LA GIORNATA DELLA CARITA’

 

Carissimi, in questi anni sono nate in parrocchia varie iniziative di carità che desideriamo sostenere nonostante le difficoltà che incontriamo: Il sostegno della mensa della Caritas diocesana con la raccolta mensile di generi alimentari, la partecipazione alla proposta  quaresimale diocesana per l’avvio di 18 mense nella Diocesi di San Martin (Argentina), il contributo alle Suore apostoline della Polonia, l’aiuto per la formazione di alcune infermiere in India, l’offerta dei bambini del catechismo ai bambini sordi di un istituto nelle Filippine. A queste opere bisogna aggiungere le necessità delle persone che vivono tra noi e che bussano alla porta della canonica.

Devo testimoniare che sempre ho trovato persone disponibili alla condivisione. Ascoltiamo la voce il Papa: “La quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole”.

Grazie da parte di coloro che beneficeranno della vostra generosità. Un saluto cordiale a tutti.                                                                                           Il Parroco don Luciano

 

 

                                    DIRITTO A MIGRARE                                                  

E DIRITTO A NON MIGRARE

 

Il Papa, tornando dall’Iraq, sull’aereo risponde ai giornalisti.

 

Philippine de Saint Pierre (M.C. KTO):

Santità, abbiamo visto il coraggio, il dinamismo dei cristiani iracheni, abbiamo visto anche le sfide che devono affrontare, la minaccia della violenza islamista, l’esodo e la testimonianza della fede nel loro ambiente. Queste sono le sfide dei cristiani in tutta la regione. Abbiamo parlato del Libano, ma anche la Siria, la Terra Santa… Dieci anni fa si è svolto un Sinodo per il Medio Oriente, ma il suo sviluppo è stato interrotto dall’attacco alla cattedrale di Baghdad. Pensa di realizzare qualcosa per l’intero Medio Oriente, un sinodo regionale o qualsiasi altra iniziativa?

Papa Francesco:

Non sto pensando a un Sinodo. Le iniziative sì, sono aperto a tante, ma un Sinodo non mi è venuto. Lei ha buttato il primo seme, vediamo, vediamo cosa succede. La vita dei cristiani in Iraq è una vita travagliata, ma non solo quella dei cristiani… Ho appena parlato degli yazidi…, e altre religioni che non si sottomettevano al potere di Daesh. E questo, non so perché, ma questo ha dato loro una forza molto grande. C’è il problema che Lei dice della migrazione. Ieri mentre tornavamo in macchina da Qaraqosh a Erbil, [c’era] tanta gente, giovani, l’età è molto molto bassa. Tanta gente giovane. E la domanda che qualcuno mi ha fatto: ma qual è il futuro per questi giovani? Dove andranno? In tanti dovranno lasciare il Paese, tanti. Prima di partire per il viaggio, l’altro giorno, venerdì, sono venuti a salutarmi dodici iracheni profughi: uno aveva una protesi alla gamba perché era scappato sotto i camion e si era incidentato… Scappati, tanti, tanti. La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare e diritto a migrare. Questa gente non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano.

Mi diceva un sociologo italiano, parlando dell’inverno demografico in Italia: “Entro quarant’anni dovremo ‘importare’ stranieri perché lavorino e paghino le tasse delle nostre pensioni”. Voi francesi siete stati più furbi, siete andati avanti di dieci anni con la legge a sostegno della famiglia, il vostro livello di crescita è molto grande. Ma la migrazione la si vive come un’invasione. Ieri ho voluto – perché lui lo ha chiesto – ricevere, dopo la Messa, il papà di Alan Kurdi, quel bambino… È un simbolo, Alan Kurdi è un simbolo; per questo ho regalato la scultura alla FAO. È un simbolo che va oltre un bambino morto nella migrazione: un simbolo di civiltà morte, di civiltà che muoiono, che non possono sopravvivere, un simbolo di umanità. Ci vogliono urgenti misure perché la gente abbia lavoro nel proprio Paese e non abbia bisogno di migrare. E anche misure per custodire il diritto di migrazione. È vero che ogni Paese deve studiare bene la capacità di ricevere. Perché non è soltanto riceverli e lasciarli sulla spiaggia; è riceverli, accompagnarli, farli progredire e integrarli. L’integrazione dei migranti è la chiave. Due aneddoti: a Zaventem, in Belgio, i terroristi erano belgi, nati in Belgio ma emigrati islamici ghettizzati, non integrati. L’altro esempio, quando sono andato in Svezia, a congedarmi dal Paese è stata la ministra: era giovanissima e aveva una fisionomia speciale, non tipica degli svedesi. Era figlia di un migrante e di una svedese: così integrata che è diventata ministro! Guardiamo queste due cose, ci faranno pensare tanto, tanto, tanto. Integrare. Sulla migrazione, che credo sia il dramma della regione. Vorrei anche ringraziare i Paesi generosi, i Paesi che ricevono i migranti: il Libano, il Libano è stato generoso con i migranti, due milioni di siriani lì, credo… [un milione e mezzo di siriani più 400mila palestinesi]; la Giordania – purtroppo non passeremo [con il volo] sopra la Giordania – il Re è così gentile, il Re Abdullah, voleva farci un omaggio con gli aerei al nostro passaggio, lo ringrazio adesso; la Giordania è generosissima: più di un milione e mezzo di migranti. E tanti altri Paesi, per menzionarne due soltanto. Grazie a questi Paesi generosi! Grazie, grazie tante.

MA CHI VENDE LE ARMI?

Un giornalista

Cosa ha provato dall’elicottero vedendo la città distrutta di Mosul e poi pregando nelle rovine di una chiesa. Poi, visto che è la giornata sulle donne: lei ha sostenuto le donne a Qaraqosh con parole molto belle, ma cosa pensa del fatto che una donna musulmana non possa sposare un cristiano senza esser famiglia?

Papa Francesco:

A Mosul mi sono fermato davanti alla chiesa distrutta, non avevo parole. Da non credere, da non credere la crudeltà umana nostra… Anche le altre chiese, anche una moschea distrutta. Una domanda che mi è venuta in mente nella Chiesa era questa: ma chi vende le armi a questi distruttori? Perché le armi non le fanno loro a casa… Ma chi vende le armi? Chi è il responsabile? Almeno chiederei a questi che vendono le armi la sincerità di dire: “Noi vendiamo le armi”. Non lo dicono. Per quello che riguarda le donne. Loro sono più coraggiose degli uomini, è sempre stato così. Ma la donna anche oggi è umiliata, schiavizzata. Anche nel centro di Roma il lavoro contro la tratta è un lavoro di ogni giorno e dobbiamo lottare per la dignità delle donne. Sono loro che portano avanti la storia.

UN CAMMINO FATICOSO E GIOIOSO

PER UN SERVIZIO EFFICACE

Il Centro di Ascolto interparrocchiale di Via Rivis 19 in Udine ha iniziato il suo cammino e il suo servizio nello scorso ottobre. Non è stato un inizio facile perché il periodo scelto per il suo avvio ha coinciso con la ripresa della pandemia e di conseguenza il numero di utenti che si è affacciato al servizio è risultato essere, e ancora lo è, piuttosto limitato per via delle difficoltà sperimentate da tutti noi in questo tempo complesso e difficile. Nonostante questo i volontari hanno dimostrato un grande senso di responsabilità perché, pur limitati dalle varie restrizioni, norme e attenzioni igienico-sanitarie hanno accolto gli utenti che si sono presentati, con attenzione e desiderio di poter essere utili nell’accompagnamento a risolvere le difficoltà che vengono vissute nella solitudine. Un poco alla volta le parrocchie e i parroci così come gli enti del territorio e la stessa Caritas Diocesana iniziano a fare conoscenza del Centro e a prenderlo in considerazione per l’invio delle persone in stato di bisogno. I volontari nel frattempo approfondiscono la loro esperienza sia con momenti formativi, pur nelle difficoltà dell’organizzazione, sia con momenti spirituali a loro destinati perché si possa sempre meglio comprendere come farsi carico delle varie situazioni che si presentano colmando le inevitabili lacune di “giovinezza” del Centro. Il tempo di Quaresima che stiamo vivendo in cui ci viene chiesto come cristiani di riflettere su digiuno, preghiera e carità sarà certamente una ulteriore occasione per far sì che il servizio svolto dal Centro possa essere ancora più centrato nella sua essenza di ascolto e accompagnamento di questo mondo fragile e bisognoso di attenzione.                                                        Lorenzo Durandetto, Assistente Spirituale

Carissimi fedeli,

credo sia interessante anche per voi sapere ed ascoltare quello che i vostri parroci stanno vivendo in questo tempo ”straordinario” per tutti i settori della vita sociale. Si stanno chiedendo: Come annunciare il vangelo oggi per formare i credenti? È necessario proseguire insieme, ascoltarci, condividere esperienze, trovare linee comuni di azione, seminare a piene mani sul terreno concreto che è arato dalla pandemia. Andiamo avanti con fiducia e con coraggio. È l’esortazione che l’Arcivescovo ha fatto giovedì al clero del Vicariato urbano (sacerdoti e diaconi) raccolto presso la casa dei Missionari saveriani per un momento di comunicazione reciproca circa quello che stiamo vivendo personalmente e nelle nostre comunità.

Ed i sacerdoti si sono realmente confidati l’un l’altro con sincerità, circa la loro esperienza e le domande che si stanno facendo, per esempio: Quale conversione il Signore ci sta chiedendo in questo tempo?  Ci sta chiedendo di essere missionari, di renderci conto che non siamo in una società cristiana. La chiesa si affianca alla società e propone con serietà un cammino di rinnovamento con quanti accettano la proposta di vivere all’interno di una comunità. Ma ci si sta anche chiedendo come mai si domandi ancora il Battesimo ma non ci si ritrovi in chiesa per l’Eucaristia della domenica?! Quali segnali dare al fine di una conversione? Quali sassi o rovi togliere perché la Parola non resti soffocata? C’è chi segnala che questo è un tempo di spoliazione, cerchiamo l’essenziale con serenità. Si stanno vivendo delle iniziative felici che riscuotono una certa adesione come, per esempio, gli esercizi spirituali. Una meditazione e l’Eucaristia al mattino o alla sera. Le famiglie con i bambini si radunano in chiesa per una catechesi insieme, a orario opportuno.

Tante persone sono portatrici di valori umani splendidi, è necessario far scoprire loro la fonte di questi valori che è Gesù di Nazareth, il nostro Dio. Ci è dato un tempo per guardare la realtà, per renderci conto che è necessario essere fedeli nella prova e non cedere alla tentazione dello scoraggiamento. Qualcuno raccomanda di non accostarci con sguardo negativo alla situazione attuale ma con libertà pastorale, restando al passo delle persone che hanno i loro percorsi. Maggiore attenzione deve essere riservata ai genitori più che ai bambini. Nella tempesta non scoraggiamoci ma prendiamo coscienza che Gesù è sulla barca con noi. Pertanto non abbiamo paura ma cerchiamo non solo di predicare la Parola ma soprattutto di essere Vangelo che tutti possono leggere nella nostra vita. C’è ancora tanta gente che, pur non frequentando la chiesa, ritiene che il sacerdote sia un punto di riferimento, un padre per tutti, al quale si può ricorrere, un pastore che va a cercare in qualsiasi modo le persone. Per quanto riguarda il catechismo ,si potrebbe coinvolgere i genitori chiedendo di essere loro i catechisti per una giornata nelle loro case, almeno una volta al mese. Potrebbero commentare un piccolo brano della Scrittura, recitare insieme una preghiera, compilare una scheda assieme ai loro figli. Qualcuno fa notare che ci sono poche luci che orientano il cammino, che sarebbe necessaria una pastorale differenziata, sarebbe utile promuovere nuove esperienze, giacché le vecchie abitudini stanno scomparendo.

Certamente non abbiamo risolto i problemi della evangelizzazione ma è stato utile sentirci tra confratelli che condividono da vicino esperienze piccole o grandi, faticano per un medesimo scopo, sentono le medesime preoccupazioni, sono alla ricerca di strade per annunciare il Vangelo agli uomini di oggi, sentono l’importanza della loro vita spesa per Cristo, ancora vivono l’entusiasmo pacato ma reale di essere pastori.

Un cordiale saluto a tutti.                                                  Il Parroco Mons. Luciano Nobile

 

IL PAPA IN IRAQ

 

Papa Francesco riprende i suoi viaggi per annunciare la pace in un paese, in una situazione molto difficile: in Iraq. È un passo in avanti nella fratellanza. Ur dei Caldei è la città in cui Abramo nacque ed incontrò per la prima volta il Signore. Abramo è padre nella fede per le religioni ebraica, mussulmana e cristiana. Preghiamo per il Papa perché il Signore sostenga il suo coraggioso cammino specialmente in questi giorni.

MESSAGGIO DEL PAPA PER LA QUARESIMA  2021

(continua)

2. La speranza come “acqua viva” che ci consente di continuare il nostro cammino

La samaritana, alla quale Gesù chiede da bere presso il pozzo, non comprende quando Lui le dice che potrebbe offrirle “un’acqua viva” (Gv 4,10). All’inizio lei pensa naturalmente all’acqua materiale, Gesù invece intende lo Spirito Santo, quello che Lui darà in abbondanza nel Mistero pasquale e che infonde in noi la speranza che non delude. Già nell’annunciare la sua passione e morte Gesù annuncia la speranza, quando dice: «e il terzo giorno risorgerà» (Mt 20,19). Gesù ci parla del futuro spalancato dalla misericordia del Padre. Sperare con Lui e grazie a Lui vuol dire credere che la storia non si chiude sui nostri errori, sulle nostre violenze e ingiustizie e sul peccato che crocifigge l’Amore. Significa attingere dal suo Cuore aperto il perdono del Padre.

Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione. Il tempo di Quaresima è fatto per sperare, per tornare a rivolgere lo sguardo alla pazienza di Dio, che continua a prendersi cura della sua Creazione, mentre noi l’abbiamo spesso maltrattata (cfr Enc. Laudato si’, 32-33.43-44). È speranza nella riconciliazione, alla quale ci esorta con passione San Paolo: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Ricevendo il perdono, nel Sacramento che è al cuore del nostro processo di conversione, diventiamo a nostra volta diffusori del perdono: avendolo noi stessi ricevuto, possiamo offrirlo attraverso la capacità di vivere un dialogo premuroso e adottando un comportamento che conforta chi è ferito. Il perdono di Dio, anche attraverso le nostre parole e i nostri gesti, permette di vivere una Pasqua di fraternità. Nella Quaresima, stiamo più attenti a «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Enc. Fratelli tutti ). A volte, per dare speranza, basta essere «una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza». Nel raccoglimento e nella preghiera silenziosa, la speranza ci viene donata come ispirazione e luce interiore, che illumina sfide e scelte della nostra missione: ecco perché è fondamentale raccogliersi per pregare (cfr Mt 6,6) e incontrare, nel segreto, il Padre della tenerezza. Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” (cfr Ap 21,1-6). Significa ricevere la speranza di Cristo che dà la sua vita sulla croce e che Dio risuscita il terzo giorno, «pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi» (1Pt 3,15).

3. La carità, vissuta sulle orme di Cristo, nell’attenzione e nella compassione verso ciascuno, è la più alta espressione della nostra fede e della nostra speranza.

La carità si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione.

«A partire dall’amore sociale è possibile progredire verso una civiltà dell’amore alla quale tutti possiamo sentirci chiamati. La carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo nuovo, perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti».

La carità è dono che dà senso alla nostra vita e grazie al quale consideriamo chi versa nella privazione quale membro della nostra stessa famiglia, amico, fratello. Il poco, se condiviso con amore, non finisce mai, ma si trasforma in riserva di vita e di felicità. Così avvenne per la farina e l’olio della vedova di Sarepta, che offre la focaccia al profeta Elia (cfr 1 Re 17,7-16); e per i pani che Gesù benedice, spezza e dà ai discepoli da distribuire alla folla (cfr Mc 6,30-44). Così avviene per la nostra elemosina, piccola o grande che sia, offerta con gioia e semplicità.

Vivere una Quaresima di carità vuol dire prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia a causa della pandemia di Covid-19. Nel contesto di grande incertezza sul domani, ricordandoci della parola rivolta da Dio al suo Servo: «Non temere, perché ti ho riscattato» (Is 43,1), offriamo con la nostra carità una parola di fiducia, e facciamo sentire all’altro che Dio lo ama come un figlio. «Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia trasformato dalla carità, che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e apprezzati nella loro immensa dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e pertanto veramente integrati nella società». Cari fratelli e sorelle, ogni tappa della vita è un tempo per credere, sperare e amare. Questo appello a vivere la Quaresima come percorso di conversione, preghiera e condivisione dei nostri beni, ci aiuti a rivisitare, nella nostra memoria comunitaria e personale, la fede che viene da Cristo vivo, la speranza animata dal soffio dello Spirito e l’amore la cui fonte inesauribile è il cuore misericordioso del Padre.

Maria, Madre del Salvatore, fedele ai piedi della croce e nel cuore della Chiesa, ci sostenga con la sua premurosa presenza, e la benedizione del Risorto ci accompagni nel cammino verso la luce pasquale.

Roma, San Giovanni in Laterano, 11 novembre 2020, memoria di San Martino di Tours.                                                                                                                                                                                                                                                                                             Francesco

FRANCESCO
PER LA QUARESIMA 2021

 

“Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…” (Mt 20,18).
Quaresima: tempo per rinnovare fede, speranza e carità.

La Quaresima è un tempo per credere, ovvero per ricevere Dio nella nostra vita e consentirgli di “prendere dimora” presso di noi (cfr Gv 14,23). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, anche dalla saturazione di informazioni – vere o false – e prodotti di consumo, cari fratelli e sorelle, annunciando ai suoi discepoli la sua passione, morte e risurrezione, a compimento della volontà del Padre, Gesù svela loro il senso profondo della sua missione e li chiama ad associarsi ad essa, per la salvezza del mondo. Nel percorrere il cammino quaresimale, che ci conduce verso le celebrazioni pasquali, ricordiamo Colui che «umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). In questo tempo di conversione rinnoviamo la nostra fede, attingiamo l’“acqua viva” della speranza e riceviamo a cuore aperto l’amore di Dio che ci trasforma in fratelli e sorelle in Cristo. Nella notte di Pasqua rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo, per rinascere uomini e donne nuovi, grazie all’opera dello Spirito Santo. Ma già l’itinerario della Quaresima, come l’intero cammino cristiano, sta tutto sotto la luce della Risurrezione, che anima i sentimenti, gli atteggiamenti e le scelte di chi vuole seguire Cristo. Il digiuno, la preghiera e l’elemosina, come vengono presentati da Gesù nella sua predicazione (cfr Mt 6,1-18), sono le condizioni e l’espressione della nostra conversione. La via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa.

1. La fede ci chiama ad accogliere la Verità e a diventarne testimoni, davanti a Dio e davanti a tutti i nostri fratelli e sorelle.

In questo tempo di Quaresima, accogliere e vivere la Verità manifestatasi in Cristo significa prima di tutto lasciarci raggiungere dalla Parola di Dio, che ci viene trasmessa, di generazione in generazione, dalla Chiesa. Questa Verità non è una costruzione dell’intelletto, riservata a poche menti elette, superiori o distinte, ma è un messaggio che riceviamo e possiamo comprendere grazie all’intelligenza del cuore, aperto alla grandezza di Dio che ci ama prima che noi stessi ne prendiamo coscienza. Questa Verità è Cristo stesso, che assumendo fino in fondo la nostra umanità si è fatto Via – esigente ma aperta a tutti – che conduce alla pienezza della Vita. Il digiuno vissuto come esperienza di privazione porta quanti lo vivono in semplicità di cuore a riscoprire il dono di Dio e a comprendere la nostra realtà di creature a sua immagine e somiglianza, che in Lui trovano compimento. Facendo esperienza di una povertà accettata, chi digiuna si fa povero con i poveri e “accumula” la ricchezza dell’amore ricevuto e condiviso. Così inteso e praticato, il digiuno aiuta ad amare Dio e il prossimo in quanto, come insegna San Tommaso d’Aquino, l’amore è un movimento che pone l’attenzione sull’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stessi (cfr Enc. Fratelli tutti, 93). La Quaresima è un tempo per credere, ovvero per ricevere Dio nella nostra vita e consentirgli di “prendere dimora” presso di noi (cfr Gv 14,23). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, anche dalla saturazione di informazioni – vere o false – e prodotti di consumo, per aprire le porte del nostro cuore a Colui che viene a noi povero di tutto, ma «pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14): il Figlio del Dio Salvatore.                                                                               Papa Francesco

(Segue la prossima domenica)

 

Carissimi parrocchiani,

         nell’intento di favorire l’opera missionaria delle nostre comunità parrocchiali, il nostro Arcivescovo, con gli organi di partecipazione pastorale della Chiesa locale, ha promosso le Collaborazioni Pastorali nella nostra Diocesi. Assieme alle Parrocchie della B.V. delle Grazie, di S. Giorgio maggiore, di S. Quirino e del Redentore, noi formiamo la Collaborazione Pastorale di Udine Centro. Abbiamo iniziato a collaborare nella preparazione dei giovani alla Cresima e nella catechesi ai ragazzi delle Medie. Non nascondo le fatiche che fecondano questo processo di collaborazione. Abbiamo pensato di offrire anche delle opportunità di formazione per gli adulti durante questo tempo di Quaresima. Qui di seguito potete prendere visione delle iniziative che vengono incontro a varie esigenze spirituali dei fedeli. Alcuni incontri avvengono in presenza ed altri on-line, tutti sono finalizzati alla crescita nella vita cristiana, nella prospettiva di una maggiore esperienza di Dio per essere suoi testimoni nel mondo. Auguro a tutti un buon cammino di Quaresima.

                                                                                                                                                                  Il Parroco don Luciano.

LOCANDINA PER LA QUARESIMA 2021-1

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Opera comunitaria di carità durante la Quaresima

 

Aderiamo alla proposta della Caritas Diocesana ”Pane e Parola” per sostenere nella Diocesi di San Martìn (Buenos Aires) 18 mense popolari e la formazione dei volontari. In quella Diocesi si sono susseguiti vari sacerdoti friulani che hanno anche costruito il Santuario di Madone di Mont dove adesso don Claudio Snidero è parroco. Chi desidera partecipare può deporre la sua offerta nelle cassette, in chiesa destinate alla carità.

LETTERA DEL PAPA “PATRIS CORDE”

 

7. Padre nell’ombra

Lo scrittore polacco Jan Dobraczyński, nel suo libro L’ombra del Padre, ha narrato in forma di romanzo la vita di San Giuseppe. Con la suggestiva immagine dell’ombra definisce la figura di Giuseppe, che nei confronti di Gesù è l’ombra sulla terra del Padre Celeste: lo custodisce, lo protegge, non si stacca mai da Lui per seguire i suoi passi. Pensiamo a ciò che Mosè ricorda a Israele: «Nel deserto […] hai visto come il Signore, tuo Dio, ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino» (Dt 1,31). Così Giuseppe ha esercitato la paternità per tutta la sua vita.

Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre. Anche la Chiesa di oggi ha bisogno di padri. È sempre attuale l’ammonizione rivolta da San Paolo ai Corinzi: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri» (1 Cor 4,15); e ogni sacerdote o vescovo dovrebbe poter aggiungere come l’Apostolo: «Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo». E ai Galati dice: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!»

Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione. Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione. La paternità che rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli spalanca sempre spazi all’inedito. Ogni figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà. Un padre consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso “inutile”, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita, quando si pone nella situazione di Giuseppe, il quale ha sempre saputo che quel Bambino non era suo, ma era stato semplicemente affidato alle sue cure. In fondo, è ciò che lascia intendere Gesù quando dice: «Non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Mt 23,9).

Tutte le volte che ci troviamo nella condizione di esercitare la paternità, dobbiamo sempre ricordare che non è mai esercizio di possesso, ma “segno” che rinvia a una paternità più alta. In un certo senso, siamo tutti sempre nella condizione di Giuseppe: ombra dell’unico Padre celeste, che «fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45); e ombra che segue il Figlio. ***«Alzati, prendi con te il bambino e sua madre» (Mt 2,13), dice Dio a San Giuseppe. Lo scopo di questa Lettera Apostolica è quello di accrescere l’amore verso questo grande Santo, per essere spinti a implorare la sua intercessione e per imitare le sue virtù e il suo slancio. Infatti, la specifica missione dei Santi è non solo quella di concedere miracoli e grazie, ma di intercedere per noi davanti a Dio, come fecero Abramo e Mosè, come fa Gesù, «unico mediatore» (1 Tm 2,5), che presso Dio Padre è il nostro «avvocato» (1 Gv 2,1), «sempre vivo per intercedere in [nostro] favore» (Eb 7,25; cfr Rm 8,34). I Santi aiutano tutti i fedeli «a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato». La loro vita è una prova concreta che è possibile vivere il Vangelo. Gesù ha detto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), ed essi a loro volta sono esempi di vita da imitare. San Paolo ha esplicitamente esortato: «Diventate miei imitatori!» (1 Cor 4,16). San Giuseppe lo dice attraverso il suo eloquente silenzio.

Davanti all’esempio di tanti Santi e di tante Sante, Sant’Agostino si chiese: «Ciò che questi e queste hanno potuto fare, tu non lo potrai?». E così approdò alla conversione definitiva esclamando: «Tardi ti ho amato, o Bellezza tanto antica e tanto nuova!».

Non resta che implorare da San Giuseppe la grazia delle grazie: la nostra conversione. A lui rivolgiamo la nostra preghiera:

Salve, custode del Redentore, e sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia misericordia e coraggio, e difendici da ogni male.

Amen.

“PATRIS CORDE”

Lettera di Papa Francesco sulla figura di S. Giuseppe

5. Padre dal coraggio creativo

Se la prima tappa di ogni vera guarigione interiore è accogliere la propria storia, ossia fare spazio dentro noi stessi anche a ciò che non abbiamo scelto nella nostra vita, serve però aggiungere un’altra caratteristica importante: il coraggio creativo. Esso emerge soprattutto quando si incontrano difficoltà. Infatti, davanti a una difficoltà ci si può fermare e abbandonare il campo, oppure ingegnarsi in qualche modo. Sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere.

Molte volte, leggendo i “Vangeli dell’infanzia”, ci viene da domandarci perché Dio non sia intervenuto in maniera diretta e chiara. Ma Dio interviene per mezzo di eventi e persone. Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre. Il Cielo interviene fidandosi del coraggio creativo di quest’uomo, che giungendo a Betlemme e non trovando un alloggio dove Maria possa partorire, sistema una stalla e la riassetta, affinché diventi quanto più possibile un luogo accogliente per il Figlio di Dio che viene nel mondo (cfr Lc 2,6-7). Davanti all’incombente pericolo di Erode, che vuole uccidere il Bambino, ancora una volta in sogno Giuseppe viene allertato per difendere il Bambino, e nel cuore della notte organizza la fuga in Egitto (cfr Mt 2,13-14).

A una lettura superficiale di questi racconti, si ha sempre l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti, ma la “buona notizia” del Vangelo sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza. Anche la nostra vita a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta, Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazaret, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza.

Se certe volte Dio sembra non aiutarci, ciò non significa che ci abbia abbandonati, ma che si fida di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare.(…)

San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre, e anche noi amando la Chiesa continuiamo ad amare il Bambino e sua madre.

Questo Bambino è Colui che dirà: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono “il Bambino” che Giuseppe continua a custodire. Ecco perché San Giuseppe è invocato come protettore dei miseri, dei bisognosi, degli esuli, degli afflitti, dei poveri, dei moribondi. Ed ecco perché la Chiesa non può non amare innanzitutto gli ultimi, perché Gesù ha posto in essi una preferenza, una sua personale identificazione. Da Giuseppe dobbiamo imparare la medesima cura e responsabilità: amare il Bambino e sua madre; amare i Sacramenti e la carità; amare la Chiesa e i poveri. Ognuna di queste realtà è sempre il Bambino e sua madre.

6. Padre lavoratore

Un aspetto che caratterizza San Giuseppe e che è stato posto in evidenza sin dai tempi della prima Enciclica sociale, la Rerum novarum di Leone XIII, è il suo rapporto con il lavoro. San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro.

In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono.

Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia. Una famiglia dove mancasse il lavoro è maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e perfino alla tentazione disperata e disperante del dissolvimento. Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento?

La persona che lavora, qualunque sia il suo compito, collabora con Dio stesso, diventa un po’ creatore del mondo che ci circonda. La crisi del nostro tempo, che è crisi economica, sociale, culturale e spirituale, può rappresentare per tutti un appello a riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro per dare origine a una nuova “normalità”, in cui nessuno sia escluso. Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!