Sabato 8 dicembre – FESTA DELL’IMMACOLATA

«Ave Maria gratia plena» è il saluto dell’Angelo. Per i Padri della Chiesa il titolo “piena di grazia” è sinonimo di «piena di misericordia». Maria stessa lo proclama nel Magnificat: «Ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46), «si è ricordato della sua misericordia (1,54)…. La sua misericordia si estende di generazione in generazione» (1,50). Maria si sente beneficiaria della misericordia, la testimone privilegiata di essa. In lei la misericordia di Dio non si attua come perdono dei peccati, ma come preservazione dal peccato.

Oggi accogliamo l’invito pressante di Papa Francesco. L’11 settembre scorso nell’omelia a Santa Marta ho affermato: «La preghiera è l’arma contro il Grande Accusatore che “gira per il mondo cercando come accusare”. Solo la preghiera lo può sconfiggere. I mistici russi e i grandi santi di tutte le tradizioni consigliavano, nei momenti di turbolenza spirituale, – e questo è un momento assai difficile per la nostra santa Chiesa – di proteggersi sotto il manto della Santa Madre di Dio pronunciando l’invocazione Sub tuum Praesidium».

Recitiamo ogni giorno questa preghiera:

            –Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,/Santa Madre di Dio./

            -Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova,

            -ma liberaci da ogni pericolo,/ o Vergine Gloriosa e Benedetta.

 

 

Le S. Messe vengono celebrate con orario festivo 7.30-9.00-10.30-12.00-19.00.

Ore 10.30: S. Messa e Vestizione dei nuovi “Pueri Cantores”.

I bambini portano la statuina della Madonna che metteranno nel Presepio nelle loro famiglie. Le statuine verranno benedette davanti al Presepio della cattedrale, al termine della Santa Messa.

Ore 20.30: nella Chiesa di S. Pietro Martire, concerto di musica sacra organizzato dalla Associazione “Amici di don De Roia”. Canta il coro “Vos de mont” diretto dal m° Marco Maiero.

Carissimi fedeli,

mi è gradito pubblicare su questo foglietto in queste domeniche di Avvento, una riflessione di Mons. Pietro Romanello che vive nell’ambito della nostra parrocchia ed è prezioso collaboratore pastorale perché ci sostiene con la sua preghiera e, come canonico, è disponibile per ascoltare le confessioni ogni giovedì e sabato dalle 9.30 alle 11.30 in cattedrale.

Inoltre durante questo tempo di Avvento detterà la Lectio Divina sul Vangelo di Luca, ogni mercoledì sera alle ore 20.30 nella sala della casa canonica, via di Prampero,6.

È un incontro di riflessione e di preghiera, aperto a tutti, che ci prepara al S. Natale. Invito caldamente alla partecipazione. Si tratta di dedicare a se stessi un’ora di tempo, per volersi bene e per voler bene agli altri. Auguro a tutti un buon cammino di Avvento nella comunità parrocchiale di S. Maria Annunziata: ”…alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

                                                                                                                                                                                          Il Parroco Mons. Luciano Nobile

 

 

IL VANGELO DI LUCA

 

 

Carissimi, ci sono esperienze, esempi, letture….. che ti segnano la vita. Mi ha sempre affascinato “la visione profetica della storia” di Giorgio La Pira – il santo sindaco di Firenze -. In ogni situazione, occasione, vedeva la volontà ben espressa di Dio. Mi sono chiesto: «Può essere un segno profetico che in questo Anno Liturgico ci venga proposto nelle liturgie domenicali il Vangelo di Luca?» Penso di sì. L’evangelista Luca si pone con acutezza i problemi che ci poniamo anche noi: cosa significa che Cristo ci ha salvati e quale salvezza ci ha portato, se vediamo ancora tanto male in noi e intorno a noi? Come mai la storia sembra continuare ancora come prima? Perché il male c’è ancora e sembra dominare il mondo? Quale è il senso del tempo presente e delle cose – belle e buone, brutte e cattive – nei confronti del futuro definitivo dell’uomo? E potremmo continuare. In un mondo perduto, che sembra scivolare sempre più velocemente nell’abisso, egli presenta la misericordia di un Dio che, nel Figlio, è solidale con ogni suo figlio. Perché nessuno si perda, lui stesso si è perduto per incontrare tutti e ricondurli alla casa del Padre. Ora il Padre invita tutti alla festa del Figlio perduto e ritrovato, anche quelli che non ammettono di essersi perduti. La verità è che Dio è Padre di tutti e non ha figli in più, che possa buttare via o sprecare. Non abbiamo forse vera necessità di speranza e di fiducia? Luca annuncia che la chiave di lettura della nostra storia è la vicenda di Gesù: in lui si compie il futuro della salvezza aperta a tutta l’umanità. Si apre il cuore alla speranza e alla fiducia – fede; di Dio e Gesù abbiamo bisogno e ci fidiamo.

            Luca è l’evangelista che non ha incontrato Gesù, non lo ha visto. Il desiderio struggente di poter vedere Gesù lo troviamo in alcune frasi del suo vangelo: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete» (10,23). «Ma lui non l’hanno visto» (24,24). Il suo desiderio deve essere anche il nostro. Cammineremo bene assieme.

            Dante Alighieri chiama Luca «scriba mansuetudinis Christi» il suo è il vangelo della misericordia. «Diventate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (6,36) è il tema di tutto il suo vangelo. Egli vive e canta l’amore folle di un Dio innamorato dell’uomo sua creatura.

            La missione, di Gesù e quindi la nostra, è quella del samaritano (10,29-37). Egli è l’escluso perché si fa carico di ogni esclusione. Il suo cammino passa necessariamente per la via della povertà, dell’umiliazione e dell’umiltà del Figlio dell’uomo che si dona in mano agli uomini. E così vince l’egoismo che divide i fratelli. E solo così è rivelata la sapienza del Padre che è amore.

BREVI NOTE BIOGRAFICHE DI SAN LUCA

Pagano di nascita (Col 4,11), medico di professione (4,14), proveniente, secondo una tradizione, da Antiochia di Siria. L’apostolo Paolo (2, Tm 4,11) lo considera suo compagno che lo avrebbe accompagnato nel suo secondo e terzo viaggio e lo avrebbe seguito nella sua prigionia a Roma. Luca oltre al Vangelo ha scritto anche gli Atti degli apostoli.

                                                                                                                                                                      Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano

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SOLENNITA’ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO

 

Amore del prossimo e accoglienza incondizionata

Gesù testimone e maestro

 

Il concetto stesso di “prossimo” aveva connotati e definiva confini ben precisi! Gesù stesso lo sottolinea nel Vangelo di Matteo: “Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo ma odierai il tuo nemico”. Vale a dire: o sei prossimo o sei nemico, ma dove questa distinzione era predeterminata, indipendentemente dal vissuto relazionale umano: era data semplicemente da un’appartenenza: prossimo è quello del tuo popolo (calma però: solo quelli che rispondevano a certe caratteristiche e a certe condizioni).

La parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37) serve a Gesù per cominciare a mettere la cosiddetta pulce nell’orecchio, ma soprattutto nel cuore di chi lo segue. Lui prende seriamente la domanda che gli rivolge il dottore della legge: “Chi è il mio prossimo?” e racconta. C’è un disgraziato che incappa in un gruppo di delinquenti e… sappiamo cosa succede. Passano un sacerdote e un levita del tempio. Poi uno straniero. Cosa vuole farci capire Gesù rispondendo alla domanda con un racconto e un’altra domanda: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Guarda caso, “prossimo” è stato non colui che apparteneva alla stessa etnia, che condivideva la stessa fede… ma lo straniero, da un popolo di cui gli ebrei dicevano: “Piuttosto che mangiare il pane di un samaritano, meglio mangiare carne di porco” (considerato il massimo della blasfemia, un sacrilegio!) Capiamo come la domanda di Gesù è destabilizzante?!

Una domanda che “spariglia” le carte in tavola! Non ha più senso la domanda: “Chi è il mio prossimo?” ma: “Di chi decido di farmi prossimo?”. Una responsabilità immensa ci viene (mi viene) affidata. Saltano tutti i confini. La fraternità è, a questo punto, universale. È mio fratello quello di casa mia come il fastidioso zingaro di cui non so mai se tentare di fidarmi o meno. È quello che saluto ogni giorno perché la sua porta di casa sta davanti alla mia o il profugo il cui andar su e giù per via Cividale mi mette ansia.

“Di chi intendi farti prossimo? di chi sai che ti potrà essere utile in un modo o nell’altro? Oppure di chi sai che non ha niente da farti guadagnare? Il Cristo non ci dice: Guarda che se scegli questo anziché quest’altro sei fuori strada. Semplicemente vuol farci capire che, come non ci sono figli e figliastri, così non ci sono fratelli e fratellastri! Sconvolgente! Abbiamo qui i presupposti di una vera e reale trasformazione del mondo, o meglio, dell’umanità! Perché qui sta la radicalità della sua proposta ai dodici, ai discepoli, a coloro che lo seguivano e lo ascoltavano. Ma quello che lui ha proposto e propone ancora oggi a noi, suoi discepoli, è quello che lui ha vissuto, nella quotidianità della sua vita, nello scandire dei giorni là dove è concretamente vissuto, dove ha concretamente amato. Dove ha gioito e dove ha sofferto… preoccupato soltanto di mostrare il vero volto di Dio che è amore, e preoccupato di raccontare il sogno di Dio per questa sua e nostra umanità… famiglia sua e famiglia nostra. Non ci sono più confini e… non ci sono ricette! È piuttosto questione di “conversione”! Non parlo di “conversione morale” (devo essere più buono, devo comportarmi meglio in quelle determinate situazioni, devo rispettare di più mia moglie, ecc. ecc.). Parlo di “conversione di/nella fede”. Credo che abbiamo capito ancora molto poco di Dio! Credo che, nonostante Gesù non lo conosciamo ancora! Perché se imparassimo a conoscerlo come Gesù ci ha mostrato e ci mostra ancora, tutto sarebbe molto più semplice.

Perché la conversione del nostro modo di concepire (e, conseguentemente, di rapportarci con) Dio ci porterebbe alla vera e grande conversione: quella del cuore. Lo diceva già il profeta Ezechiele (o meglio Dio attraverso la voce del profeta): “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26-27). Mi verrebbe da dire: “Ma non ce l’abbiamo già il cuore di carne?”. Forse è che ci dimentichiamo di essere “creati a immagine e somiglianza di Dio”. Forse ci dimentichiamo che siamo figli suoi, che il suo DNA sta già dentro di noi. Forse dobbiamo soltanto ricordarci di ciò che siamo già, per riuscire anche a vivere quello che siamo già, dentro la quotidianità delle nostre relazioni. Credo che ci possono essere utili proprio quei termini che abbiamo preso in considerazione all’inizio, per un cammino di conversione nella nostra figliolanza nei confronti di Dio, e nella fraternità con chi incrociamo nel cammino della nostra vita:

Ascolto: un ascolto empatico! (diceva una bambina alla mamma che stava lavando i piatti: “Mamma, ascoltami”. “Certo che ti ascolto”, mentre continuava a lavare i piatti”: “Mamma, ascoltami”. “Ma ti sto ascoltando”. “Mamma, ascoltami con gli occhi!). Ascolto, il vero ascolto, è quello con il cuore!

Comprensione: il vero ascolto ci lega gli uni agli altri; il problema tuo diventa anche mio e il mio diventa anche tuo. Nessuno porta la croce di un altro, ma portarla insieme non è come portarla da soli!

Riconoscimento: ti riconosco come altro rispetto a me, ma non come estraneo; ti riconosco come fratello, come sorella. Sto accanto a te in punta di piedi, mai invadendo la tua identità e la tua intimità, nella stima e nel rispetto, in qualsiasi situazione tu ti ritrovi…

Parola: Non devo nascondere che io ho a che fare con te e tu con me; non posso né devo vergognarmi di stare dalla tua parte se sei indifeso. Piuttosto devo chiedere a Dio il coraggio di parlare insieme a te e anche in nome tuo, di esserti a fianco anche quando qualcuno ti giudica o ti emargina.

Capire questo è capire il “sogno di Dio”. Accogliere questo e farlo proprio è permettere a Dio di realizzare questo suo sogno… perché siamo finalmente suoi figli e tra noi fratelli.

                                                                                                                                                                              Don Roberto Gabassi (Moderatore del Consiglio Presbiterale)

CHI SONO IO?  CHI SEI TU?  CHI SIAMO NOI?

 Giornata Mondiale dei Poveri

 

 

 

Fragilità e vulnerabilità

……….Il dramma dell’umanità non sta tanto nella sua fragilità, quanto nel fatto che la fragilità la rende “esposta”, quindi vulnerabile. Chiunque può approfittarne. Ecco perché un qualsiasi contesto umano, una qualsiasi società ha bisogno di darsi delle regole che hanno lo scopo di porre dei limiti a chi può approfittare della fragilità altrui.

Ma vediamo che anche le regole, anche le leggi fanno esse stesse i conti con la fragilità perché sono frutto di un’umanità sempre oscillante tra la paura della sopraffazione da parte dell’altro e la voglia di emergere al di sopra dell’altro… e spesso ad ogni costo. I riferimenti al secolo 20° parlano chiaro di leggi create non per il bene comune ma per quello di una parte a scapito delle altre (pensiamo alle leggi razziali).

E così ci accorgiamo che… i conti non tornano! Anche oggi vediamo che le tante legislazioni sono strapiene di “carte dei diritti”: e quelli dell’uomo, e quelli del bambino o della donna, e quelli delle minoranze etniche o linguistiche o religiose che siano. Eppure abbiamo tutti la impressione che qualcosa (o tanto) non quadri! Perché troppo spesso la salvaguardia dei diritti di qualcuno va a scapito dei diritti di qualcun altro. Pensiamo alla famosa 184 (legge sull’aborto).

Io poi resto sconvolto quando sento parlare di altre leggi di fronte alle quali ogni essere della terra sembra inchinarsi referenzialmente: le “leggi del mercato”! E mi immagino il “grande fratello” che sa tutto, segue tutto e determina tutto! Popoli e nazioni sembrano non avere alcuna forza di fronte alle cosiddette leggi del mercato che sembrano rispondere a interessi di ben pochi a scapito del resto del mondo.

Sono rimasto scioccato quando ho sentito che, con la crisi economica degli scorsi anni il numero dei ricchi in Italia, anziché diminuire, è cresciuto di 22 mila unità. Ma allora la crisi per chi c’è stata?

Come sono rimasto stordito dalla notizia che gli 8 uomini più ricchi al mondo possiedono quanto possiedono i 3 miliardi di persone più povere (un terzo dell’intera umanità).

Noi viviamo in mezzo alla fragilità, viviamo la fragilità della nostra stessa società, che diciamo evoluta, ma dove vediamo intere categorie che sembrano escluse! Basta avere un cognome che dice una precisa appartenenza e il lavoro non si trova. Basta dire che sei in attesa di un figlio e il lavoro, se ce l’hai, rischi di perderlo. Se non sei funzionale al sistema non hai prospettive! Guardiamo a come la nostra politica gestisce la grande questione dell’immigrazione dove sembra che il problema si riduca al decidere se tenere aperte o chiudere le frontiere, piuttosto che capire (e ammettere) le cause storiche (ma anche quelle ancora attuali) che stanno determinando questa movimentazione di milioni e milioni di persone.

Si ha l’impressione, almeno guardando la storia, che non ci siano molte speranze… a meno che…

Caritas e ascolto nell’Antico Testamento

… a meno che non ci sia la disponibilità a porsi seriamente una grande domanda: o meglio due domande che in realtà sono le due facce della stessa medaglia: Chi sono io? Chi è quello che mi sta di fronte? Una domanda a cui non può non rispondere ciascuno di noi. È – essenzialmente – il tentativo delle tante “religioni” che vogliono aiutare ad offrire risposte di senso piuttosto che soluzioni meramente funzionali ad un sistema. Ci riescono? Non ci riescono? Credo non sia così facile rispondere.

Noi siamo figli della cultura e della fede ebraica. Anche noi figli di Abramo, come gli ebrei e come i musulmani (Poi si può anche discutere chi ha per madre Sara o Agar!). Perché siamo i discepoli di un ebreo che non intendeva fondare un’altra religione ma portare a pienezza di senso di quella che lui stesso aveva fatta propria e vissuta fino in fondo… È proprio dentro quel contesto culturale e religioso che dobbiamo guardare a Gesù – Colui che noi accogliamo come piena rivelazione di Dio ma anche come piena rivelazione dell’uomo!

Lui stesso era stato educato (prima di portare a pienezza il senso di questa identità) nella prospettiva della paternità (ma anche della maternità, e ancora della nuzialità) di Dio. Di conseguenza era stato educato anche a quello di fraternità. Perché il Dio d’Israele si rivela come il Signore e Padre del suo popolo, che dà al suo popolo “Parole” di vita e per la vita. E in queste parole di vita chiede al suo popolo di fidarsi di lui ed esclusivamente di lui, e di rapportarsi con quelli del proprio popolo nel pieno rispetto dell’altro, della sua vita, delle sue relazioni, delle sue cose.

I testi del Levitico e del Deuteronomio sono la descrizione di un progetto dentro il quale è escluso ogni tipo di sopraffazione nei confronti del “prossimo”. Ed è interessante vedere come sia presente – nella legislazione mosaica – l’attenzione alle categorie che oggi potremmo definire “a rischio”: i poveri (anawim).

Pensiamo alla grande intuizione dell’anno sabbatico, che ogni 50° anno prevedeva la restituzione delle proprietà confiscate a chi non era in grado di pagare i propri debiti. Pensiamo alla proibizione, nei confronti dei proprietari di terreni coltivati, di andare a spigolare dopo la mietitura, al fine di permettere ai poveri di poter raccogliere qualcosa che li aiutasse a sopravvivere. Pensiamo all’attenzione richiesta nei confronti degli orfani e delle vedove che non erano in grado, data la morte del capofamiglia, di provvedere al proprio mantenimento. Ma pensiamo anche al forestiero, la cui presenza era considerata sacra. Nel forestiero era Dio stesso che si presentava: l’accoglienza, l’ospitalità al forestiero bisognoso era accoglienza e ospitalità nei confronti di Dio. Pensiamo ancora all’impegno di restituire, prima della notte, il mantello preso in pegno… perché è la coperta del povero. E potremmo continuare.

Però credo che possiamo dire – pur nel pieno rispetto di una cultura religiosa sicuramente “progredita” rispetto quelle circostanti e che trovava nell’unicità di Dio la propria forza – che si trattava ancora di un “sistema etnico, culturale e religioso” mirante all’autodifesa e all’autoconservazione (la storia successiva del popolo ebraico ce lo dimostra).

Gesù si pone come vero “spartiacque” tra la concezione di Dio che è “Padre”, ma fondamentalmente soltanto del “popolo che si è scelto come sua eredità” (pensate come anche certe espressioni dicono la profonda convinzione dell’ebreo!) ma solo “Signore” (potremmo dire anche “patrigno”) di chi ebreo non era, e la concezione di Dio Padre di ogni uomo e donna della terra dove non esiste più una separazione tra figli e servi, o tra figli e figliastri.                                                                                            don Roberto Gabassi

(continua)

 

Carissimi,

domenica scorsa entrando in chiesa, una persona, incontrandomi, mi ha detto: ”Vediamo cosa ci ha scritto questa settimana il nostro Parroco!” Mi ha fatto piacere sentire questo interessamento, forse guidato anche da un pizzico di curiosità, per il messaggio domenicale. Non so se tutti coloro (circa 450) che prelevano questo foglietto alle uscite della chiesa, poi abbiano anche la pazienza di leggerlo. Però ho la fiducia che ciò avvenga, e vi dico ancor di più, spero che portando a casa questo messaggio domenicale, qualche altra persona della famiglia lo prenda tra mano e lo legga. Se questo avviene, sono doppiamente felice perché la parola si diffonde, la parola crea sentimenti, la parola interpella, la parola forma mentalità e guida anche il nostro agire. E poi il fatto che voi leggiate, mi incoraggia e mi ripaga della gioiosa fatica settimanale dello scrivere. Sì, per me è una fatica gioiosa perché mi dà la possibilità di comunicare con tante persone che altrimenti non incontrerei in altro modo. In queste domeniche però ho voluto cedere la parola ad un confratello che recentemente ha tenuto una meditazione agli operatori che si stanno formando in vista della costituzione di un Centro di Ascolto Interparrocchiale nella nostra città.

Mi è sembrata densa di significati, pur nella sua semplicità. È coinvolgente. Per questo gli ho ceduto volentieri il posto, anche perché voi possiate godere di una voce nuova ed efficace. Nella speranza che anche voi ne traiate beneficio, vi invito ad una lettura attenta e costante in queste domeniche.

Invio un cordiale saluto a tutti.                                                                                             Il parroco don Luciano

 

SAPPIAMO ASCOLTARE?

 

 

  • Ascoltare, comprendere, dire, riconoscere sono 4 verbi che meriterebbero ore intere di riflessione: 4 verbi che “segnano” quella che dovrebbe essere la nostra relazione con l’altro da me, la persona (le persone) con cui mi relaziono nella quotidianità.

  • Si dice che nessun uomo è un’isola! Ognuno di noi è parte di un arcipelago dove ciascuno è collegato all’altro da un qualche ponte (o così dovrebbe essere!). E credo che ciascuno di noi sia ben in grado di rendersi conto di che materiale siano fatti i propri ponti (ogni riferimento è puramente… causale).

  • Ci basterebbe una domanda per aiutarci a prenderne coscienza (e la prendo utilizzando proprio uno dei 4 verbi di cui sopra): “Esiste o non esiste una disponibilità all’ascolto dell’altro?” Non è una questione… acustica! È una questione di cuore! “I care!”: “Mi prendo a cuore!”. È disponibilità a mettersi nei panni dell’altro. Usiamo un altro termine: è questione di “incarnazione”! Ascoltare è tutto questo. Mettersi in ascolto dell’umanità; mettersi in ascolto dell’altro è vocazione umana, è vocazione di ogni uomo e di ogni donna di questa terra! Prima ancora che vocazione cristiana.

  • Senza questa disponibilità a mettersi “in ascolto” dell’altro, dell’umanità concreta con cui abbiamo quotidianamente, direttamente o indirettamente a che fare, non è possibile “comprendere” (ecco un secondo termine che esprime la relazionalità) che, come si evince dal termine stesso, significa: “prendere insieme”, condividere. Non azione puramente intellettuale, ma, anche in questo caso, profondamente affettiva. Termine che dice anche la non esautorazione dell’altro rispetto al proprio vissuto, la non deresponsabilizzazione; ma l’assunzione condivisa di situazioni, problemi, difficoltà! Affrontiamo insieme la vita con tutto ciò che ci presenta! Non l’affronto io al posto dell’altro, né l’altro al posto mio. Ma insieme!

  • C’è un terzo termine che mi è stato affidato: “dire” l’umanità. Mi sono domandato cosa mi stesse chiedendo chi me lo ha affidato. Nella logica dei miei pensieri credo significhi saper guardare in faccia questa umanità: questa umanità che sono gli altri ma che sono anch’io con gli altri e tra gli altri. Credo significhi non aver paura di guardare la grandezza, le potenzialità, i sogni, le speranze… ma anche le paure, i fallimenti, le contraddizioni, i tradimenti…, personali, di gruppo, sociali, etnici, nazionali, universali…

  • Ed in questo senso si può realizzare anche un “ri-conoscimento”, ossia un conoscere – in modalità nuova, rinnovata – l’altro da me in un atteggiamento di accoglienza: non estraneo, tanto meno avversario, ma almeno “compagno di viaggio”.

  • È questo che permette di fare propri i dolori e le gioie dell’altro… e permette anche di “diventare voce di quella umanità che non ha voce” per farsi sentire nella propria fatica di vivere!

  • Qui facciamo un altro passaggio. (continua)

                                                                                                                                                             Don Roberto Gabassi  Parroco del S. Cuore, di Gesù Buon Pastore, di S. Gottardo

UNA VOLTA C’ERA PIU’ SOLIDARIETA’ ?

 

 

Carissimi parrocchiani,

da tempo stiamo cercando di far nascere un Centro di Ascolto Interparrocchiale al fine di effettuare un intervento più efficace nella crescita di coloro che fanno fatica a vivere o comunque hanno bisogno di un accompagnamento da parte nostra.

Certamente possiamo operare da soli ma insieme possiamo essere più efficaci ed aiutarci e sostenerci nei momenti di scoraggiamento e di difficoltà.  Sono tante le fragilità che segnano la vita di tante persone. Non intendiamo trovare soluzioni immediate per tutte le situazioni ma desideriamo metterci a fianco delle persone per condividere un cammino insieme.

Tempo addietro, da questo foglietto abbiamo fatto appello ai volontari perché possano offrire la loro competenza e un po’ tempo. Ha risposto una quindicina di persone. Abbiamo iniziato un cammino assieme alle parrocchie del centro e della zona ovest della città con una riflessione proposta da don Roberto Gabassi, parroco del S. Cuore, di Gesù Buon Pastore e di S. Gottardo. Domenica scorsa abbiamo parlato di solidarietà con i vivi e con i morti. Vogliamo continuare la riflessione pubblicando, per alcune domeniche, questo intervento che ci sembra appropriato per la crescita delle nostre comunità nell’amore di Dio e del prossimo. Nella speranza che sia gradito ed efficace, lascio al mio confratello D. Roberto la parola.                                                                                                                                                                                                    Don Luciano, parroco.

 

 

 

“Ed eccomi qua, grato appunto, per la fiducia che mi viene accordata e per l’occasione che mi avete offerta di riflettere ulteriormente su una “dimensione” (chiamiamola così) essenziale del nostro essere cristiani. Anzi (mi permetto di dire) – ancor prima del nostro essere cristiani – del nostro essere donne e uomini inseriti, responsabilmente, in un determinato contesto umano, in un ben preciso contesto sociale.

Quello che provo a condividere con voi non viene da una mia “specializzazione” nel settore. Non mi occupo in maniera specifica di “problematiche sociali”, di “economia” o di “questioni del mondo del lavoro”… Non dedico tempo a leggere libri o riviste specializzate…

Mi ritengo semplicemente un cristiano che tenta, con le sue fatiche, di capire cosa significhi vivere il più coerentemente possibile la propria fede in Gesù Cristo! Tanto più che – il sottoscritto – sa di avere una grande responsabilità in quanto presbitero (in quanto anche parroco): quella di cercare di esser riferimento per la comunità dei credenti in Gesù.

Condivido quindi con voi quello che tento di coltivare dentro di me, sapendo che spesso mi ritrovo anch’io con una infinità di domande, e spesso senza risposte se non quella (che sento venirmi dal Cristo) di cercare di avere il cuore libero e di mettermi in ascolto senza pregiudizi.

Sappiamo che sono tre i pilastri che sostengono la vita cristiana (la vita di un cristiano)

    • L’annuncio del vangelo di Gesù Cristo (formazione permanente)

    • L’esperienza liturgico – celebrativa con al centro l’Eucaristia

    • La testimonianza della carità, ossia la quotidianità vissuta nello stile di Gesù, nello stile delle sue relazioni, del suo rapportarsi con le persone e con le cose.

Ma sappiamo anche quanta fatica facciamo a mettere insieme ciò che accogliamo nell’annuncio e ciò che celebriamo nella liturgia, con la quotidianità della nostra vita. Come se la fede, proclamata e celebrata, spesso non centrasse granché con le nostre scelte quotidiane.

Cosciente che questa fatica la viviamo tutti (anch’io devo fare i conti con le mie fragilità), credo tuttavia che ciò che ci manca sia un serio esame di coscienza sul nostro essere cristiani e sul nostro vivere da cristiani. Lo diamo troppo per scontato, dimentichiamo che si tratta di una scelta da verificare e da rinnovare quotidianamente.

La storia ci ricorda (e spero che anche ci insegni qualcosa) che le contraddizioni più palesi ci stanno dentro tutte. Io mi meraviglio, ad esempio, quando sento rimpiangere la fede del passato. Di quale passato? Ovviamente noi ricordiamo il ‘900. Ma dimentichiamo che il ‘900 è stato il secolo degli immensi disastri umani. Dimentichiamo che il ‘900 ha visto ben due guerre mondiali nate e cresciute nell’Europa cosiddetta cristiana. Dimentichiamo che l’Europa cristiana ha permesso il proliferare di due “bestialità” (permettetemi che le chiami così, con pieno rispetto nei confronti del mondo animale) quali il nazismo (una ventina di milioni di morti nella dittatura nazista e in quelle al nazismo ispirate ancora nei paesi cosiddetti cristiani (pensiamo al SudAmerica); e quali il comunismo reale (una novantina di milioni di morti).

Sento dire: una volta c’era più solidarietà! Tra chi? Tra cristiani? Tra cristiani e non? O semplicemente tra poveri!!! Solidarietà tra coloro che probabilmente vivevano una fede rassegnata. Convinti che la situazione vissuta, le differenze sociali, le sperequazioni di ogni genere… e il dolore fossero sempre e comunque volontà di Dio!!!

Non credo esista un’epoca ideale a cui guardare nel tentativo di vedere realizzato il sogno (e progetto) di Gesù. “Amatevi tra di voi come io ho amato voi; io che ho dato la mia vita per voi!”. Neppure la prima comunità di Gerusalemme descritta da Luca negli Atti degli Apostoli. Tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che Luca, piuttosto che descrivere una realtà in atto, abbia voluto tracciare un progetto per le prime comunità cristiane, progetto che già allora i cristiani facevano fatica a fare proprio.

Perché amare come ci ha amati il Cristo, fino al dono della vita, non è sicuramente un dato scontato, semplicemente perché abbiamo deciso di avere a che fare con lui. Pensiamo ai discepoli stessi (domenica scorsa): “Maestro, vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiediamo”. Anche loro hanno fatto i conti con una fede… “utilitaristica”, dove c’è qualcosa da guadagnare, non sicuramente da perdere.”                                                                                                                               Don Roberto Gabassi

(continua)

 

PREGHIERA

 

 

Signore Gesù, che hai condiviso le sofferenze di ogni uomo e ogni donna,
ti affidiamo le sorti della nostra società ed in particolare di coloro che vivono la precarietà
e la mancanza di un lavoro.

Aiutaci a comprendere la necessità di vivere nella logica della solidarietà
che ha la sua origine nel vedere i dolori del mondo.

Rendici persone attente ai bisogni dei nostri fratelli
solidali nella condivisione delle risorse e nel sostegno
concreto a chi è nell’indigenza.

La preghiera d’intercessione per chi soffre e l’aiuto fattivo
a chi è nel bisogno sono due modi di vivere l’unico
amore che Tu ci hai insegnato.

“Il Signore ama chi dona con gioia”:
rendici capaci di donarci con generosità e senza riserve.

Amen

Giovedì 1° novembre: Solennità di tutti i Santi

Le SS. Messe sono celebrate secondo l’orario festivo.

Ore 10.30: S. Messa in Cattedrale presieduta dall’Arcivescovo. Canta la Cappella Musicale.

Ore 15.00: Canto dei Vesperi presieduto dall’Arcivescovo nel cimitero di S. Vito, benedizione delle tombe.

 

Venerdì 2 novembre: Commemorazione dei Fedeli defunti

SS. Messe:

Cattedrale: Ore 7.30 e 19.00 (Arcivescovo – Canta la Cappella Musicale).

Chiesa di S. Giacomo: Ore 10 – 11.00.

Inizia l’Ottavario di preghiere per i defunti con la recita del S. Rosario alle 17.00 cui segue la S. Messa alle 17.30.

Cimitero di S. Vito: Ore 10.30 e 15.00.

 

 

L’INDULGENZA PLENARIA

 

 

Indulgenza plenaria

 

 

E’ possibile ottenere l’indulgenza legata alla commemorazione di tutti i defunti, il 2 novembre,  mediante: visite alle tombe, celebrazione Eucaristica, visita a una Chiesa. Si può ottenere l’indulgenza plenaria a partire dal mezzogiorno del 1° novembre fino a tutto il 2 novembre. Si può ottenere una sola volta ed è applicabile solo ai defunti. Visitando una Chiesa, si reciti almeno un Padre nostro e il Credo. A questa si aggiungono le tre solite condizioni: Confessione, Comunione, preghiera secondo le intenzioni del Papa (Pater, Ave, Gloria). Queste tre condizioni possono essere adempiute anche nei giorni precedenti o seguenti il 2 novembre. Nei giorni dall’1 all’8 novembre chi visita il cimitero e prega per i defunti può lucrare una volta al giorno l’indulgenza plenaria, applicabile ai defunti, alle condizioni di cui sopra.

“ESCE DAGLI OCCHI”

 

 

“Sig. Parroco, basta con questa solidarietà! È ora di finirla! Abbiamo capito. Ci esce dagli occhi”.

“È vero, signora, anch’io sarei stanco di parlarne… ma non posso e non devo esimermi, perché tento di essere cristiano, come lei, e sono ministro dell’Eucaristia che mi interpella ogni giorno sul dono della vita. Perché Cristo ha fatto proprio questo: Si è incarnato, ha condiviso e condivide con noi la vita. Ci indica questa strada che è la via della felicità. Anche a me ormai “esce dagli occhi” il richiamo alla solidarietà… il fatto è che “mi dovrebbe uscire dal cuore”, non per dimenticarla perché mi dà fastidio, non per liberarmene come fosse un disturbo, ma perché, uscendo dal cuore, diventi testimonianza appunto cordiale, fattiva, pratica”.

Carissimi, era solo l’inizio di un discorso molto semplice e incompleto sulla solidarietà. Tutti facciamo fatica quando parliamo dell’amore, ma è il prezzo che l’egoismo ci fa pagare. La croce del venerdì santo è già contemplata sulla strada dell’amore. Ma ogni gesto solidale è un segno vero, reale della Pasqua. La solidarietà fa parte della natura delle cose, della vita delle persone, adesso e domani. Intendo un domani definitivo, che tutti attende.

Siamo fatti per essere solidali, oggi e sempre. Vedete in natura, cosa succede nell’alternarsi delle stagioni? Il chicco di grano seminato nel solco, muore per dar origine ad una spiga, la stessa foglia che in autunno cade a terra diventa nutrimento per l’albero da cui si è staccata.

In famiglia, cosa è accaduto quando siamo nati? Qualcuno ci ha accolti e poi accompagnati con amore nella vita perché noi potessimo crescere. I nostri genitori sono stati solidali con noi. Certamente. È naturale. Sì, è proprio naturale. Sì, la solidarietà è secondo natura.

Siamo diventati cristiani, figli di Dio perché il Signore ci ha toccati con la sua misericordia nel giorno del Battesimo, è stato solidale con noi, ci ha offerto la sua natura. Siamo cresciuti nella vita cristiana perché siamo stati accompagnati dalla chiesa che è famiglia di famiglie, popolo di Dio in mezzo al quale viviamo, essendo membri di esso. La chiesa è solidale con noi.

Ed allora perché non dovremmo essere solidali noi con gli altri?  Dovrebbe essere naturale.

Conosco la generosità di tante persone e non posso che elogiarle. Lo stile di vita del Signore Gesù, di tanti santi riconosciuti come tali, di innumerevoli santi che camminano sulle nostre strade ci è di esempio. Li possiamo imitare. Le strade della solidarietà non si contano, le occasioni non mancano, sono interventi spiccioli, individuali che nessuno conosce e quelli pubblici ed organizzati.

È dopo la morte? Vengono spezzati questi legami di solidarietà?

La morte non spezza questi legami. Ormai Cristo, che è solidale con noi, ci ha comunicato la sua vita di risorto.  È vita eterna. È relazione con la Santa Trinità. È grazia. È vita divina. È legame con Dio che è eterno, infinito. È secondo la sua natura. E noi siamo già risorti con Cristo. Per sempre viventi. Per sempre solidali con i fratelli, attorno a Colui che è il “Solidale” con tutti i suoi fratelli che siamo noi.

Sono affermazioni facili a dire e a scrivere. Difficili a credere e a vivere? Fanno parte del mistero della vita e della morte. Non ci resta che aprire il cuore a Colui che è l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine. È la morte della morte: “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno” (Vangelo). È l’ultima parola perché Egli è la Parola.

Come possiamo manifestare la nostra solidarietà con i nostri cari defunti? Crediamo nella “Comunione dei Santi” come diciamo ogni domenica nel Credo che insieme recitiamo. La chiesa ci invita a pregare per loro, a celebrare la S. Messa di suffragio, a compiere opere di carità. Loro pregano per noi. Questa comunione è ancora scambio di doni, è amore che intercorre tra noi e loro. È solidarietà. Allora vedete che non si può dire mai: è ora di finirla, basta, ci esce dagli occhi.

È vita che ci esce dal cuore ed ha il sapore della gioia, della felicità, dell’eterno e dell’infinito.

Ma non è questo che noi desideriamo per noi e per i nostri cari? Una vita senza fine. Oggi e domani.

Mi unisco anch’io alla vostra preghiera per tutti i vostri cari, diversi dei quali ho accompagnato nel camposanto in attesa della risurrezione finale.

                                                                                                                                                                                                                   Il Parroco don Luciano Nobile

 

 

 

IO NON SO….

 

 Io non so né il giorno, né l’ora, né il modo, ma ho la fede nella tua promessa.

Morti al peccato grazie al dono della tua vita, noi risusciteremo dai morti,

rivedremo coloro che abbiamo amato, con loro vivremo della tua vita divina.

Oggi siamo già riuniti nella comunione dei Santi.

Signore, ti preghiamo per i morti: accoglili nel tuo amore.

Ti preghiamo per i viventi: fa’ che camminino verso la tua luce.

(Philippe Warnier)

SANTO NATALE 2018

SABATO 22 DICEMBRE

MATTINA  ore 9.30 11.30

Mons. Pietro Romanello

Mons. Gianpaolo D’Agosto

POMERIGGIO  ore 16.00 – 18.30

Mons. Giuseppe Peressotti

Don Maurizio Stefanutti

DOMENICA 23 DICEMBRE

MATTINA  ore 7.30 – 10.00

Mons. Luciano Nobile

POMERIGGIO  ore 16.00 – 18.30

Mons. Antonio Castagnaviz

Mons. Sandro Piussi

Don Maurizio Stefanutti

LUNEDI’ 24 DICEMBRE

VIGILIA DEL S. NATALE

MATTINA  ore 9.30 11.30

Mons. Ottavio Belfio

Mons. Antonio Castagnaviz

POMERIGGIO  ore 16.00 – 18.30

Mons. Sandro Piussi

Mons. Giuseppe Peressotti