4^ Domenica di Pasqua
“DA CUORE A CUORE”
«Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti amai»
(Confessiones X, 27, 38)
Dio è più intimo a noi di noi stessi
L’esperienza cristiana, quando è autentica, è sempre riconoscimento. Non si inventa, non si costruisce con le sole forze dell’intelletto o dell’affetto: si scopre. In questa tensione tra l’apparente iniziativa dell’uomo e la reale primazia di Dio, si iscrive l’intera vicenda di Agostino. La sua formula — “tardi ti amai” — non è solo biografica: è universale. Esprime con precisione il cammino dell’uomo moderno, la cui intelligenza è spesso inquieta, dispersa tra molte domande, ma che non trova pace finché non torna all’origine. Agostino ha messo a tema: Dio è più intimo a noi di noi stessi. “Interius intimo meo et superior summo meo” scrive: Egli è più dentro di ciò che io percepisco come mio, e al tempo stesso è al di sopra di ciò che io posso concepire come più alto. Questa duplice verità — l’interiorità assoluta e la trascendenza assoluta di Dio — impedisce ogni riduzione del mistero divino a pura proiezione psicologica, ma salva anche l’uomo dalla tentazione opposta: quella di pensare Dio come totalmente altro, disinteressato alla sua storia. Agostino mostra che Dio è contemporaneamente immanente e trascendente, e proprio questa compresenza fonda la possibilità della relazione personale. Nel suo itinerario intellettuale, Agostino ha percorso molte strade. Cercava Dio nella bellezza delle creature, nell’armonia dei numeri, nella sapienza dei filosofi, ma sempre come attraverso uno specchio. Solo quando ha capito che la verità non è un’idea, ma una Persona, allora ha trovato il sentiero soddisfacente. In questo passaggio dalla filosofia alla fede, si gioca una delle conquiste più alte del pensiero cristiano. Non si tratta di abbandonare la ragione, ma di purificarla. Agostino non ha mai disprezzato la filosofia; ha invece mostrato che la sua piena fioritura si dà solo nella carità, perché “nessuno entra nella verità se non attraverso l’amore”.
Salvezza nel pensiero Agostino
Il cuore dell’antropologia agostiniana è la consapevolezza che l’uomo è un essere ferito, e che questa ferita non può essere sanata da alcuna potenza umana. “La mia ferita era profonda, e nessuno poteva guarirla se non Colui che ha fatto me”. Il peccato non è solo una trasgressione morale, è una frattura Di sé stessi, una perdita di direzione. Agostino ha colto che l’uomo, se lasciato ai propri mezzi, si curva su di sé (“incurvatus in sé”) e perde ogni spazio di manovra, perde la libertà. È solo mediante la grazia che può rialzarsi, raddrizzarsi, e guardare di nuovo in alto. Per questo motivo, l’intero edificio della vita cristiana è fondato sulla grazia.
Resta da chiarire, che la grazia non distrugge la libertà. Essa la precede, la sostiene, la rende possibile. Agostino ha insistito con forza sulla priorità dell’azione divina, ma ha anche custodito la responsabilità dell’uomo. In un mondo (il suo come il nostro) che oscilla tra fatalismo e volontarismo, la sua visione mantiene l’equilibrio: Dio opera tutto, ma non senza di noi. L’iniziativa è di Dio, ma l’uomo è chiamato a rispondere. “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”. Nel pensiero agostiniano la Chiesa occupa un posto centrale: “comunità spirituale e Corpo stesso di Cristo”. “Con voi sono cristiano, per voi sono vescovo”, scrive Agostino, sintetizzando l’identità del pastore. Per lui la Chiesa è madre e maestra, grembo e guida. Essa è sempre in cammino verso la purificazione, ma mai privata della presenza salvifica di Cristo. La sua autorità non deriva dagli uomini, ma dalla verità che essa custodisce.
Il tempo, luogo della rivelazione
Il tempo, infine, è una categoria centrale nella riflessione agostiniana. A differenza delle concezioni cicliche del mondo antico, Agostino ha compreso il tempo come dramma, come attesa, come storia della salvezza. Il tempo è il luogo in cui Dio agisce. E il cuore umano, inquieto finché non riposa in Dio, si muove dentro questo tempo come un viandante che cerca la patria. Il passato è memoria, il futuro è attesa, il presente invece chiede attenzione: è qui che Dio parla, qui che si gioca la salvezza. “Tardi ti amai”: ma anche se tardi, l’amore resta amore. Non importa l’ora dell’arrivo, ma la sincerità del cuore. Agostino non ha teorizzato una filosofia, ha indicato a modo suo la via di Cristo, “la bellezza tanto antica e tanto nuova”. La sua unicità sta nell’averlo fatto da uomo trasformato, da peccatore perdonato, da pellegrino incamminato. La via che ha indicato agli altri l’ha percorsa per primo, con lacrime, con fatiche, con domande e silenzi. Specialmente al suo tempo, molti cercavano la salvezza nelle dottrine, nei culti segreti, nelle illusioni dell’intelligenza autosufficiente. Ha parlato a uomini tribolati: confusi da troppe parole e da troppi idoli, lacerati da guerre, instabili nelle convinzioni, assetati di verità ma schiavi dei desideri. Eppure, li ha amati e guidati come pastore, li ha serviti come fratello. Le sue omelie, le sue lettere, le sue Confessioni sono pagine vive, nate nel fuoco di una conversione. E ciò che valeva per i suoi giorni, vale anche per i nostri. Le inquietudini del cuore non sono mutate, se non nei loro travestimenti. Anche oggi l’uomo cerca, e si smarrisce, anche oggi occorre una parola vissuta e abitata.
Francesco Palazzolo