Il presepe nelle chiese di S. Giacomo e S. Pietro martire

Praesepae dal latino “recinto chiuso” e “greppia”. E’ questa l’etimologia della parola latina con cui, tradizionalmente, identifichiamo la rappresentazione della Natività. Fu San Francesco d’Assisi il primo che, nel Natale del 1223, volle dare concretezza tangibile alla nascita di Gesù, allestendo a Greccio quella che in seguito sarebbe divenuta la tradizione natalizia più radicata del mondo cristiano. Fin da bambini ci siamo lasciati stupire dalle figure dei pastori, dalle greggi di pecore, dagli abiti di foggia orientale dei Magi che suscitavano quell’atmosfera calda e familiare che sempre emana il presepe. Entrando, in questo periodo di festività, nelle chiese di San Giacomo e San Pietro martire tale atmosfera ci assale e ci avvolge nuovamente, ci fa venire voglia di tornar bambini.

Le rappresentazioni della Natività (allestite come ogni anno dalle sapienti e fantasiose mani del sacrista Fabio Viola che ha coinvolto anche me nell’opera) sono il miglior modo per meditare visivamente il Mistero dell’Incarnazione. L’occhio si sofferma sui dettagli, numerosissimi, che attraggono l’attenzione di adulti e bambini: il ruscello gorgogliante, le montagne scure, gli alberi spogli, il fuoco che arde sotto le piccole luccicanti stoviglie di rame. Esse, però, non sono sufficienti a distogliere l’attenzione dal centro, dal nucleo fondamentale: la Sacra Famiglia. E’ lì, sotto una capanna fatta di tronchi, a mostrare tutta la semplicità e la precarietà di quella lontana Notte, che il Bambino Gesù è stato adagiato sul caldo fieno e si mostra quale è: umile neonato e Salvatore del mondo. Ecco che allora il presepe diviene un vero e proprio altare dove non v’è spazio per raffinati richiami e simbolismi, ma semplicemente il luogo in cui il Re della Pace si lascia adorare dai semplici. E noi diveniamo come quei pastori, stupefatti e gioiosi di fronte al Dio fatto Uomo. In questo nostro tempo di pandemia, in cui l’angoscia e l’incertezza per la salute sono messe a repentaglio e, per un futuro ricco di incognite, sembrano aver fagocitato tutti i nostri pensieri, il presepe delle nostre chiese ci trasporta in una dimensione senza tempo, dove le dolorose vicende attuali per un istante spariscono e nel cuore resta solo lo spazio per lo stupore e la gioia per il grande evento della nostra Salvezza. E allora, davanti al presepe, sorgerà ancora spontaneo nell’anima quel canto che, sulle note del responsorio della nostra tradizionale novena friulana, ci farà esclamare con rinnovata commozione: “Et homo factus est: venite adoremus”.                                             Filippo Cocconi

 

MYSTERIUM

 

Dio vuole che tutti siano salvi

In questi giorni, chi entra in cattedrale dalla porta a destra, subito si imbatte in un angelo fortemente illuminato che indirizza alla contemplazione del Mysterium, cioè del progetto di Dio, realizzato in un Bambino. Ma non si comprenderebbe se alle spalle dell’angelo non fosse collocato un grande Crocifisso che ci  ricorda il dono di un amore infinito. La Pasqua è il compimento del Mysterium, da cui nasce anche il Praesepium. È la luce pasquale che dà senso alla scena che si apre al nostro sguardo. I nostri occhi, illuminati dalla Pasqua di Resurrezione, ora si rivolgono a Gesù che riposa sul grembo di Maria, mentre Giuseppe osserva, vigile e pacato.

La modesta abitazione segna subito il contrasto tra i termini altisonanti con cui è stato annunciato “sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo” e la realtà che appare ai nostri occhi: povertà, nudità e fragilità umana. Ma Egli viene con la potenza di Dio. La divinità si sposa con l’umanità.

Le rocce di una grotta, aperta su quattro lati, lasciano scorgere la famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. In quella povertà vedo la precarietà dell’uomo, intimorito dalla pandemia, minacciato nella sua vita fisica, sociale e culturale. L’uomo rivela la sua debolezza ma anche la sua grandezza, non si rassegna al male,  è spinto a lottare, scopre forze che stanno nella sua natura e cerca salvezza. La scienza gli viene incontro. Dona speranza. Ma l’uomo sarà di nuovo minacciato, perché il tempo e la sua fragile natura lo avvolgono. Riprenderà la sua ricerca di salvezza. A questo uomo, ferito ed impaurito, viene incontro il Bambino che gli rivela ed offre una salvezza totale, completa. È il Salvatore.

I pastori poveri e ladri si incamminano verso la grotta. Gerusalemme neppure appare sullo sfondo della scena perché non è interessata e non attende salvezza. I Re Magi si attardano all’ombra ristoratrice della loro scienza, ricca di conoscenze. Proseguiranno il cammino per entrare in una conoscenza che va aldilà del loro sapere. Hanno l’umiltà di proseguire nella loro ricerca, lasciandosi illuminare da una luce misteriosa.

La stella brilla in alto. Chi la vede, si orienta nella vita, legge la storia e l’esperienza religiosa con uno sguardo più acuto. Vede ciò che i profeti hanno annunciato e visto solo da lontano.

L’ingresso al Presepio sembra essere sbarrato da un basso steccato di legno contorto, fragile, rabberciato, povero, legato insieme, ad indicare che facilmente si supera, anzi offre due aperture che lasciano intuire l’ingresso da strade diverse che portano all’unica salvezza, poiché tracce della sua luce, la luce di Cristo, sono presenti anche in altre esperienze di fede. E si tratta ancora dell’unico Mysterium, progetto di Dio che ama tutti gli uomini e vuole che tutti si salvino.

Un Natale difficile

Stiamo andando verso un Natale difficile.

Non è una novità. Il Natale è per natura difficile. Il primo Natale difficile è stato per Lui, Gesù, nella precarietà e nella incertezza.

Noi veniamo da anni di esperienze natalizie privilegiate e ci siamo convinti che il Natale possa essere solo così, come l’abbiamo vissuto in questi anni. È il Natale dell’occidente. Ma non è stato e non è così dappertutto. Forse siamo cresciuti con una mentalità per cui non abbiamo mai pensato al Natale come ad un appuntamento con la fragilità ed il disagio.

Eppure quest’anno abbiamo incontrato tante difficoltà. Non mancano e non sono mancate le esperienze faticose.

Penso alla scuola. Forse i disagi patiti hanno aiutato a cogliere la sua importanza per la crescita dei ragazzi e dei giovani. Anche essi se ne sono accorti. Forse viene rivalutata anche la fatica che richiede. Può accendere la fiducia nel futuro.

Penso alle relazioni, mortificate da modalità impersonali e virtuali alle quali ci eravamo facilmente abituati. Ci accorgiamo di aver bisogno di incontri veri, concreti, sensibili, amicali, affettuosi.

Penso al catechismo, da tanti delegato completamente alla parrocchia.  Forse infruttuoso. Ora è sospeso. Ma chiama in campo la famiglia che con la sua testimonianza educa alla vita cristiana, vita che deve crescere, svilupparsi concretamente.

Penso alle difficoltà che si aprono nel mondo del lavoro. Povertà e ricchezza dovrebbero impastarsi insieme, per una vita più sobria e dignitosa per tutti.

Quest’anno è un Natale che ci richiama al Natale che tanti popoli hanno vissuto e vivono anche oggi. Ma forse noi non ci avevamo mai badato. Ci siamo accontentati di luci, violini, musiche.

Non rinneghiamo la bellezza e l’emozione del Natale ma vogliamo andare oltre. Il presepio ci spinge verso il punto focale della chiesa: l’altare. È la mensa e l’ara della vita gratuitamente donata, totalmente realizzata. Per chi ci crede. Grande Mysterium. D’altronde anche l’uomo è un Grande Profundum (S.Agostino).

Sorelle e fratelli, ringrazio tutti i collaboratori per il loro prezioso servizio, Mirella Canciani e Lorenzo Chiavone che hanno allestito il Presepio anche quest’anno con fantasia, fede e arte.

Auguro a tutti, anche a nome dei sacerdoti della parrocchia e di tutti i gli operatori pastorali, di stare coi piedi per terra e con lo sguardo rivolto verso l’alto. Da Dio viene la forza del cammino. “Fratelli tutti”. Per la gioia di tutti.

Cordialmente.                                                                                                                     Il Parroco Luciano Nobile

“GAUDETE”

Carissimi,

          la terza domenica di Avvento è nota come la domenica della gioia. Il Signore è la fonte della nostra gioia che è fondata sulla sua presenza in mezzo a noi. La sua presenza è garantita a noi, la sua gioia non può essere annullata dalle nostre incertezze, dalle nostre storie personali e collettive. Ne è testimone Giovanni Battista che prepara la strada a Gesù, venuto a portare la salvezza nel mondo. In questa cornice creata dalla Parola del Signore di questa domenica trova spazio una notizia che oggi vi comunico. La prima domenica di Avvento, all’inizio delle SS. Messe ho presentato in cattedrale don Lawrence, che l’Arcivescovo ha affidato a noi. È giusto che, tramite questo foglietto domenicale, gli porga il benvenuto anche a nome dei parrocchiani e dei fedeli che frequentano la chiesa di S. Giacomo e di S. Pietro martire o comunque fanno riferimento alla nostra parrocchia. Un sacerdote che viene in mezzo a noi è sempre una ricchezza ed una grazia per tutti, perché celebra i sacramenti della nostra salvezza, trasmette la Parola di Dio, incontra tante persone che possono trovare in lui accoglienza cordiale e gustare l’amore del Buon Pastore che è Gesù. A questo tende il ministero pastorale: accompagnare le persone e farle incontrare con Gesù, Figlio di Dio. Per quanto gli permetterà la sua salute, condividerà il servizio pastorale nella nostra parrocchia e, in caso di necessità, anche nelle altre parrocchie della città. Per il tempo che resterà tra di noi gli auguriamo di sentirsi a suo agio, godendo della nostra amicizia e della nostra stima.                                                                                       Il Parroco don Luciano.

 

Martedì 15 dicembre inizia la Novena del S. Natale col Canto del MISSUS:

Ore 10.00 nella Chiesa di San Giacomo con la celebrazione della S. Messa.

Ore 19.00 nell’Oratorio della Purità con la celebrazione della S. Messa.

 

UN CORDIALE INVITO

 

In occasione delle prossime Feste Natalizie siamo invitati a celebrare il Sacramento della Riconciliazione. Siamo pregati di approfittare durante questa settimana per non affollare i confessionali alla vigilia del S. Natale e correre il rischio di celebrare questo sacramento con fretta e superficialità.

Chiesa di San Giacomo

Don Giulio Gherbezza confessa ogni giorno dopo la S. Messa delle ore 10.00.

Cattedrale: Mattina ore 9.30 – 11.30; Pomeriggio ore 16.00-18.30

Lunedì: matt. don Lawrence Gyamfi – Pom. Mons.Sandro Piussi.

Martedì: pom. Mons. Sandro Piussi.

Mercoledì: matt. don Lawrence Gyamfi.

Giovedì: matt. Mons. Giuseppe Peressotti.

Venerdì: matt. don Lawrence Gyamfi – pom. Mons. Gianpaolo D’Agosto.

Sabato: matt. Mons. Gianpaolo D’Agosto – pom. Mons. Giuseppe Peressotti.

Domenica: matt. 7.30-10.00 e pom.18.00-19.00 Mons. Luciano Nobile.

 

AVVISO AI BAMBINI

Siete invitati a ritirare nella sacrestia del Duomo i dischetti da appendere all’albero di Natale della piazza con i vostri pensieri e auguri. Inoltre ritirate anche la cassetta per l’offerta da destinare ai bambini sordi delle Filippine e da riportare dopo il Natale, il giorno della benedizione dei bambini.

Cari fratelli e sorelle,

          mi chiamo don Lawrence Gyamfi e vengo dal Ghana, dove si parla l’inglese ed il Twi.  Sono nato in una numerosa famiglia dell’Africa. Ho sette fratelli, io sono il settimo e ho 45 anni. I miei genitori, da qualche anno, sono tornati alla casa del Padre e così pure il mio primo fratello, che era prete e professore di sociologia nel nostro seminario regionale.

Appartengo a una diocesi di nome Obuasi e sono stato ordinato presbitero il 4 dicembre 2004. Ho svolto il mio servizio pastorale come vicario parrocchiale e per alcuni anni sono stato segretario del mio vescovo, il quale nel 2014 mi ha mandato a Roma per studiare e specializzarmi in filosofia, perché il nostro seminario regionale aveva bisogno di un docente di questa materia. Grazie a Dio, ho completato i miei studi conseguendo la laurea e poi il dottorato in filosofia nel giugno di quest’anno. Ero impegnato nella pubblicazione della mia tesi quando mi è stata diagnosticata una insufficienza renale cronica, una malattia che colpisce tante persone nel Ghana. Ho iniziato le cure a Roma che sono continuate fino alla pubblicazione della tesi su: “ONTOLOGICAL CONCEPT OF EMERGENCE AND THE SCIENCE AND FAITH ENCOUNTER IN PHILIP CLAYTON (Concetto antologico dell’emergenza e dibattito scienza-fede in Philip Clayton)”.

Non c’è la possibilità di curare le malattie renali nel mio paese dell’Africa occidentale, infatti sono soltanto due gli ospedali, attrezzati per la dialisi, in tutta la nazione. Per questa precarietà mio fratello, professore del seminario, è morto per la stessa malattia tre anni fa. Ecco, il mio vescovo Rev.John Yaw Afoakwah, ha chiesto all’Arcivescovo di Udine, Rev.Andrea Bruno, di accogliermi in questa diocesi per poter curarmi in modo adeguato e guarire. Per me si è aperta una speranza, proprio in occasione del S. Natale. Mi ha spianato la strada don Charles, che è della mia diocesi e che ha avuto i miei stessi problemi e la stessa accoglienza nella Diocesi di Udine. Proprio nell’Ospedale di Udine, egli ha potuto essere curato e superare la malattia col trapianto di reni, felicemente riuscito. Ora presta servizio pastorale nell’Azienda sanitaria di questa città. Ho trovato ospitalità nella casa canonica e vivo col vostro Parroco da tre settimane. Purtroppo la pandemia non mi ha permesso ancora di conoscervi, ma già Udine mi piace molto, la scopro piano piano. Per adesso conosco bene soltanto la strada che va dalla Piazza 1° maggio all’ospedale dove l’autobus mi porta per la dialisi, tre volte alla settimana. Sono qui, disponibile per la celebrazione della S. Messa e l’ascolto delle confessioni. Prego con voi il Signore perché liberi il mondo dal covid e che tutti possano recuperare la salute e la serenità.

Colgo l’occasione per ringraziare della accoglienza e per augurare a tutti “Merry Christmas and Happy New Year! Me ma mo afenhyia pa! Buon Natale e Felice Anno Nuovo”                                                                                 Don Lawrence Gyamfi

MESSA DI MEZZANOTTE O NELLA NOTTE?

 

Carissimi fedeli che state leggendo, sembra essere una questione importante la Messa di mezzanotte. Se ne parla in più parti e in modi diversi pro o contro. Innanzitutto io credo che tutti dobbiamo osservare le norme sanitarie, per favorire il bene comune.

Luci e concerti.

Le luci che sono state accese nella città sono sufficienti, per chi crede, a simboleggiare che Cristo è luce del mondo, e per chi non è credente, danno un senso di festa.

I concerti natalizi nelle nostre chiese, contribuivano a creare senz’altro un clima di attesa di un grande evento nella storia e anche di fede per quanti interpretano la musica e i canti nel messaggio che trasmettono: Dio che si fa uomo. La loro bellezza artistica potrebbe condurre e favorire la contemplazione del mistero dell’incarnazione. Quest’anno non sono possibili.

Anche noi quest’anno avevamo programmato alcuni concerti, anche per inaugurare in questa circostanza il restauro dell’organo Nachini della Cattedrale in Cornu epistolae. Ma anche se manca questa coreografia pur significativa che accompagna il Natale di Gesù, il mistero non viene scalfito, forse appare nella sua reale verità e crudezza, nella sua povertà, nell’austerità e nell’abbassamento di Dio fino a farsi uomo come noi.

Dio viene in tutte le notti.

La S. Messa nella notte di Natale è tradizionale e senz’altro suggestiva. Essenziale non è l’orario ma il mistero che contempliamo e che squarcia le nostre notti. Non ha importanza l’orario della Messa. Infatti la solennità del S. Natale contempla 4 Messe, tutte con la medesima dignità: La Messa della Vigilia, della Notte, dell’Aurora e del Giorno.

L’orario potrà variare a seconda delle necessità o delle opportunità. Questo tempo, perseguitato dal covid-19, può essere considerato una notte che stiamo vivendo. Il nemico aggredisce, non si vede e non si sa dove possa colpire. È subdolo. Il Natale è la garanzia che Dio attraversa con noi questa prova, ci tiene per mano, non ci abbandona e ci invita a tenerci per mano. Proprio in questa notte. È questo il Natale. Dio solidale con noi e noi solidali con Lui e con gli altri.  Forse un Natale nella austerità ci aiuta a riscoprire la verità del Natale di Gesù e l’amore verso gli altri. Oggi ascoltiamo il profeta Isaia e l’ultimo dei profeti, il Battista.

Consolazione e conversione

Il tempo di Avvento è tempo di attesa ma anche di consolazione. Questa è fondata sulla certezza che il liberatore di Israele sta tornando. Torna sulla via che ogni uomo è invitato a spianare e a preparare. Viene a consolare i cuori. Dio sta creando nuovi cieli e terra nuova. Chiede la nostra collaborazione che ci impegna alla conversione. La prima conversione è quella personale. Dio agisce in noi. L’ascolto della sua Parola ci aiuta a riconoscere i nostri limiti e i peccati. Da qui inizia il cambiamento del mondo. Spianare un colle, riempire una valle, trasformare un terreno non sono operazioni facili e automatiche, richiedono tempo. Ma solo iniziandole possono essere portate a termine. Il Signore ha iniziato a cambiare il nostro cuore nel Battesimo, lo ha aperto ad una vita nuova, ha destato in noi una sorgente di fraternità e di giustizia. A ciascuno di noi spetta la decisione e l’audacia di collaborare con Lui per un possibile cambiamento. Vi auguro un buon cammino di Avvento nell’ascolto di Dio e nella solidarietà. Mille sono le occasioni per manifestare la fraternità. Un cordiale saluto.

                                                                                                                  Don Luciano Nobile, Parroco.

 

 

Preghiera per l’accensione della seconda candela di Avvento

Vieni, Signore Gesù! La tua Parola ci invita a preparare la via e a raddrizzare i sentieri per compiere un cammino di conversione. Signore, apri i nostri occhi perché sappiamo scoprire fratelli e sorelle che noi possiamo amare, per i quali possiamo essere utili. Vieni, Signore Gesù, insegnaci a preparare la strada!

Anche se non ci troviamo all’incontro di catechesi settimanale, ci raduniamo attorno all’altare del Signore ogni domenica alla S. Messa delle ore 10.30.

Vi suggeriamo 3 iniziative, come ogni anno:

1) Martedì, Festa dell’Immacolata, ore 10.30 vengono benedette le statuine della Madonna che deporrete nel vostro presepio.

2) In duomo potete ritirare l’apposito dischetto bianco sul quale scrivere gli auguri di Natale oppure un pensiero, o che cosa sia per voi il Natale di Gesù ecc… Poi, quando passate sulla piazza del Duomo, appendete sull’albero di Natale i vostri dischetti. Così l’albero sarà ancora più ricco e luminoso con i vostri pensieri.

3) In Duomo ritirate anche la scatoletta per raccogliere l’offerta per una scuola di bambini sordi nelle Filippine. Sia il frutto delle vostre rinunce in questo periodo di Avvento e di Natale.

MESSAGGIO PER L’AVVENTO 2020

 

Cari fratelli e sorelle,

             da più parti sento ripetere la domanda: “Che Natale ci permetterà di fare quest’anno il covid-19?”. Tutti avremmo il desiderio di vivere le feste natalizie condividendo serenità e affetto con i parenti e gli amici, secondo le nostre belle tradizioni. Purtroppo il contagio del virus non dà segni di resa e cresce la paura di trovarci, fra un mese, con restrizioni ancora più pesanti che a quel punto rovinerebbero le feste.

Riflettendo e pregando su tale situazione, mi è salito dal cuore questo invito, un po’ controcorrente: “Prepariamoci, nonostante il virus, ad un bel Natate”. Sarà, forse, una festa più semplice e più povera, come lo fu per Maria e Giuseppe e per i pastori che si raccolsero attorno a Gesù bambino. Ciononostante, può essere l’occasione per riscoprire la bellezza spirituale del Santo Natale; una bellezza che penetra nella nostra anima e porta quella gioia che Gesù ha acceso tra gli uomini e che gli angeli hanno cantato.

Ci prepara al Natale il tempo dell’Avvento. Valorizziamo allora le settimane dell’Avvento non pensando, prima di tutto, agli acquisti e ai regali ma sperimentando la gioia di un cammino di purificazione della nostra vita e della nostra fede, come ho invitato a fare nella lettera pastorale: «I loro occhi riconobbero il Signore”. Per una Chiesa purificata dalla tribolazione».

Ci indicano la direzione le parole del profeta Isaia, ripetute da Giovanni Battista nel deserto:

“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati.” (Lc 3,4-5)

Queste parole possono spingerci ad un onesto esame di coscienza. Quali sono i sentieri che dovremmo raddrizzare?

Quanto è ingombro il nostro cuore di interessi e bisogni che non lasciano spazio all’amore per Dio e per i fratelli? Quali sono i vuoti di senso e di speranza da riempire nella nostra anima?

Prepariamo la via al Signore durante l’Avvento convertendo la nostra vita cristiana da tutto ciò che è peccato e compromesso col male. Per giungere al Natale con cuore rinnovato suggerisco anche tre utili impegni concreti.

In ogni famiglia costruiamo il presepio mettendoci l’impegno e la fantasia di tutti. Diventi, nel tempo natalizio, il centro della nostra casa attorno al quale pregare assieme. Gesù sarà, così, al centro della nostra famiglia.

Troviamo il tempo per partecipare ogni domenica alla Santa Messa perché è il momento in cui Gesù continua a venirci incontro donando il suo Corpo e il suo Sangue e tutto l’Amore che, dalla mangiatoia di Betlemme, ha diffuso tra gli uomini.

Apriamo gli occhi e il cuore verso chi sta peggio di noi. Arriviamo a Natale portando con noi qualche persona o famiglia che aspetta la nostra vicinanza e il nostro aiuto discreto e generoso. Magari abitano lungo la nostra via o al di là della siepe di casa nostra.

Cari fratelli e sorelle, vi affido questo breve messaggio nella speranza che siamo in molti a vivere un bel Natale anche in tempo di pandemia. Continuiamo ad invocare la Beata Vergine delle Grazie perché interceda presso Gesù e ci ottenga la salute dell’anima e del corpo.

                                                + Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo

Accensione della prima candela

 

Vieni, Gesù, insegnaci a vegliare, attendendo la tua venuta come quella di un amico. Vieni, Gesù, fa che sentiamo la tua presenza dentro di noi. Aiutaci ad amare come hai amato tu, a pensare come hai pensato tu, ad agire come hai agito tu! Vieni, Signore Gesù!

Carissimi fedeli,

            sono passati oltre 15 anni da quando ha iniziato ad uscire il foglietto domenicale “L’angelo di S. Maria di castello” come piccolo strumento di comunicazione all’interno della nostra Parrocchia. Siamo giunti al N° 500. È una bella tappa che mi è gradito ricordare per ringraziare tutti coloro che hanno collaborato con fedeltà a questa iniziativa che, partita con modestia, è diventata uno strumento prezioso per comunicare con le persone che frequentano le nostre chiese. Accanto a costoro vorrei menzionare anche coloro che nel silenzio curano da altrettanti anni il sito web della Parrocchia. Ho compreso anche io il grande valore che c’è dietro a questi nuovi mezzi informatici. Migliaia sono le persone che hanno la possibilità di conoscere la Parrocchia e le sue attività. Soprattutto le persone che non possono partecipare, hanno l’opportunità di seguire la nostra parrocchia da lontano attraverso il medesimo foglietto domenicale, che è possibile scaricare. Inoltre la trasmissione della Santa Messa in live streaming, durante il lock down, ha svolto un servizio enorme sia nei giorni feriali che festivi. Sono strumenti e possibilità per conoscere di più la chiesa e soprattutto il Signore “nel segreto della propria camera”. So che ci sono anche dei pericoli nascosti sotto questi strumenti ma all’occorrenza sono risolutivi. Si tratta solo di saperli utilizzare a momento opportuno.

Grazie a tutti.                                                                          Don Luciano, Parroco.

GESTI, SILENZIO, CANTO: COSÌ SI CELEBRA CON ARTE

A cura di don Loris Della Pietra

 

L’interesse per la pubblicazione della nuova edizione del Messale non può limitarsi all’investigazione filologica, ma richiede uno sforzo più ampio per far sì che il testo del libro diventi gesto per un’assemblea che vuole essere all’altezza del suo compito. È la sfida più grande: recuperare quella capacità dell’agire liturgico che già Guardini, all’inizio della riforma conciliare, vedeva come seriamente compromessa da una mentalità razionalistica. Soltanto se la celebrazione rimane tale, nel pieno rispetto delle sue leggi e delle sue risorse, diventa «luogo privilegiato di trasmissione dell’autentica tradizione della Chiesa e di accesso ai misteri della fede» (Presentazione, n. 10).

È chiaro che non è sufficiente il libro liturgico per celebrare in autenticità, ma il libro – che come stabilito dai Vescovi sarà utilizzato ufficialmente nelle chiese del Triveneto dalla prima domenica di Avvento (29 novembre 2020) – fornisce la griglia indispensabile affinché l’azione sia fedele al progetto ecclesiale e attuabile da una reale assemblea. Se una motivazione didascalica (per capire e far capire) ha caratterizzato una prima fase della ricezione del Messale, un intento “stimolatore” teso ad animare le assemblee ha contrassegnato una seconda fase, ora un nuovo obiettivo deve guidare la pastorale liturgica: permettere che le azioni, celebrate in verità, introducano al mistero che salva, senza aggiunte inopportune che le falsificano o banali spiegazioni che le destabilizzano.

Celebrare con arte

Si comprende tutta l’urgenza dell’ars celebrandi che deve muoversi sui due binari dell’obbedienza al progetto rituale custodito dal libro e della valorizzazione di tutti i linguaggi di cui il rito ha bisogno in vista del coinvolgimento pieno dell’uomo. È quanto affermava papa Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (nn. 38 e 40). Una pluralità di codici perché tutti possano celebrare e così accedere all’unico mistero. Il Messale, a questo proposito, e il suo Ordinamento Generale, sono strumenti che ordinano e guidano la celebrazione eucaristica in modo che tutti possano partecipare, ciascuno secondo il proprio compito, e tutti secondo la dignità ricevuta nel Battesimo (SC 14). Nelle Premesse, ampiamente riviste, e nell’apparato rubricale affiora la traccia che rende possibile la celebrazione come parola da dire o da cantare, gesto da compiere, silenzio che fa tacere ogni suono ormai inutile. È il “rosso” della rubrica che attende di essere risvegliato nelle molteplici possibilità dei linguaggi i quali, come sostengono ancora i Vescovi, «non costituiscono dunque un’aggiunta ornamentale estrinseca, in vista di una maggiore solennità, ma appartengono alla forma sacramentale propria del mistero eucaristico» (n. 9).

Alcuni esempi rintracciabili nelle Premesse e nella stessa struttura celebrativa sono utili per comprendere la responsabilità affidata a chi celebra affinché la “forma sacramentale” della fede nutra ed edifichi la Chiesa.

La cura dei gesti

Innanzitutto, la cura dei gesti e degli atteggiamenti del corpo del sacerdote, dei ministri e dei fedeli. Il n. 42 dell’Ordinamento Generale, di nuovo conio, ricorda che essi devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per la bellezza e per quella nobile semplicità che già il Concilio aveva raccomandato, si colga il vero significato delle sue parti e si favorisca la partecipazione di tutti. Si tratta di gesti che non possono dipendere dall’arbitrio di qualcuno e devono favorire l’afflato spirituale di chi li compie anziché disorientare e confondere. Una verifica della nostra gestualità liturgica sarebbe quanto mai auspicabile per ridare dignità e verità alle azioni che compiamo e toglierle da quel funzionalismo che le ha mortificate. Si pensi, ad esempio, all’incedere simbolico nella Messa: qual è lo stato di salute delle nostre processioni d’ingresso (spesso ridotte a semplice accesso all’altare), offertoriale (sovente a rischio di fraintendimento perché si porta qualsiasi cosa) e di comunione (più simile a una coda alla posta dove il singolo va a procurarsi un bene)?

Il silenzio

Un altro aspetto che la nuova normativa recupera è il silenzio. Il n. 45 dell’Ordinamento, anch’esso di nuova composizione, sembra ridare consistenza ai momenti di silenzio considerati «parte della celebrazione» e la cui natura dipende dalla struttura stessa di ogni rito. Il silenzio liturgico non è semplice tacere, ma intreccio fecondo con la parola, il canto, l’immagine e lo spazio fino a diventare raccoglimento (durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera), meditazione (dopo l’omelia) e preghiera interiore di lode e di supplica (dopo la comunione). Il n. 56, a proposito della liturgia della Parola, richiama l’opportunità di momenti di silenzio brevi e adatti alla reale assemblea. Un silenzio, dunque, non da sopportare, ma da celebrare come “luogo” in cui lo Spirito parla.

Il canto

Infine, il tema del canto del presidente in dialogo con l’assemblea. La nuova edizione italiana presenta nel corpo del Messale le melodie ispirate alla tradizione gregoriana per alcuni testi del Rito della Messa, del Triduo pasquale e di altri momenti dell’anno liturgico e in Appendice anche le melodie composte appositamente per l’edizione precedente. Con questa ampia offerta musicale si è voluto promuovere il canto del presidente, archiviato troppo frettolosamente, quel “recitare cantando” che riesce a sublimare la parola, dove la musica stessa si pone a servizio della parola. Cantare ciò che si può leggere è gratuità, esperienza ed espressione dell’indicibile, gesto sonoro nel quale Dio si mostra e con il quale il suo popolo lo incontra.

Ripartire dalla celebrazione

Nei lunghi mesi del lock down i fedeli sono stati privati dei segni della fede. La consegna del Messale alle Chiese d’Italia è ripartenza dalla liturgia e da quel lato più delicato e decisivo che è la competenza celebrativa. Occorrono, per questo, uomini e donne che a vario titolo considerino la vita liturgica come essenziale e sperimentino e facciano sperimentare il dono inaudito di Dio nelle azioni rituali. Per questo è necessario che il Messale sia patrimonio dell’intera comunità e che il progetto rituale in esso riportato diventi azione viva grazie ad una pluralità di ministeri e ad una ricchezza di linguaggi mai riducibile ad uno solo.

Se il passaggio dal latino alla lingua viva ha significato una maggiore attenzione ai contenuti da comprendere, ora occorre passare dai contenuti ai linguaggi che li mediano. Occorre che presidenti, ministri dell’altare, della Parola e del canto, e tutti i fedeli, recuperino il lato più corporeo della liturgia fino a percepire il non verbale della parola che diventa canto e silenzio.

È attraverso questa via, garbata e persuasiva, che si realizza l’augurio di sant’Agostino: «Se voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete». Nell’Eucaristia che celebriamo in fedeltà a Dio e all’uomo è racchiuso e svelato il mistero che ci riguarda.

ATTO PENITENZIALE

Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, (battendosi il petto) per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

E supplico la beata e sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle, di pregare per me il Signore Dio nostro.

 

PADRE NOSTRO (Braccia allargate)

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.

 

IL PADRE NOSTRO È CAMBIATO?

NON LA PREGHIERA, MA LA TRADUZIONE

                                                         A cura di don Stefano Romanello

È cambiata la preghiera di Gesù?

La nuova edizione del Messale Romano addotta la traduzione ufficiale del Padre Nostro presente nella Bibbia CEI del 2008, e così la sesta richiesta non recita più “non ci indurre in tentazione”, bensì “non abbandonarci alla tentazione”. Qualcuno, entusiasta, ha già introdotto la formula nelle celebrazioni prima dell’uscita del nuovo Messale, altri all’opposto storcono il naso: perché cambiare la formula di preghiera ormai ben conosciuta? È bene innanzitutto rammentare un fatto scontato, non è cambiato il Padre Nostro, ma la sua traduzione.

Non abbandonarci alla tentazione

Il Padre Nostro è una preghiera a noi giunta in greco, in due versioni, una quella di uso comune, tramandataci da Mt 6,9-13, l’altra più breve da Lc 11,2-4. Esse riflettono le tradizioni liturgiche delle rispettive comunità, ma si basano su un originale a noi sconosciuto che risale a Gesù, ed era nella lingua da lui parlata, l’aramaico. Sia Matteo sia Luca riportano, in termini identici, la richiesta riguardante la tentazione. È ovvio che la formulazione tradizionale suscita perplessità: se Dio è il Padre che vuole la nostra salvezza come può volere per noi qualcosa di male, sì da essere stornato in questo con la nostra preghiera? Già il NT, segnatamente la lettera di Giacomo, nega questa possibilità: “Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno” (1,13). Cosa vuol dire, allora, quest’invocazione?

“Tentazione” o/e “prova”?

È necessario andare al testo greco per capirlo bene. Innanzitutto c’è la parola “peirasmos” che può voler dire “tentazione” come “prova”. Per prova s’intende l’esercizio normale della nostra libertà: di fronte alle scelte da prendere ci mettiamo alla prova dovendo decidere l’orientamento da dare alla nostra esistenza. La tentazione è, per così dire, il suo risvolto recondito, il rischio di orientare la nostra libertà in direzioni opposte al progetto di Dio. Dio certamente non può sottrarci alla prova: sarebbe smentire la nostra stessa indole di esseri liberi. Anzi, nell’AT leggiamo che Dio “mette alla prova” i suoi fedeli, come ad es. il popolo d’Israele, condotto da Dio nel deserto proprio per essere educato a orientarsi all’Alleanza che Egli sta per stipulare con loro (Dt 8,2). E così Dio mette alla prova ogni essere umano, ma non lo fa con l’intenzione malevola di farlo cadere, bensì con quella di formarlo nella fede, che è sempre un atto libero. In questo accetta anche il rischio della risposta negativa, della libertà distorta che si fa tentare su strade più facili e auto-centrate. Possiamo adesso andare all’altro termine dell’espressione. Questa è la costruzione “eispherô eis”, che vuol dire “portare, condurre verso”. E qui la difficoltà si accentua. Se infatti Dio non può essere pregato per non portarci alla tentazione, poiché egli non tenta nessuno al male, nemmeno può essere pregato per preservarci dalla prova, se questa è condizione necessaria della fede e della libertà. L’espressione deve avere un senso traslato che si può individuare sulla base dell’intero racconto evangelico.

La prova/tentazione di Gesù e dei discepoli

Gesù ha vissuto la prova/tentazione comune agli esseri umani, ma l’ha superata sempre compiendo la volontà del Padre. I vangeli sinottici all’inizio della sua missione collocano l’episodio delle tentazioni, in cui il diavolo lo provoca a far ricorso alle sue prerogative divine a suo tornaconto, per realizzare un messianismo spettacolare e trionfatore. Ma è soprattutto nell’imminenza della morte che la prova assume il tono della drammaticità. Nel Getsemani (Mt 26,36-46) egli avverte l’angoscia della morte imminente, e prega il Padre che allontani il calice della sofferenza. La preghiera ha però la forza di far emergere la sua relazione filiale con Dio che è Abbà, Padre, e così realizzare l’adesione totale alla sua volontà. Interamente uomo, Gesù si dimostrerà al contempo interamente Figlio di Dio, non in qualche miracolo spettacolare, bensì nel “miracolo” dell’obbedienza. Giunto dai suoi discepoli li trova addormentati, e li ammonisce: “Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione (mê eiselthête eis peirasmon)”. Questa frase, in tutto il vangelo, è quella che si avvicina di più a quella del Padre Nostro. E nemmeno questa può essere intesa in senso letterale: i discepoli, infatti, si trovano già in un contesto di prova! Contrariamente a Gesù, essi soccombono alla tentazione (lo lasceranno solo) perché non sono capaci di affidarsi al Padre con la preghiera. Le parole di Gesù, a loro come ai discepoli di tutti i tempi, indicano nella preghiera la dimensione-forza necessaria per affrontare vittoriosamente la prova/tentazione. Il verbo “entrare” va allora inteso in un senso intensivo: “non cadere, non soccombere”. Il Padre nostro esprime proprio questo monito di Gesù: essendo parola rivolta a Dio il verbo “entrare” è tramutato naturalmente con “condurre”, e va inteso nello stesso senso intensivo: “fa che non soccombiamo nella prova/tentazione”.

Il “non abbandonarci”

Come si vede, a volte la traduzione stessa di certe espressioni richiede uno sforzo d’interpretazione che, per farne emergere il senso, non può limitarsi a una resa letterale. È un fenomeno che ricorre in altri passaggi della Bibbia. La traduzione “non abbandonarci” sottintende l’idea che, per non farci soccombere, Dio non deve abbandonarci. Indiscutibile, tuttavia si potrebbe obbiettare che in questo caso il processo d’interpretazione si è spinto troppo in là, introducendo l’idea di “abbandonare” assente nel testo greco. Ad ogni modo è necessario che la preghiera sia totalmente libera dall’idea sinistra di un Dio che potrebbe condurci al male, e sia invece espressione di fiducia al Padre che, unico, dona la forza per affrontare vittoriosamente la prova, come già spiegava il compianto don Rinaldo Fabris nel suo commentario a Matteo.