Giornata del malato

 

Ore 15.30 Recita del S. Rosario.

Ore 16.00 Celebrazione della S. Messa presieduta dall’Arcivescovo.

Giornate di Raccolta:

9 – 15 febbraio 2021

 

Nelle farmacie aderenti verranno raccolti medicinali da banco da donare ai molti enti assistenziali che si prendono cura delle persone in difficoltà economica.

In proposito, si segnala che, lo scorso anno, grazie all’impegno di oltre 22.248 volontari e al coinvolgimento di 4.944 farmacie e di 17.304 farmacisti, sono stati raccolti 541.175 medicinali.

Sei invitato ad andare in una farmacia che ha aderito a questa iniziativa e ad offrire il tuo contributo di solidarietà acquistando qualche farmaco da banco.

 

G R A Z I E

Martedì 2 febbraio, all’età di 87 anni, è scomparso a seguito di un malore don Antonio Castagnaviz, Canonico della Cattedrale, parroco storico di Rive d’Arcano e Rodeano Basso, collaboratore della Parrocchia di S. Giorgio Maggiore.

Ricordiamolo nella preghiera.

Esequie venerdì 5 febbraio, ore 15.00 in Cattedrale cui seguirà la tumulazione nel cimitero di Ipplis.

 

 

 

LETTERA APOSTOLICA

“PATRIS CORDE”

 

La lettera del S. Padre sulla figura di S. Giuseppe interessa da vicino la nostra vita ed in particolare la situazione che stiamo vivendo: Infonde coraggio e fiducia.

3. Padre nell’obbedienza

Analogamente a ciò che Dio ha fatto con Maria, quando le ha manifestato il suo piano di salvezza, così anche a Giuseppe ha rivelato i suoi disegni; e lo ha fatto tramite i sogni, che nella Bibbia, come presso tutti i popoli antichi, venivano considerati come uno dei mezzi con i quali Dio manifesta la sua volontà. (…)

Nel primo sogno l’angelo lo aiuta a risolvere il suo grave dilemma: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; …«Quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo» (Mt 1,24). Con l’obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria. Nel secondo sogno l’angelo ordina a Giuseppe: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto (…) «Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Mt 2,14-15).

In Egitto Giuseppe, con fiducia e pazienza, attese dall’angelo il promesso avviso per ritornare nel suo Paese (…) In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat”, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani. Giuseppe, nel suo ruolo di capo famiglia, insegnò a Gesù ad essere sottomesso ai genitori (cfr Lc 2,51), secondo il comandamento di Dio (cfr Es 20,12).

Nel nascondimento di Nazaret, alla scuola di Giuseppe, Gesù imparò a fare la volontà del Padre. Tale volontà divenne suo cibo quotidiano (cfr Gv 4,34) (…) Da tutte queste vicende risulta che Giuseppe «è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro della salvezza».

4. Padre nell’accoglienza

Giuseppe accoglie Maria senza mettere condizioni preventive. Si fida delle parole dell’Angelo. «La nobiltà del suo cuore gli fa subordinare alla carità quanto ha imparato per legge; e oggi, in questo mondo nel quale la violenza psicologica, verbale e fisica sulla donna è evidente, Giuseppe si presenta come figura di uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria. E nel suo dubbio su come agire nel modo migliore, Dio lo ha aiutato a scegliere illuminando il suo giudizio». Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni.

La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie. Solo a partire da questa accoglienza, da questa riconciliazione, si può anche intuire una storia più grande, un significato più profondo… Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contraddittoria, inaspettata, deludente dell’esistenza.

La venuta di Gesù in mezzo a noi è un dono del Padre, affinché ciascuno si riconcili con la carne della propria storia anche quando non la comprende fino in fondo.

Come Dio ha detto al nostro Santo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20), sembra ripetere anche a noi: “Non abbiate paura!”. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. E non importa se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e se alcune cose ormai sono irreversibili. Dio può far germogliare fiori tra le rocce. Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Egli «è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3,20).

Torna ancora una volta il realismo cristiano, che non butta via nulla di ciò che esiste. La realtà, nella sua misteriosa irriducibilità e complessità, è portatrice di un senso dell’esistenza con le sue luci e le sue ombre (…) In questa prospettiva totale, la fede dà significato ad ogni evento lieto o triste.

Lungi da noi allora il pensare che credere significhi trovare facili soluzioni consolatorie. La fede che ci ha insegnato Cristo è invece quella che vediamo in San Giuseppe, che non cerca scorciatoie, ma affronta “ad occhi aperti” quello che gli sta capitando, assumendone in prima persona la responsabilità.

L’accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole (cfr 1 Cor 1,27), è «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6) e comanda di amare lo straniero. Voglio immaginare che dagli atteggiamenti di Giuseppe Gesù abbia preso lo spunto per la parabola del figlio prodigo e del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32).

LETTERA APOSTOLICA

“PATRIS CORDE”

DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

Con cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli «il figlio di Giuseppe»

Dopo Maria, Madre di Dio, nessun Santo occupa tanto spazio nel Magistero pontificio quanto Giuseppe, suo sposo. I miei Predecessori hanno approfondito il messaggio racchiuso nei pochi dati tramandati dai Vangeli per evidenziare maggiormente il suo ruolo centrale nella storia della salvezza…

Pertanto, al compiersi di 150 anni dalla sua dichiarazione quale Patrono della Chiesa Cattolica fatta dal Beato Pio IX,  l’8 dicembre 1870, vorrei – come dice Gesù – che “la bocca esprimesse ciò che nel cuore sovrabbonda” (cfr Mt 12,34), per condividere con voi alcune riflessioni personali su questa straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi. Tale desiderio è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti». Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine.

1. Padre amato

La grandezza di San Giuseppe consiste nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù. In quanto tale, «si pose al servizio dell’intero disegno salvifico», come afferma San Giovanni Crisostomo.

San Paolo VI osserva che la sua paternità si è espressa concretamente «nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita, del suo lavoro; nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa»…

Per questo suo ruolo nella storia della salvezza, San Giuseppe è un padre che è stato sempre amato dal popolo cristiano, come dimostra il fatto che in tutto il mondo gli sono state dedicate numerose chiese; che molti Istituti religiosi, Confraternite e gruppi ecclesiali sono ispirati alla sua spiritualità e ne portano il nome; e che in suo onore si svolgono da secoli varie rappresentazioni sacre. Tanti Santi e Sante furono suoi appassionati devoti, tra i quali Teresa d’Avila, che lo adottò come avvocato e intercessore, raccomandandosi molto a lui e ricevendo tutte le grazie che gli chiedeva; incoraggiata dalla propria esperienza, la Santa persuadeva gli altri ad essergli devoti.

2. Padre nella tenerezza

Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare” (cfr Os 11,3-4).

Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono» (Sal 103,13).

Giuseppe avrà sentito certamente riecheggiare nella sinagoga, durante la preghiera dei Salmi, che il Dio d’Israele è un Dio di tenerezza, che è buono verso tutti e «la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9).

La storia della salvezza si compie «nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18) attraverso le nostre debolezze. Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza… Se questa è la prospettiva dell’economia della salvezza, dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza.

Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci salverà dall’opera dell’Accusatore (cfr Ap 12,10). Per questo è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza. Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci. Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona. La Verità si presenta a noi sempre come il Padre misericordioso della parabola (cfr Lc 15,11-32): ci viene incontro, ci ridona la dignità, ci rimette in piedi, fa festa per noi, con la motivazione che «questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (v. 24).

Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande.

IL PAPA INDICE L’ANNO DI SAN GIUSEPPE

8 dicembre 2020-2021

 

Il Patrono della chiesa

“Al fine di perpetuare l’affidamento di tutta la Chiesa al potentissimo patrocinio del Custode di Gesù, Papa Francesco ha stabilito che…. sia celebrato uno speciale Anno di San Giuseppe, nel quale ogni fedele, sul suo esempio, possa rafforzare quotidianamente la propria vita di fede nel pieno compimento della volontà di Dio”. È quanto si legge nel decreto di Papa Francesco per celebrare il 150° anniversario della proclamazione di San Giuseppe a Patrono della Chiesa universale.

Indulgenza plenaria

In occasione dell’Anno di San Giuseppe, si concedono speciali indulgenze, tra cui l’Indulgenza plenaria disposta dalla Penitenzieria apostolica “ai fedeli che, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, parteciperanno all’Anno di San Giuseppe nelle occasioni e con le modalità indicate”.

La testimonianza nei momenti difficili

L’omaggio a San Giuseppe è stato suggerito anche dal particolare momento che il mondo vive con la pandemia. “Tale desiderio – scrive Francesco – è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che ’le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia… A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine”.

 

Nelle prossime domeniche verrà pubblicata la lettera del Papa “Patris corde” (Giuseppe, con amore di padre, ha amato Gesù) che illustra la figura di S. Giuseppe, custode della S. Famiglia e protettore della Chiesa. Ci sono degli spunti di riflessione per tutti, che meritano di essere considerati per vivere una spiritualità che si incarna nella storia di oggi.

GRADITISSIMI AUGURI DEI CHIERICHETTI

 

La domenica 13 dicembre, l’arcivescovo è venuto a celebrare la S. Messa delle 10.30 nella nostra Parrocchia e i chierichetti hanno condiviso i regali di S. Lucia: gli hanno offerto “una calza” con i cioccolatini e un’altra per il segretario! Visto che i nostri chierichetti sono numerosi, svegli e generosi, in sagrestia il Vescovo ha fatto la proposta: “Potreste scrivere gli auguri ai sacerdoti della casa di fraternità?” Detto, fatto. Qualche giorno dopo è andato a celebrare la S. Messa con questi sacerdoti ed ha portato a loro gli auguri e i disegni dei chierichetti del Duomo. Ecco l’allegra risposta…

Fraternità Sacerdotale 14 gennaio 2021

Memoria del beato Odorico da Pordenone

Ai vivaci ragazzi, alle simpatiche ragazze della Parrocchia del Duomo di Udine

Vi scrivo a nome dei sacerdoti della Fraternità per ringraziarvi degli auguri che ci avete inviato in occasione del Natale. I vostri cartoncini erano fantastici e le parole belle, sincere, fantasiose; provenivano proprio dal vostro cuore. Qualcuno ha scritto: “Il mio amore per te è come una montagna” e un altro: “Coraggio! Vai con fiducia verso l’avvenire!” Mi chiedo se dietro qualche grazioso pensiero non ci fosse lo zampino delle catechiste o dei genitori. Forse sì, forse no; decidete voi; non lo so. Cari giovanotti e signorine: grazie, grazie, grazie. Noi della Fraternità ricambiamo con mille e cento altri auguri a voi, a mamma, a papà, alla vostra famiglia, ai catechisti / catechiste, alla comunità del duomo, amici / amiche. Ora vorrei presentarvi alcuni “don” che vivevano o vivono nella casa della Fraternità. Ricordo però che il vostro don mi ha detto: “Accorciare; non tirarla alla lunga come certe prediche nelle messe della domenica in duomo!”.

Dunque, don Celso, anziano e ormai traballante, aveva la proibizione di camminare da solo senza essere aiutato. Veniva a confessarsi dal lui un uomo povero, ammalato e disoccupato e don Celso per aiutarlo gli allungava sottobanco una piccola busta con dieci o venti euro per comperare medicine e pane. Ma arriva come un nero pirata il virus “Covid-19” e vengono bloccati i portoni della casa. “Alt! Nessuno entra e nessuno esce!”. E il povero? E il pane? E le medicine? Ma don Celso telefonava: “Vieni!”. Poi, piccolo e traballante, quando nessuno vedeva, si arrampicava alla finestra della camera e gettava nel vuoto una bustina con un po’ di euro, sempre però facendo attenzione al vento che – brrrrr… – non la portasse via perché conteneva euro di carta e non qualche monetina di metallo! A dire il vero, questo non è mai accaduto. Poi, tutti due felici, si salutavano con un grande abbraccio da lontano.

Era morto un vescovo e don Alfonso si era fatto regalare lo zucchetto rosso, un distintivo che solo i vescovi come mons. Andrea Bruno possono portare. I catechisti se ne intendono e vi spiegheranno tutto per bene anche della mitria, del pallio, del pastorale e del perché don Luciano nelle solennità mette un mantelletto rosso. Però, chi lo sa! Forse a voi interessano di più la palestra, la chitarra, l’Udinese, le vacanze. Dunque, quando don Alfonso usciva con la sua sgangherata cinquecento per la città, metteva lo zucchetto in testa e così sembrava proprio un vescovo vero. I vigili qualche volta lo fermavano perché poneva la macchina fuori parcheggio o, pensate un po’, stava per imboccare un senso proibito, ma vedendolo dicevano: “E’ il nostro arcivescovo!” ….. E chiudevano un occhio; qualche volta o anche più… don Alfonso con la multa la passava liscia. I vigili non potevano fare una azione simile, ma succedeva proprio così. Che ne dite?  Invece don Gigi, quando era parroco, teneva la canonica con le porte aperte giorno e notte. C’erano e ci sono nella nostra città dei clandestini, forestieri, abbandonati da tutti e in cerca di lavoro per mangiare. Andavano da lui e lui rispondeva loro: -“C’è laggiù vicino alla strada un albero pericoloso per i passanti: tagliatelo!” Ma non sempre tagliavano l’albero malato ed allora erano guai… -“Correte a pulire il bagno puzzolente di quella povera donna sola”; – “Portate una trentina di tegole sul tetto della scuola materna perché sta piovendo dentro”….E loro eseguivano. Ma spesso sopraggiungevano i carabinieri e sentenziavano: – Stia attento, signor parroco; possiamo portarla in prigione per violazione dell’articolo… punti A e B della Legge dell’anno… ripresa dal Codice penale gennaio…. – Ma io aiuto i poveri. Obbiettava don Gigi. – No, Lei non può aiutarli così. La legge non lo consente! rispondevano con voce decisa i carabinieri. E il malcapitato parroco qualche volta è finito in tribunale… perché, col suo buon cuore, “correva sopra le righe” e doveva tacere e pagare. Giusto?

C’è poi qui alla Fraternità pre Virgulin di novant’anni suonati che parla, grida e canta a qualsiasi ora del giorno e della notte. Un frastuono vocale da turarsi tutte due le orecchie, naso compreso. Un giorno pre Sergio lo ha sgridato: -Tu sei il monello della Fraternità! E lui tutto felice passava con la carrozzina in corridoio e vociava: – Che bello, sono il monello della Fraternità.

Ora però dovrei anche raccontarvi di preti studiosi ed eruditi che conoscono cinque o sei lingue, oppure che trasmettono le loro prediche su radio nazionali o che hanno importanti uffici…. Forse qualcuno ne conoscete anche voi. Però – attenzione! – vedo che don Luciano ha messo due dita della mano in forbice, e questo gesto significa: “Tagliare”. E a mons. Luciano tocca obbedire, altrimenti voi sapete a quali avventure si va incontro.

Allora, di nuovo un sacco di grazie e di auguri da parte di tutta la Fraternità; auguri che porterete anche agli altri ragazzi / ragazze del catechismo, catechisti / catechiste. Salutate per noi anche mamma, papà e vicini di casa.                                                                                                                                                        Mandi, mandi.                        pre Tonin

Oggi si chiude il tempo di Natale e la scena è completamente cambiata. Non ci sono più Presepio, capanna, pastori, re magi., Maria e Giuseppe.  Non più il bambino nella mangiatoia. Ormai Gesù è presentato come un uomo che inizia la sua missione per realizzare il progetto che il Padre gli ha affidato. C’è una buona notizia da portare a tutti: la salvezza a quanti aprono il loro cuore. Gesù si mescola alla gente che va davanti a Giovanni Battista per compiere un gesto di conversione. Anche Lui condivide questa decisione di volgersi verso Dio. Così il suo Battesimo diventa una ”manifestazione”. I cieli si aprono perché non c’è più separazione tra il cielo e la terra, tra Dio e l’umanità dal momento che il suo Figlio è diventato uomo. Il Padre lo riconosce e lo indica a noi. Lo Spirito discende su Gesù perché Egli affronti e superi tutti gli ostacoli che incontrerà sul suo cammino. Noi ci mettiamo al suo seguito per vivere il nostro Battesimo che ci ha generati ad una vita nuova.

 

NON CI ARRENDIAMO !

 

A chi? Al Covid 19? Certamente. Continuiamo a contrastarlo con le attenzioni raccomandate e dovute: Mascherina, igienizzazione delle mani, distanziamento. E quindi il vaccino. E l’aiuto di Dio e della vergine Maria che sempre invochiamo.

Ma non è di questo che voglio parlare. C’è una emergenza che dura da tanti anni e forse ci siamo un po’ abituati, ci fermiamo soltanto a deplorare o a rammaricarci, rassegnati. Invece non dobbiamo arrenderci. In forza del nostro Battesimo.

Emergenza-famiglia

Si tratta dell’emergenza-famiglia. Non descrivo la situazione che è sotto gli occhi di tutti né vado in cerca delle molteplici cause, vorrei soltanto richiamare quello che il papa Francesco, voce della chiesa, ci ha sollecitati a fare: Reagire. Ci dice che tutte le famiglie, anche quelle più fragili e quelle che non rispecchiano l’ideale, possono essere integrate nella chiesa, secondo le modalità spiegate in “Amoris laetitia”. Il Papa ci invita a vivere un anno di riflessione sulla famiglia “per riscoprire il valore educativo del nucleo familiare: esso richiede di essere fondato sull’amore che sempre rigenera i rapporti aprendo orizzonti di speranza”, così egli ci diceva all’Angelus la Domenica della S. Famiglia di Nazareth. L’anno della famiglia sarà inaugurato il 19 marzo prossimo, Festa di S. Giuseppe, sposo di Maria e custode della famiglia. La famiglia è la chiesa domestica, come la chiesa è famiglia di famiglie. L’itinerario che verrà proposto contemplerà una pastorale che si occupi della educazione dei giovani all’affettività e la preparazione al matrimonio; offrirà dei percorsi circa “la santità degli sposi e delle famiglie che vivono la grazia del sacramento nella vita quotidiana”. Sappiamo quanto sia in declino la famiglia e quante sofferenze hanno vissuto e vivono le famiglie che conoscono divisioni, rancori, perfino odi. Pastori e famiglie credenti sono “chiamati ad una corresponsabilità e complementarietà pastorale tra le diverse vocazioni”. Siamo tutti invitati ad una collaborazione perché le nuove generazioni possano essere formate alla verità dell’amore e al dono di sé. Saranno necessari linguaggi e modalità diverse e una paziente comprensione della complessità della vita familiare odierna. Logicamente parlando di famiglia, si pensa ai giovani, ai fidanzati, agli sposi, ai genitori, ai bambini. Però il Papa ci ricorda spesso anche il ruolo degli anziani e dei nonni, che sono preziosi nelle famiglie, non soltanto per i servizi che riescono ancora a compiere ma anche per la loro semplice presenza. Non entro negli aspetti sociali, politici, culturali, economici che toccano da vicino le famiglie e che necessitano di una riflessione ulteriore che interessa anche la pastorale.

La benedizione dei bambini

Oggi, in chiesa, invochiamo la benedizione del Signore sui bambini. La nostra benedizione è Gesù, il Figlio di Dio che si è incarnato per la nostra salvezza e che tutti insieme abbiamo contemplato in questo tempo natalizio che oggi termina. La benedizione che scende dal cielo sollecita una risposta che avviene attraverso la benedizione che sale al Signore da parte nostra. Lo ringraziamo perché ci ha donato la vita ed il battesimo per il quale siamo realmente figli di Dio. Spesso ricordo ai genitori e lo faccio anche oggi: Benedite i vostri figli, fate un piccolo segno di croce quando li incontrate al mattino e li portate a scuola, pregate insieme quando vanno a dormire. La preghiera fatta insieme nella famiglia è una forza di coesione, di perdono, di amore che aiuta anche ad attraversare  le prove con speranza. È la prima testimonianza di fede che i genitori danno ai figli, oltre alla condotta di vita. Non arrendiamoci all’andazzo comune, sappiamo reagire invece per il bene comune e della propria famiglia. A tutte le famiglie che sono chiamate ad essere uno splendido segno dell’amore di Dio qui sulla terra, auguro un buon cammino nell’anno appena iniziato. San Giuseppe, custode della divina famiglia, prega per noi!                                                                               Il Parroco don Luciano.

Il parroco ringrazia cordialmente i sacerdoti, le suore ed i laici che hanno collaborato perché il tempo di Avvento e il tempo di Natale potessero essere vissuti con partecipazione e con frutto spirituale.

“Necessità di un patto educativo globale”

Negli ultimi 30 anni la chiesa ha posto tra i suoi impegni più urgenti l’emergenza educativa. Il 15 ottobre scorso il Papa ha fatto risuonare con forza questo problema, parlando di “catastrofe educativa” e ha lanciato un “Patto educativo globale” aperto a tutti, oltre gli steccati delle culture e delle religioni. Oggi non c’è nessuno che non sia d’accordo sulla drammatica necessità di unire gli sforzi per ricucire quel patto educativo tra le generazioni che, a partire dagli anni 70, sembra essere gravemente compromesso. Il Papa indica i punti cruciali di una questione di enorme entità, resa ancor più impegnativa dalla particolare condizione socio-sanitaria innescata dalla pandemia. Se è vero che questo contagio lascerà profondamente diversa la nostra società, avverranno cambiamenti economici e culturali che costringeranno ad una revisione di abitudini e stili di vita che potranno aprirci a nuovi schemi educativi.  Le nuove tecnologie influiranno, con effetto ambivalente, sulle relazioni educative. Non si tratta solo di una questione tecnica, ci avverte il Papa. E neppure di colmare il divario di conoscenze che spesso divide genitori e figli. Il problema è più profondo, riguarda l’educazione ai valori, la trasmissione della fede, la capacità di accompagnare i figli verso il futuro con speranze fondate. Quali sono i punti chiave di un percorso educativo che possa incidere nella complessità dei nostri giorni? L’educazione alla pace, all’accoglienza, al dialogo, alla sobrietà, alla custodia della casa comune e alla fraternità. Nel concetto di fraternità universale è profondamente innestato il senso dell’accompagnamento educativo. Solo se ci riconosciamo fratelli di fronte all’unico Padre e ci sforziamo di tradurre questa consapevolezza in scelte concrete, riusciremo a comprendere che educare vuol dire “far fiorire l’umanità di oggi e di domani”.

I sette punti del patto

  1. Valore e dignità della persona umana. La sua bellezza e la sua unicità. La sua capacità di essere in relazione con gli altri, con la realtà che la circonda. Contro gli stili di vita che favoriscono la diffusione della cultura dello scarto.

  2. Ascoltare la voce dei bambini, dei ragazzi e dei giovani. Costruire insieme un futuro di giustizia e di pace, una vita degna per ogni persona.

  3. Favorire la piena partecipazione delle bambine e delle ragazze all’istruzione.

  4. Vedere nelle famiglie il primo ed indispensabile soggetto educatore.

  5. Educare ed educarci all’accoglienza, aprendoci ai più vulnerabili ed emarginati.

  6. Trovare altri modi di intendere l’economia, la politica, la crescita e il progresso. Siano al servizio dell’uomo e dell’intera famiglia umana nella prospettiva di una ecologia integrale.

  7. Custodire e coltivare la nostra casa comune secondo i principi della solidarietà, della sussidiarietà e dell’economia circolare.