DIO SI FIDA DI TE

Luca 13,1-9

“In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere assieme a quello dei loro sacrifici” (Lc 13,1). Il Vangelo di questa domenica di Quaresima inizia con la cronaca di un crimine commesso da Pilato. Alcuni pellegrini venuti dalla Galilea per offrire sacrifici al tempio, era la pasqua degli Ebrei, sono coinvolti in un fatto di sangue. Il fatto è veramente accaduto, ne siamo certo, perchè Luca all’inizio del suo Vangelo scrive:”Ho deciso di fare accurate ricerche” (Lc 1,3). La Pasqua celebra la liberazione dall’Egitto è inevitabile che risvegli in ogni israelita aspirazioni alla libertà e acuisca il sentimento di rivalsa contro l’oppressore romano. Forse galilei un po’ fanatici: una parola, un gesto, provocano una rissa con i soldati romani di guardia al Tempio. Pilato, che, durante le feste di Pasqua, si trasferiva da Cesarea a Gerusalemme per assicurare l’ordine e prevenire sommosse non tollera nemmeno l’accenno alla ribellione: fa intervenire i soldati che, senza alcun rispetto per il luogo santo, massacra i malcapitati galilei. La crudeltà e la sua insensibilità verso le tradizioni religiose degli ebrei erano noti. Giuseppe Flavio riferisce che Pilato, quando condusse la prima volta le truppe romane a Gerusalemme da Cesarea, commise una violazione senza precedenti alla sensibilità ebraica. Fece introdurre di notte in città stendardi militari con i busti dell’imperatore, che erano considerati immagini idolatriche dagli ebrei. Una massiccia manifestazione di protesta e di sfida  e l’intervento dell’Imperatore, convinsero Pilato a rimuovere gli stendardi. Ancora Giuseppe Flavio parla di proteste quando Pilato si appropriò dei fondi del Tempio per costruire un acquedotto per la città di Gerusalemme. In quella occasione Pilato ordinò che i soldati romani, vestiti da civili ebrei e armati con bastoni nascosti, si confondessero con la folla schiamazzante e attaccassero la gente a un segnale convenuto. Ci furono molti morti e feriti. Ci siamo dilungati su Pilato, prefetto romano della Giudea dal 26 al 36, perchè ogni domenica nel Credo recitiamo «patì sotto Ponzio Pilato».

            “Prendendo la parola , Gesù disse loro: Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei per aver subito tale sorte” (Lc 13,2). I latori della notizia si attendevano due precise risposte. Una severa dichiarazione di posizione antiromana, una condanna di Pilato e, forse, un coinvolgimento in una rivolta armata. E, in base delle loro convinzioni, dichiarasse che sono morti perchè erano carichi di peccati. Anche i diciotto morti nel crollo della torre di Sìloe, secondo loro, erano morti perchè peccatori. «Gesù  prende le difese sia di Dio, sia degli uccisi: non è Dio che arma la mano di Pilato, che aggiunge sangue a sangue, che abbatte torri. Non ci sono colpe segrete da punire» (P. Ronchi). La risposta di Gesù: “No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5). Luca non è interessato al contenuto della conversione, quali cose cambiare, ma a un cambiamento che vada alla radice. Questo è il significato del termine ‘conversione’. La via proposta ai discepoli, e a noi,  nei capitoli precedenti questa è ‘conversione’. E queste è la proposta quaresimale. Non c’è  poi una minaccia, ma un consiglio: la vita è precaria, fragile, usa bene il tuo tempo.

            “Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò” (Lc 13,6). Le parole della parabola: un tale, fico, vigna, vignaiolo, tre anni. “Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle” (Is 5,1). I discepoli, quindi noi, siamo il fico, simbolo di vita serena, gustoso per i suoi frutti e riposante per la sua ombra, piantati dentro la vigna/Israele/Chiesa che Dio ama, per dare frutti. Quali frutti? Lo dice San Paolo ai Gàlati: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, grandezza d’animo, benignità, bontà, fedeltà, mansuetudine, sobrietà” (Gal 5,22-23). Dopo tre anni, i tre anni della vita pubblica di Gesù, il Lieto Annuncio/Vangelo, cioè Gesù il volto bello visibile di Dio riceve ancora un rifiuto. Allora il padrone/dio, non il Dio di Gesù, ma il dio vendicativo degli Ebrei ordina: “Taglialo dunque “ (Lc 13,7). “Padrone lascialo ancora quest’anno” (Lc 13,8) è la voce del vignaiolo, Gesù. «”Lascialo ancora quest’anno” (Lc 13,8) e porterà frutto. In questo ancora c’è il miracolo della pietà divina: una piccola probabilità, uno stoppino fumigante, una canna incrinata sono sufficienti a Dio. Convertirsi è credere a questo Dio, non al padrone che minaccia morte, ma al contadino fidente che si prende cura di quella zolla di terra che è il mio cuore. Dio si fida di me, io mi fido di Dio. In questo incontro di fedi, da un raddoppio di fiducia nasce la salvezza» (P. Ronchi, Respirare Cristo).

Buona Domenica.                                                                                                                              Mons. Pietro Romanello

Carissimi fedeli,

in queste domeniche di Quaresima mi corre l’obbligo di presentare e di richiamare l’importanza delle celebrazioni dell’Arcivescovo in cattedrale, che è la chiesa madre. Il vescovo è un segno vivo del Buon Pastore che è Gesù e i sacerdoti inviati da lui nelle varie parrocchie lo rappresentano e partecipano come cooperatori al suo ministero pastorale. Lo dico anche in vista di alcune decisioni che, in occasione del Triduo Pasquale, si prenderanno. In queste domeniche cercherò di rendere ragione di queste scelte onde addivenire ad una condivisione convinta ed accolta da persone adulte nella fede.

 La funzione del vescovo, come dottore, santificatore e pastore della sua Chiesa, brilla soprattutto nella celebrazione della sacra liturgia da lui compiuta con il popolo. «Perciò bisogna che tutti diano la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi intorno al vescovo principalmente nella chiesa cattedrale; convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri».

Dunque le sacre celebrazioni presiedute dal vescovo, manifestano il mistero della Chiesa a cui è presente Cristo; perciò non sono un semplice apparato di cerimonie. Inoltre è opportuno che queste celebrazioni siano di esempio per tutta la diocesi e brillino per la partecipazione attiva del popolo. Perciò in esse la comunità riunita partecipi con il canto, il dialogo, il sacro silenzio, l’attenzione interna e la partecipazione sacramentale.  Dunque in tempi determinati e nei giorni più importanti dell’anno liturgico si preveda questa piena manifestazione della Chiesa particolare a cui siano invitati il popolo proveniente dalle diverse parti della diocesi e, per quanto sarà possibile, i presbiteri…… In queste assemblee la carità dei fedeli si estenda alla Chiesa universale e sia suscitato in essi un servizio più fervido al vangelo e agli uomini.                (Dal cerimoniale dei Vescovi)                                                                             Il Parroco Luciano Nobile

CHI STIAMO SEGUENDO?

Luca 9, 28-36

 

Carissimi fedeli, anche oggi colgo la felice occasione di condividere con voi il Vangelo che viene proclamato durante le SS. Messe, che è sempre una bella notizia per noi.

“Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,28-29). Notiamo con una certa curiosità la precisazione dell’evangelista “Circa otto giorni dopo questi discorsi”. I discorsi a cui Luca si riferisce sono quelli riportati nel capitolo sesto del suo Vangelo: “Beati voi, poveri” (Lc 6,20); “Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici” (Lc 6,27); “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36); “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38); “Può forse un cieco guidare un altro cieco?” (Lc 6, 39); “Ipocrita! Togli prima la trave del tuo occhio” (Lc 6,42); “Perché mi invocate: Signore, Signore! E non fate quello che vi dico?” (Lc 6,46). Gesù aveva presentato la sua proposta del vero discepolo, dell’uomo riuscito secondo Dio. Ma i cristiani delle comunità di Luca si tormentano nel dubbio della scelta: queste proposte fanno di me un uomo di successo secondo Dio, ma sono, umanamente parlando, un fallimento. E chi è questo Gesù che propone un tale rischio? Una nascita anonima: gli uomini che contavano allora erano Cesare Augusto, Quirinio, i sacerdoti del tempio e lui l’ultimo, bambino in una grotta. Una vita anche di fatti prodigiosi, ma sempre con poveri, ammalati, lebbrosi, peccatori, amato dai poveri, ma perseguitato dai potenti. Erode Antipa (Lc, 13,32) desiderava vederlo, me Gesù manda a dirgli che ‘non era della sua cerchia’. La fine: condannato e crocefisso come un qualunque malfattore tra due ladri; un fallimento.

Il racconto del Vangelo di oggi è una rivelazione rivolta ai discepoli, rivelazione che ha come oggetto il significato profondo e nascosto della persona di Gesù e della sua opera. Inoltre Luca, con questo racconto, vuole preparare le sue comunità, e quindi noi, a leggere alla luce di Dio gli eventi pasquali. Questa rivelazione ci viene comunicata mediante riferimenti all’Antico Testamento e a due episodi della stessa vita di Gesù, ossia il Battesimo – con il quale il nostro racconto ha diverse analogie – e con i racconti pasquali – coi quali ha innegabile parentela di vocabolario e di immagini -.

“…e salì sul monte a pregare” (Lc 9,28). Il racconto della trasfigurazione di Gesù viene riferito in modo quasi identico dal Vangelo di Marco, di Matteo e di Luca – detti i Vangeli sinottici perché totalmente simili nella struttura e nel testo-, ma solo Luca scrive “salì a pregare” e aggiunge che “il suo volto cambiò d’aspetto e le sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,29). Non parla di trasfigurazione, ma di cambiamento d’aspetto. Questo splendore è il segno della gloria di chi è unito a Dio. La luce sul volto di Gesù indica che, durante la preghiera, egli ha compreso e fatto suo il progetto del Padre; ha capito che il suo sacrificio non si sarebbe concluso con la sconfitta, ma nella gloria della risurrezione. E i tre discepoli, senz’altro i più preparati, scelti da Gesù per vivere questa esperienza spirituale, notano questo “cambio d’aspetto e questa veste sfolgorante”.

“Ed ecco due uomini conversavano con lui. Erano Mosè ed Elia” (Lc 9,30). Gesù è il compimento dell’Antico Testamento e la via che egli percorre è la via della Croce: questo è il primo grande insegnamento. Alcuni elementi del racconto, come la nube e la voce, la presenza di Mosè ci pongono in direzione delle teofanie del Sinai -manifestazioni di Dio – il modello di tutte le teofanie bibliche. Con questo parallelo Luca vuol affermare che Gesù è il nuovo Mosè, il profeta definitivo, e che in lui giungono a compimento l’Alleanza e la legge. Mosè (Es. e Dt.) ed Elia (1/2 Re.) sono personaggi particolarmente qualificati a discorrere con Gesù del suo esodo e della sua Croce. Mosè guidò il popolo di Dio nel passaggio (esodo) dall’Egitto alla terra promessa. Ma fu anche chiamato a vivere un suo esodo personale. Crebbe alla corte del Faraone, ma preferì la solidarietà col suo popolo; minacciato da uno del suo popolo in favore del quale era intervenuto, è costretto a fuggire nel deserto; chiamato da Dio a guidare la marcia di Israele verso la libertà, provò ripetutamente l’amarezza della contestazione e dell’abbandono; e morì alle soglie della terra promessa, senza la soddisfazione di entrarvi. Elia, profeta fra i più tenaci e vigorosi, insofferente di ogni forma di idolatria e della corruzione del governo, conobbe la via della fuga, del deserto e della solitudine, ma anche la gioia della presenza del Signore e il conforto della sua parola. Ascoltare le Scritture, conoscere l’esperienza di Mosè, di Elia e di altri profeti ci aiutano a comprendere più a fondo il ‘nuovo esodo’ che Gesù ha compiuto e che il discepolo dovrà a sua volta compiere. La trasfigurazione è una rivelazione in anticipo della futura risurrezione di Gesù, ma è, lo ripetiamo, anche una rivelazione di ciò che Gesù è già: il Figlio di Dio. L’episodio è una chiave che permette di cogliere la vera natura di Gesù dietro le apparenze che lo nascondono.

“Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne…” (Lc 9,33). La trasfigurazione è anche una rivelazione dell’identità del discepolo. La via del discepolo è come quella del Maestro, ugualmente incamminata verso la Croce e la risurrezione. La comunione con Dio è già operante. E di tanto in tanto questa realtà profonda e pasquale, normalmente nascosta, affiora. Nel viaggio della fede non mancano momenti chiari, momenti gioiosi, all’interno della fatica dell’esistenza cristiana. Il loro carattere è però fugace e provvisorio, e il discepolo deve imparare ad accontentarsi. Pietro desiderava eternizzare quell’improvvisa chiara visione, quella gioiosa esperienza. E’ un desiderio che rivela un’incomprensione dell’avvenimento: ”Egli non sapeva quello che diceva” (Lc 9,33). I momenti gioiosi e chiari disseminati nella vita di fede non sono il definitivo, ma soltanto la sua pregustazione; non sono la meta, ma soltanto un anticipo profetico di essa. La strada del discepolo è ancora quella della croce.

Auguro a tutti una buona domenica.                                            Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano

QUALE VIA SCEGLIE GESU’?

Luca 4,1-13

Carissimi fedeli,

 è iniziato il Tempo della Quaresima e noi ci mettiamo in ascolto attento della parola di Dio che guida la nostra vita.

“Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati ebbe fame” (Lc 4,1-2). Il Vangelo di oggi non è la cronaca fedele, redatta da un testimone oculare, della sfida tra Gesù e il diavolo, ma una lezione di catechesi e vuole insegnarci che Gesù è stato messo alla prova non con tre, ma con ”ogni tentazione” (Lc 6,13). Non sono tre episodi isolati della vita di Gesù, ma a tre parabole in cui, attraverso immagini e richiami biblici, Luca afferma che Gesù è stato tentato in tutto come noi.

“…per quaranta giorni” (Lc 4,2).  Il quaranta è un numero ricorrente nella Bibbia. Sul monte Sinai “Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane e senza bere acqua” (Es 34,25). “Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Fino a quando sopporterò questa comunità malvagia che mormora contro di me? Riferisci loro…Quanto a voi, i vostri cadaveri cadranno in questo deserto. I vostri figli saranno nomadi nel deserto per quarant’anni…»” (Nm 14,26ss). Nel primo libro dei Re si legge che il profeta Elia, mentre era in fuga, fu invitato dall’angelo a mangiare una focaccia cotta su pietre roventi e a bere un orcio d’acqua: “Si alzò mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb” (1Re 19,6-8). Da questi esempi riusciamo a capire come Luca abbia costruito il racconto delle tentazioni e notiamo il ripetersi del numero quaranta. I numeri nella Bibbia hanno spesso un valore simbolico. Il numero quaranta può indicare ‘una generazione’ oppure ‘tutta una vita’ e ancora, ed è il caso del Vangelo di oggi, ‘un periodo di preparazione’, più o meno lungo, a un grande avvenimento. Il diluvio che preparò una nuova umanità durò quaranta giorni e quaranta notti (Gn 9,1ss). Gesù, dopo il Battesimo nel Giordano, si prepara alla sua ‘grande’ missione “..,nel deserto, per quaranta giorni” collegandosi così all’esperienza di Israele “per quarant’anni nel deserto messo alla prova per sapere quello che aveva nel cuore” (Dt 8,2) . La Chiesa, fin dal IV secolo, prendendo spunto da questi testi biblici, propone un periodo di preparazione di quaranta giorni, Quaresima/quadragesima, qui il numero non è simbolico, alla più grande festa cristiana.

“Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei il Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Il diavolo lo condusse in alto… e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la gloria…se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me». Lo condusse a Gerusalemme sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù…» (Lc 4,2-12). Rimaniamo un po’ sconcertati che Gesù abbia avuto dubbi come noi, che abbia incontrato difficoltà nell’adempimento della sua missione, Che abbia scoperto gradualmente il progetto del Padre. Abbiamo quasi paura di abbassarlo troppo al nostro livello. Ci viene incontro l’autore della Lettera agli ebrei. ”Infatti proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,18). “Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze; egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). L’evangelista Luca parla di tentazioni, ma forse è meglio parlare, sull’esempio della Lettera agli ebrei, di prove. Il centro della narrazione del Vangelo di oggi è costituito da tre suggerimenti di Satana e della triplice risposta di Gesù. Si tratta di una prova che è possibile leggere da diverse angolature. Sostanzialmente il diavolo suggerisce a Gesù di percorrere una via messianica conforme alle attese popolari. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-100 dC.) racconta che ‘uomini fanatici sobillavano il popolo a recarsi nel deserto perché là Dio avrebbe ripetuto il prodigio della manna, o a recarsi sulla spianata del tempio dove Dio sarebbe prodigiosamente disceso dal cielo, e assicuravano che il Messia avrebbe assunto la sovranità sul mondo intero. Conformarsi alle attese del popolo, per essere in tal modo accettato e popolare, o attenersi alla Parola di Dio? Lette a questo livello, si comprende che le tre tentazioni si riducono nella sostanza a una sola. «Le grandi tentazioni, le vere, non sono quelle di cui si preoccupa o si ossessiona un certo cristianesimo moralista, non sono quelle che ci saremmo aspettate. Quelle, ad esempio, che riguardano la sfera sessuale, ma sono quelle che vanno a demolire la fede» (O. Clèment). Per due volte il diavolo si rivolge a Gesù dicendogli “Se tu sei il Figlio di Dio”. E’ dunque in gioco il modo di pensare la filiazione divina. Per Gesù l’essere figlio si esprime nell’obbedienza e nella dedizione, per Satana nel poter usare della potenza di Dio per la propria gloria e a piacimento. In tutte tre le tentazioni Gesù ha trovato la risposta al tentatore nelle Scritture. ”Non di solo pane vive l’uomo”, “Solo il Signore tuo Dio adorerai” “Non tenterai il Signore tuo Dio”. Sono tre citazioni che sottolineano la fiducia nella Parola e la dedizione all’unico Signore. Sono queste le due virtù che sconfiggono Satana, e sono al tempo stesso i due atteggiamenti sui quali la missione della Chiesa deve confidare. Lo Spirito non percorre altre strade.

“Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Lc 4,13). La prova si riproporrà nella vita di Gesù e, più tardi, nella vita della comunità dei discepoli. Tutta la vita di Gesù e accompagnata dalla prova, come egli stesso dirà ai discepoli: ”Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mia prove” (Lc 22,29). Una prova insistente proveniente da varie parti (da Satana, da scribi e farisei, dalla gente) e sempre uguale: distogliere Gesù dalla fiducia nella Parola di Dio e indurlo a percorrere strade umanamente più promettenti. Ma il tempo della prova è soprattutto la Passione che Luca definisce “l’ora vostra, e il potere delle tenebre” (Lc 22,53). Una prova che Gesù supera nella preghiera (Getzemani) e nel più completo e fiducioso abbandono nelle mani del Padre.

Buona Domenica e buon cammino di Quaresima nell’ascolto della Parola di Dio.                                   Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano

 

 

LE OPERE DELLA PENITENZA QUARESIMALE

 

Nel V secolo S. Pietro Crisologo afferma: “Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia è la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia” (Discorso 43).

Nelle prime quattro domeniche di Quaresima (10, 17, 24, 31 marzo), l’Arcivescovo ci dà appuntamento in Cattedrale per delle catechesi che ci aiutino ad accrescere la fede.

In clima di ascolto e di preghiera, quattro interventi d’arte completeranno la meditazione attraverso l’incanto di musiche di grande prego. A cura di don Alessio Geretti, con la collaborazione dell’USCI FVG.

Ecco il programma completo.

 

QUARESIMALI D’ARTE 2019

su tre virtù rare e preziose e sulla loro fonte

 «Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta,

con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore» (Ef 4,1-2)

 

Domenica 10 marzo ore 17.00, Cattedrale di Udine           

TEMA DI MEDITAZIONE: L’umiltà, principio di ogni virtù.

MUSICISTI:

GRUPPO VOCALE FEMMINILE BODEČA NEŽA di San Michele del Carso (Go)

Direttore: Mateja Černic

PROGRAMMA MUSICALE:

APERTURA

Gabriel Faurè (1845-1924): CANTIQUE DE JEAN RACINE

DOPO PREGHIERA INIZIALE

Giovanni Bonato (1961): STETIT ANGELUS

DOPO 1A LETTURA

Tomàs Luis Da Victoria (1548-1611): JESUM TRADIDIT IMPIUS

DOPO 2A LETTURA

Joseph Rheinbergher (1839-1901): WIE LIEBLIG SIND DEINE WOHNUNGEN

DOPO CATECHESI ARCIVESCOVO

Erik Esenvalds (1977): O SALUTARIS HOSTIA

Lorenzo Donati (1972): PONETEMENTE (da un antico laudario fiorentino)

DOPO PREGHIERA E BENEDIZIONE FINALE

Marco Sofianopulo (1952-2014): SUSPIR DA L’ANIME

 

Domenica 17 marzo ore 17.00, Cattedrale di Udine

TEMA DI MEDITAZIONE: La virtù della mansuetudine o mitezza.

MUSICISTI:

GIULIA BOLCATO soprano, GIULIO PADOIN violoncello, ALBERTO BUSETTINI organo

PROGRAMMA MUSICALE:

APERTURA

Johannes Krieger (1651-1735): Passacaglia in d

DOPO PREGHIERA INIZIALE

Frédéric-Hubert Paulin (1678-1781): Ave verum corpus (mottetto a voce sola e basso continuo)

DOPO 1A LETTURA

Johann Jacob Froberger (1616 – 1667): Toccata II

DOPO 2A LETTURA

Antonio Caldara (1670 – 1736): Pompe Inutili, da La Maddalena ai piedi di Cristo (Aria per soprano, violoncello obbligato e basso continuo)

DOPO CATECHESI ARCIVESCOVO

Giovanni Felice Sances (1600 – 1679): Stabat Mater a voce sola e basso continuo

DOPO PREGHIERA E BENEDIZIONE FINALE

Henry Purcell           (1659 – 1695): An Evening Hymn (Meditazione “on a ground”)

 

Domenica 24 marzo ore 17.00, Cattedrale di Udine

TEMA DI MEDITAZIONE: La virtù della pazienza.

MUSICISTI:

CORO GIOVANILE REGIONALE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA Direttore: Petra Grassi

PROGRAMMA MUSICALE:

APERTURA

Andrej Makor (1987) Otche nash 2’00’’

DOPO PREGHIERA INIZIALE

Patrick Quaggiato (1983) Vorrei 5’50’’ testo di G. La Pira

DOPO 1A LETTURA

Roberto Brisotto (1972) O salutaris hostia 2’56’’

DOPO 2A LETTURA

Alfred Schnittke (1934-1998) Otche nash 4’00’’

DOPO CATECHESI ARCIVESCOVO

Johan Wagenaar (1862-1941) Hymnus de ascensione Domini 3’15’’

Josu Elberdin (1976) Cantate Domino 4’20’’

DOPO PREGHIERA E BENEDIZIONE FINALE

Orlando Dipiazza (1929-2013) Tota pulchra 2’45’’

 

Domenica 31 marzo ore 17.00, Cattedrale di Udine

TEMA DI MEDITAZIONE: La fonte delle virtù.

MUSICISTI:

POLIFONICA FRIULANA JACOPO TOMADINI di San Vito al Tagliamento (Pn)

Direttore: Massimo Gattullo

PROGRAMMA MUSICALE:

APERTURA

Salmo 33 – Benedicam Dominum (A. Lotti – 1667/1740)

DOPO PREGHIERA INIZIALE

Salmo 119 – AD DOMINUM CUM TRIBULARE CLAMAVI (A. Lotti–1667/1740)

DOPO 1A LETTURA

ELI ELI (G.Deak Bardos – 1905/1991)

DOPO 2A LETTURA

Verleih uns frieden gnädiglich – Dona nobis pacem (F. Mendelssohn B. – 1809/1847)

DOPO CATECHESI ARCIVESCOVO

O Sacrum Convivium (L. Molfino – 1916/2012)

DOPO PREGHIERA E BENEDIZIONE FINALE

Laudate Dominum (K. Nystedt – 1915/2014)

APRIRE GLI OCCHI PER VEDERE IL VOLTO MISERICORDIOSO DEL PADRE

Luca 6,39-45

 

Carissimi fedeli,

                          nelle due ultime domeniche Gesù ha annunciato le caratteristiche del vero discepolo. “Beati…” mi congratulo con voi, dice ai discepoli, perché, guidati dallo Spirito, avete fatto la scelta della povertà evangelica, la scelta di amare, gratuitamente, anche il nemico. “Beati” perché avete scelto di agire come il Padre vostro che è nei cieli pur sapendo che il ‘mondo’ (il ragionare terra-terra) non vi può capire.

            Sono così tutti quelli che si dicono discepoli? Gesù, sapendo che qualche errore si era introdotto tra loro, li mette in guardia prospettando i veri pericoli. Il primo pericolo viene presentato con un detto popolare: ”Può forse un cieco guidare un altro cieco?” (Lc 6,39). Il riferimento è molto chiaro. Nel Vangelo secondo Giovanni (Gv 9,35-41) troviamo un passo importante. Giovanni, che chiama segni i miracoli, racconta la guarigione del cieco nato. Dopo la guarigione incontrando il cieco, che ora vede, dà il senso del segno. Gesù dice: ”E’ per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi”. E i farisei che erano con lui: “Siamo cechi anche noi?” Realmente vedono Gesù, ma non credono alle sue parole, per questo sono ciechi. Nel Vangelo di Matteo abbiamo un caso analogo. I discepoli riferiscono a Gesù che i farisei sono rimasti scandalizzati dalle sue parole e Gesù: “Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi” (Mt 15,14). Non vogliono vedere. Hanno la luce davanti a loro: è Lui, la luce, Gesù di Nazaret che incarna il volto misericordioso del Padre. Ma non voglio credere ‘vedere – aprire gli occhi’. Hanno sostituito la parola di Dio con le loro tradizioni e sono gelosi di quel dio che hanno in mente e a cui affidano i loro progetti e in più vogliono essere guide dei pagani, ma sono “guide cieche”. Ancora Giovanni ci avverte: “…la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19). Qual’è il compito del discepolo? Guidare coloro che ancora non hanno aperto gli occhi, cioè non hanno sperimentato la gioia di contemplare il volto bello del Dio Padre-buono e si sentono ancora oppressi da quel dio che castiga e condanna, ad aprire gli occhi e riconoscere in Gesù, Figlio di Dio, quel Dio, vera luce. Lc 6,40). Un secondo grave errore dettato dalla presunzione: sentirsi maestri. Cioè identificare le proprie idee, le proprie convinzioni, i propri progetti con il Vangelo senza conoscerlo.  Il discepolo prima di parlare, prima di dare consigli, prima di decidere, di fare scelte, consulti il vero maestro, e si assicuri di ‘vedere bene’.

            Poi, “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello…” (Lc 6,41). San Paolo scrive ai corinzi: “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (2 Cor 4,7). Il discepolo non è esente da errori, difetti, peccati. Certe fragilità ci saranno anche in chi ha aperto gli occhi. La strada per guarire dice Gesù è “togliere la trave dal proprio occhio”. E’ angosciante il rimprovero di Gesù: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’aneto e sul cumìno e trascurate la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Guai a voi… che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza… Guai a voi…che somigliate a sepolcri imbiancati…” (Mt 23,23-27). Quanta falsità, dice Gesù: vedete il minimo difetto nel fratello e lo identificate con il suo difetto e non vi accorgete della trave. Questo vale non solo per gli individui ma anche per le comunità. Nel Vangelo di Luca, le parole trave e ipocriti hanno un significato in po’ diverso. Una trave enorme da cui nascono tutti i “guai…” è che scribi e farisei non vogliono conoscere e non permettono di conoscere la vera identità di Dio. E Gesù li apostrofa con “ipocriti” attori, voi recitate personificando quel dio farisaico che avete in mente; non il Dio della Bibbia, ma un dio che scruta tutti, anche i minimi errori degli uomini per condannarli. Questa commedia Dio non la sopporta, non vuol essere rappresentato con questa brutta maschera. Questi sono “ipocriti” “ciechi e guide di ciechi”. Questa maschera di dio ogni volta che riappare nella Chiesa fa un enorme danno.

            Ancora: “Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo…” (Lc 6,43). L’immagine dell’albero ricorre spesso nella Bibbia. L’uomo giusto è “come albero piantato lungo i corsi d’acqua…”. Siamo soliti considerare i ‘frutti’ come le opere buone. Questo è nel Vangelo di Matteo. Luca, invece, parla di messaggi che i maestri annunciano. Quali sono i buoni maestri che danno buoni frutti, cioè buoni messaggi da seguire? Quelli che affondano le loro radici nella Parola di Dio. Chi non fa riferimento al Vangelo non è e non sarà mai un buon maestro.

            L’ultimo messaggio dice: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene”. (Lc 6,45). Il buddista parla e ragiona da buddista, cosi l’islamico, l’ebreo… il cristiano deve pensare, parlare e agire da cristiano, discepolo di Cristo. Deve essere sempre in sintonia con il Dio di Gesù la cui “misericordia è eterna” (Sal 136).

Buona Domenica.                                                                                                                    Mons. Pietro Romanello

 

 

 


PREPARIAMOCI ALLA PASQUA DEL SIGNORE

 

 

Ci prepariamo alla Pasqua del Signore con la preghiera e la riflessione sul suo Mistero di Passione. Morte e Resurrezione. Ci vengono offerti 4 incontri in casa canonica 

alle ore 20.30 il mercoledì 20 e 27 marzo;  03 e  10 aprile.

Saremo guidati da don Davide Gani, Direttore dell’ Ufficio diocesano di Pastorale della famiglia.

Tutti sono invitati.

MA IO VI DICO

Luca 6,27-38

 

Carissimi fedeli, in questo incontro domenicale con voi cerco di farvi intravvedere il volto del Signore. Anzi lo contempliamo insieme per lasciarci affascinare da Lui e per proseguire sulla strada che abbiamo iniziato nel giorno del nostro Battesimo.

“Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a sé stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico” (Es 23,4-5). Già Mosè chiedeva atteggiamenti di amore verso il nemico. Ma gli uomini religiosi, sicuri della loro pretesa giustizia erano giunti a formulare proposte diverse. Nel libro sapienziale del Siracide, conosciuto dalla tradizione cristiana anche come Ecclesiastico, per l’ampio uso che la Chiesa ne faceva in quanto fonte di insegnamenti pratici, leggiamo: “Fa’ doni all’uomo pio e non dare aiuto al peccatore. Fa’ il bene al povero e non dare all’empio, rifiutagli il pane e non dargliene, perché egli non usi per dominarti; il male che avrai sarà doppio per tutti i benefici che gli avrai fatto” (Sir 12,4-5).

La parola di Gesù oggi: “alzàti gli occhi verso i suoi discepoli diceva: Beati voi, poveri…” – Vangelo di domenica scorsa – e continua: “Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”. Nelle Beatitudini vediamo il ritratto di Gesù e in queste proposte la sua vita. In tutta la sua vita ha provato nella sua carne il comandamento dell’amore, ma è nella sua Passione che dà la testimonianza più forte. A chi lo tradiva offriva l’amicizia: “Subito – Giuda – si avvicinò a Gesù e disse: «Salve Rabbi!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico…»” (Mt 26,49-50). “Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello…” (Mt 27,30-31) A chi lo schiaffeggiava si sottometteva in silenzio. Perdona ai suoi crocifissori: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc23,34). L’apostolo Paolo ha parole chiare riguardo a Gesù. “Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).

Lo sappiamo tutti. Ci sono cristiani che riconoscono, molto onestamente, che, anche sforzandosi, non riusciranno mai ad amare chi ha recato loro danni irreparabili: chi li ha calunniati, chi ha distrutto la serenità e la pace nella loro famiglia o chi ha ucciso un loro familiare… Penso che Gesù non esiga che diventiamo amici di chi ci fa il male. Nemmeno lui aveva simpatia per Anna e Caifa, per i farisei, per Erode che egli soprannominò ‘volpe’ (Lc 13,32) per Erodiade che fece uccidere il Battista (Mc 6,14-29). La simpatia non dipende da noi, non può essere comandata; sorge spontanea tra persone che si stimano che si sentono in sintonia. Gesù ci chiede di amare, cioè di non guardare ai propri diritti, ma ai bisogni dell’altro, di essere in sintonia con il Padre che sta nei cieli “che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45). La strada è la preghiera. Nella preghiera possiamo vedere chi ci fa del male alla luce del mistero di Dio, il Dio che ci ha amati in Cristo.

Anche i saggi pagani avevano dato consigli simili. Seneca, filosofo stoico, precettore e consigliere di Nerone, scriveva: “Se vuoi imitare gli dèi, fa del bene anche agli ingrati, poiché il sole si alza anche sui malvagi”.

In che cosa si distingue il vangelo-buona-notizia di Gesù da questa proposta o da altre simili? Leggiamo il Vangelo. ”Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta?… E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto” (Lc 6,32-34). Si tratta di azioni buone, tre casi di uomini giusti; ma il loro atteggiamento può essere dettato da un calcolo, dalla ricerca di un vantaggio. Gesù ripete tre volte “quale gratitudine…” cioè ‘cosa fate di gratuito?’ E’ la gratuità che caratterizza l’agire del cristiano e che permette di identificare, in modo inequivocabile, i figli di Dio. Il Vangelo ci presenta tre categorie di persone: sul gradino più basso sono i malvagi (coloro che pur ricevendo il bene, fanno il male); più su ci sono i giusti (coloro che rispondono al bene con il bene e al male con il male); infine sono coloro che al male rispondono con il bene e sono i figli di Dio che rendono visibile agli occhi degli uomini il volto del Padre celeste.

“A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra”(Lc 6,29). Gesù non proibisce ai discepoli di esigere la giustizia, di difendere i propri diritti, di proteggere i propri beni, il proprio onore, la vita. Non sono dei vigliacchi che tollerano l’oppressione nei confronti dei deboli. Il cristiano deve impegnarsi a porre fine all’ingiustizia, alle prevaricazioni, ai furti, ma per amore della giustizia rifiuta i metodi condannati dal Vangelo. Non ricorre alle armi, alla violenza, alla menzogna, all’odio, alla vendetta “non rendete a nessun male per male. Non fatevi giustizia da voi stessi…se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli da bere… non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene” così scrive Paolo ai romani (Rm 12,17-21). E’ d’obbligo anche la pazienza, la capacità di soffrire, di sopportare un grande peso pur di non fare del male a un fratello.

Buona Domenica a tutti.                                                                                   Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano

Martedì 14 maggio ore 18.30 

 

i bambini che hanno ricevuto il Sacramento della Prima Comunione si ritrovano presso l’Oratorio della Purità per la recita del S. Rosario.

Seguirà la S. Messa di ringraziamento. Ciascun bambino porti un fiore da depositare ai piedi dell’altare.

Verranno consegnate le pergamente-ricordo.

 

 

In Cattedrale è esposta una mostra sulla persecuzione della chiesa cattolica in Cescoslovacchia “Dittatura versus Speranza”.

Si può visitare fino al 10 marzo nelle cappelle – lato destro.

LA VIA DELLA VITA

(Luca 6,17-20.26)

 

“Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi…ma nella legge del Signore trova la sua gioia…”(Sal 1,1-2) così inizia il Libro dei Salmi. “Beato” è un complimento: «Mi congratulo con te che cammini sulla strada della giustizia». A tutti fanno piacere i complimenti in modo particolare se provengono da persone particolari per prestigio, bontà, scienza ecc… I rabbini del tempo di Gesù si servivano spesso della forma letteraria delle beatitudini e anche delle maledizioni. Per inculcare valori sui quali costruire la vita dicevano: «Beato colui che…» e per metterlo in guardia da proposte ingannevoli e illusorie usavano invece l’espressione: «Guai a chi si comporta…». Essendo questo il modo di comunicare impiegato dai saggi in Israele non fa meraviglia che nei Vangeli si trovino parecchie beatitudini e anche minacce. “E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,45) è il complimento di Elisabetta a Maria. Anche Gesù usa lo stesso linguaggio sapienziale, parla di beato e di maledetto. “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli” (Lc 12,37); “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29); “Quando offri un banchetto invita i poveri…e sarai beato perché non hanno da ricambiare. Beato chi prenderà cibo nel Regno di Dio” (Lc 14,14-15); “E beato colui che non trova in me motivo di scandalo” (Mt 11,6); “Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano” (Mt 13,16). E anche “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti” (Mt 23,29) e “Via lontano da me maledetti” (Mt 25,41).  Queste citazioni evidenziano come al tempo di Gesù fosse usuale il ricorso alle beatitudini e alle maledizioni per veicolare un insegnamento.

Alla parola beatitudini la mente corre subito al famoso discorso della montagna del Vangelo di Matteo al capitolo 5°. Sono le Beatitudini più conosciute perché, nella liturgia, più volte vengono lette, come ad esempio nella Festa di Tutti i Santi o nella Commemorazione dei fedeli defunti. Matteo ambienta il discorso delle beatitudini sul monte: “Vedendo le folle Gesù salì sul monte” (Mt 5,1). Il monte è simbolo del luogo in cui l’uomo incontra Dio. “Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante” (Lc 6,17) Luca invece ambienta il discorso nella vasta pianura ovvero il luogo dove sono convocate le folle di tutto il mondo. Una seconda differenza è che Matteo ha una formula impersonale: ”Beati i poveri in spirito”, Luca ha un discorso diretto: “Beati voi, poveri”. La formulazione è differente, sono artifici letterari, ma il messaggio è identico e, in fine, nel Vangelo di Matteo le beatitudini sono otto mentre nel Vangelo di Luca sono quattro accompagnate da altrettanti “guai a voi”.

Per comprendere il messaggio del Vangelo di questa domenica è necessario scoprire a chi sono rivolte le Beatitudini. “Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: Beati voi, poveri” (Lc 6,20). Ricordiamo ciò che è accaduto dopo la pesca miracolosa: “Gesù disse a Simone «…sarai pescatore di uomini». E tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,10-11). E’ evidente che i destinatari delle beatitudini e dei successivi guai a voi non sono le folle, ma soltanto i discepoli e, in prospettiva, la comunità cristiana. Ecco perché Pietro, Andrea, Giovanni, che non erano ricchi, ma neanche miserabili, sono considerati poveri:“lasciarono tutto ”. Non è stato un terremoto, non uno tsunami a renderli poveri, ma la loro libera scelta di seguire Gesù. Povero in senso evangelico è colui che, illuminato dalla parola di Cristo, dà ai beni il giusto valore. Non possiede nulla per sé… rifiuta l’uso egoistico dei beni, dell’intelligenza, del tempo… L’ideale del cristiano non è l’indigenza, ma un mondo di poveri evangelici, un mondo in cui nessuno sperpera, accumula per sé, ma mette a disposizione dei fratelli ciò che ha ricevuto. La promessa che accompagna questa beatitudine non rimanda a un futuro lontano, non assicura l’entrata in paradiso dopo la morte, ma annuncia una gioia immediata: “Vostro è il regno di Dio” (Lc 6,20). Uomini nuovi per un mondo nuovo. All’ultima dogana della vita dobbiamo abbandonare tutto, anche quello che con fatica abbiamo acquistato, ma se non vogliamo perdere proprio tutto e conservare parecchio dobbiamo, ora, trasformare in dono ciò che abbiamo ricevuto.

Quali le conseguenze della scelta della povertà evangelica? “Avrete fame…ora piangerete” (Lc 6,21). Queste parole di Gesù hanno un significato ben preciso. Chi si è fatto povero prova tristezza e sconforto perché, malgrado i suoi sacrifici e il suo impegno, non vede immediatamente e miracolosamente risolti i problemi dei poveri e piange, si duole di un mondo sempre più ingiusto. Ma sarà beato solo se “fedele alla scelta” continuerà a proporre la povertà evangelica. I complimenti vengono da Cristo, dagli altri persecuzioni perché il mondo antico non si rassegna a morire e l’annuncio evangelico è destabilizzante. Le beatitudini sono un grande messaggio di fiducia e speranza.

“Ma guai a voi, ricchi…” (Lc 6,24).  Nel linguaggio biblico quel “guai” è un lamento funebre. Non una minaccia, ma un amaro avvertimento: quelle dei ricchi egoisti sono scelte di morte… e “piango su di te perché tu nel mondo procuri povertà e dolore”.

Le Beatitudini proposte da Gesù hanno un fascino tutto particolare. Per sentirlo dobbiamo leggerle e rileggerle in silenziosa preghiera.

                                                                                                                                                  Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano