVG.

Si avverte però che tutte le sante Messe celebrate in Cattedrale (7.30-9.00-10.30-12.00-19.00) vengono sempre trasmesse in streaming da questo sito CLICCA QUI

Si precisa che queste celebrazioni vengono trasmesse soltanto col fine di favorire la partecipazione di coloro che sono malati o anziani o impediti da motivi gravi. Agli altri si raccomanda la presenza in chiesa.

SS. Messe feriali:

da lunedì 30.06.2025 per il periodo estivo saranno celebrate in Cattedrale, anziché nell’Oratorio della Purità.

CONFESSIONI

Lunedì (ore 9:30 – 11:00)Mons. Mariano Linossi
Martedì (ore 9:30 – 11:00)Mons. Davide Larice
Mercoledì (ore 9:30 – 11:00)Mons. Angelo Favretto
Giovedì (ore 9:30 – 11:00)Mons. Gianni Fuccaro
Venerdì (ore 9:30 – 11:00)Mons. Angelo Favretto
Sabato (ore 9:30 – 11:00)Mons. Giampaolo d’Agosto
Domenica (ore 7:30 – 8:30 / 9:00 – 10:00)Mons. Luciano Nobile
Lunedì (ore 16:00 – 18:30)Mons. Sandro Piussi
Martedì (ore 16:00 – 18:30)Mons. Mariano Linossi
Mercoledì (ore 16:00 – 18:30)Mons. Giuseppe Peressotti
Giovedì (ore16:00 – 18:30)Mons. Sandro Piussi
Venerdì (ore 16:00 – 18:30)Mons. Giampaolo d’Agosto
Sabato (ore 16:00 – 18:30)Mons. Giuseppe Peressotti
Domenica (ore 18:00 – 19:00)Mons. Luciano Nobile

“DA CUORE A CUORE”

“Guai a me se non predicassi il Vangelo! Poiché mi è stata affidata una dispensazione.”

Confessioni, XIII, 9, 10

L’apostolo Paolo scrive con una franchezza: “Guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ne ho ricompensa; se invece non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato” (1Cor 9,16-17). Il termine greco che traduce “incarico” è oikonomía, da cui derivano “economia” e “dispensazione”. È il compito di chi amministra, di chi distribuisce secondo un disegno non suo. Sant’Agostino, commentando questi versetti, parla della dispensatio verbi – la dispensazione della Parola – come di una missione che grava su chi la riceve. Si parla, cioè, del sacerdote, che nella visione biblica e patristica, non è un iniziatore, ma un servitore. È, per usare l’immagine di Agostino, uno che “dispensa” il pane di vita, che non è suo, ma di Dio. Dice il Santo: “Non siamo pastori vostri come padroni, ma come servi” (Serm. 46,3).

L’immagine è quella “dell’economo evangelico’”, descritto da Gesù nel Vangelo: “Chi è dunque l’amministratore fedele e saggio, che il padrone metterà a capo della sua servitù per distribuire a tempo debito la razione di cibo?” (Lc 12,42). È quindi una missione: “Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli… insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). Il peso del ministero è tutto il contrario di una carriera; San Gregorio Magno, parlando del vescovo, diceva: “Ogni giorno cado sotto il peso dell’ufficio esteriore, mentre anelo alla quiete della contemplazione” (Regula Pastoralis I,2). Pensiamo al pastore nel presepe, lui ha solitamente un unico fardello sulle spalle: una pecorella, mica poco! Condurre questa e tutte le altre pecore non lo investe solo di un’autorità, ma lo affida alla responsabilità di amare. Il pastore, se è tale, vive per le sue pecore. Non ha giorni liberi, non ha tempo per sé. È un uomo che “porta addosso l’odore delle sue pecore” (cf. Papa Francesco), e che impara ogni giorno a dare la vita, come il Maestro.

L’imposizione delle mani

Durante una ordinazione sacerdotale, vi è il gesto (che è realmente un sacramento) dell’imposizione delle mani da parte del Vescovo; questo segno riassume un intero percorso esistenziale. Nella nascita della loro vocazione, i sacerdoti hanno incontrato il Signore e sentito la sua parola: “Seguimi!“. Seguono quella voce inizialmente in modo un po’ malsicuro, volgendosi indietro e chiedendosi se quella sia veramente la loro strada. E in qualche punto del cammino hanno forse fatto l’esperienza di Pietro dopo la pesca miracolosa, sono cioè rimasti spaventati per la sua grandezza, la grandezza del compito, così da volersi tirare indietro: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore!” (Lc 5, 8). Ma poi Egli, con grande bontà, li ha presi per mano. Forse più di una volta ad ognuno di loro è accaduta la stessa cosa che a Pietro quando, camminando sulle acque incontro al Signore, improvvisamente si è accorto che l’acqua non lo sosteneva e che stava per affondare. E come Pietro avranno gridato: “Signore, salvami!” (Mt, 14, 30). Ma ancora il Signore ha donato loro la leggerezza che deriva dalla fede e che ci attrae verso l’alto, la fede in Gesù è il mezzo grazie al quale Egli prende nelle sue mani quelle dei sacerdoti, le stesse mani che, nella persona del vescovo, impone loro durante l’ordinazione.

Sacerdote d’oro, calice di legno

Durante i lavori del Concilio Vaticano II, emerse da una delle sessioni una massima folgorante: “Sacerdos sit aurum, calix lignum” – che il sacerdote sia d’oro, anche se il calice è di legno. Non è l’ornamento liturgico che va esaltato, non è la bellezza dell’argento o l’oro cesellato che dà dignità alla celebrazione. È l’anima del ministro: la trasparenza del suo cuore, la limpidezza della sua fede, la coerenza della sua vita. Anche se il calice è di legno, povero e nudo, se le mani che lo sollevano sono mani consacrate, allora quell’Eucaristia sarà “luce per il mondo”. In tempi che non sono mai semplici – perché, nella sua esperienza di venti secoli, non ci sono mai stati tempi semplici per la Chiesa – le comunità cristiane sono chiamate a stringersi attorno alla Parola di Dio e al proprio pastore. Il sacerdote non solo è funzionario del culto ed amministratore; questi sono ruoli che compongono una minima, seppur faticosa, parte della sua missione. Il sacerdote è propriamente un alter Christus, un uomo posto a ponte tra Dio e il popolo. È colui che rende presente, in parole e gesti, il Signore stesso. In questa luce, le nostre comunità – piccole porzioni del popolo santo di Dio – sono pellegrine, guidate da pastori che, riferimenti saldi, nella loro concreta e ordinaria presenza custodiscono quanto c’è di visibile ed invisibile nella Chiesa; il passato e il presente, affinché nulla di ciò che Dio ha seminato vada disperso nel vento del tempo. È un lavoro di traghettamento: nei passaggi di generazione, nel susseguirsi delle prove, nei cammini individuali di fede. Ed è giusto che si senta e si manifesti gratitudine verso i nostri sacerdoti, che riuniscono e reggono ogni parte del corpo della Chiesa attraverso il tempo.

Francesco Palazzolo

Chi è soggetto alla compilazione della dichiarazione dei redditi può operare la scelta 8Xmille per la Chiesa Cattolica. È importante che anche coloro che sono esonerati firmino nella casella “Chiesa cattolica”.

Grazie per il bene che puoi fare con il tuo intervento. Non ti costa nulla. Basta solo la tua firma.