GIORNATA DEL SEMINARIO: L’ARCIDIOCESI DI UDINE PREGA E SOSTIENE I SEMINARISTI E I LORO EDUCATORI

 

La Giornata del Seminario si celebra nell’Arcidiocesi di Udine la domenica di Cristo Re, quest’anno il 26 novembre. È un’opportunità per tutti i fedeli della Chiesa udinese di stringersi attorno alla piccola – ma significativa e vivace – comunità che vive e studia nel seminario interdiocesano di Castellerio, nei pressi di Pagnacco. Sono diversi gli obiettivi di questa Giornata: accompagnare nella preghiera i giovani seminaristi e tutti coloro che si dedicano alla loro crescita educativa, in un clima di comunione ecclesiale e spirituale; far conoscere il Seminario come “cuore pulsante” della Diocesi e dei futuri sacerdoti. Il Seminario, infatti, è sempre più un punto di riferimento spirituale per le Parrocchie e per i gruppi ecclesiali dell’Arcidiocesi udinese; proporre un annuncio vocazionale, che riguardi tutti gli stati di vita, compreso quello sacerdotale; sostenere economicamente le attività formative e vocazionali del Seminario. A questo proposito, le offerte raccolte nelle chiese durante la Giornata del Seminario saranno devolute proprio alle necessità del Seminario.

Chi sono i giovani seminaristi

Gli studenti del Seminario sono 24, compresi alcuni diaconi che proseguono gli studi e la vita comunitaria in vista dell’ordinazione sacerdotale. Nel novero sono inclusi anche due giovani – entrambi afferenti all’Arcidiocesi di Gorizia – che stanno frequentando l’anno propedeutico in vista di un eventuale ingresso nel Seminario di Castellerio.

  • per l’Arcidiocesi di Udine ci sono 13 seminaristi compresi tre diaconi transeunti;

  • per l’Arcidiocesi di Gorizia ci sono 6 seminaristi, compreso un diacono transeunte e due giovani al “propedeutico”;

  • per la Diocesi di Trieste ci sono 5 seminaristi, compresi due diaconi transeunti.

La comunità è multietnica (un autentico “specchio” della cattolicità della Chiesa), dal momento in cui in Seminario vivono e studiano seminaristi che provengono da diversi paesi del mondo:

Italia: 16 seminaristi; Ghana e Sri Lanka: 2 seminaristi; Colombia, Croazia, Togo e Nigeria: 1 seminarista.

L’équipe educativa del seminario

Il gruppo dei seminaristi è guidato da un’équipe educativa composta da:

  • don Daniele Antonello (dell’Arcidiocesi di Udine), rettore del Seminario;

  • don Paolo Greatti (Arcidiocesi di Udine), vice-rettore;

  • don Antonio Bortuzzo (Diocesi di Trieste), direttore spirituale;

  • mons. Nicola Ban (Arcidiocesi di Gorizia), animatore dell’anno propedeutico;

  • don Franco Gismano (Arcidiocesi di Gorizia), direttore dello Studio Teologico Interdiocesano.

A loro si aggiungono – con compiti diversi – gli incaricati diocesani per il seminario, sacerdoti che fungono da primo punto di riferimento per i giovani che si interrogano sulla strada della propria vita.

 Per l’Arcidiocesi di Udine il riferimento è don Daniele Antonello, per l’Arcidiocesi di Gorizia si può far affidamento a mons. Nicola Ban, mentre l’incaricato per la Diocesi di Trieste è don Sergio Frausin.

Le “suore del seminario”

Nel seminario di Castellerio vive anche una comunità di tre suore Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei poveri. Si tratta di una congregazione messicana fondata da San Josè Maria de Yermo nel 1885. Le suore sostengono la comunità con la preghiera e si occupano dell’accoglienza e della gestione della foresteria. Sono presenti in seminario dal mese di settembre del 2012.

Monastero invisibile, la preghiera per le vocazioni

In occasione della Giornata del Seminario, l’Arcidiocesi di Udine rilancia l’esperienza del Monastero invisibile: già 600 persone, in tutta la Diocesi, pregano per le vocazioni. L’iniziativa del Monastero invisibile, peraltro, pone un’attenzione particolare al coinvolgimento degli infermi. Il Monastero invisibile è un’iniziativa dell’Arcidiocesi di Udine che coinvolge tutte le persone che desiderano dedicare un po’ di tempo alla preghiera per le vocazioni al sacerdozio.

VISITE TURISTICHE AL DUOMO E AL MUSEO POSSIBILI PREVIA RICHIESTA A:

museo@cattedraleudine.it

 

DAL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

VII GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7)

 

  1. La Giornata Mondiale dei Poveri, segno fecondo della misericordia del Padre, giunge per la settima volta a sostenere il cammino delle nostre comunità. È un appuntamento che progressivamente la Chiesa sta radicando nella sua pastorale, per scoprire ogni volta di più il contenuto centrale del Vangelo. Ogni giorno siamo impegnati nell’accoglienza dei poveri, eppure non basta. Un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte. Per questo, nella domenica che precede la festa di Gesù Cristo Re dell’Universo, ci ritroviamo intorno alla sua Mensa per ricevere nuovamente da Lui il dono e l’impegno di vivere la povertà e di servire i poveri (…)

Ringraziamo il Signore perché ci sono tanti uomini e donne che vivono la dedizione ai poveri e agli esclusi e la condivisione con loro; persone di ogni età e condizione sociale che praticano l’accoglienza e si impegnano accanto a coloro che si trovano in situazioni di emarginazione e sofferenza. Non sono superuomini, ma “vicini di casa” che ogni giorno incontriamo e che nel silenzio si fanno poveri con i poveri. Non si limitano a dare qualcosa: ascoltano, dialogano, cercano di capire la situazione e le sue cause, per dare consigli adeguati e giusti riferimenti. Sono attenti al bisogno materiale e anche a quello spirituale, alla promozione integrale della persona. Il Regno di Dio si rende presente e visibile in questo servizio generoso e gratuito; è realmente come il seme caduto nel terreno buono della vita di queste persone che porta il suo frutto (cfr Lc 8,4-15). La gratitudine nei confronti di tanti volontari chiede di farsi preghiera perché la loro testimonianza possa essere feconda (…)

È facile, parlando dei poveri, cadere nella retorica. È una tentazione insidiosa anche quella di fermarsi alle statistiche e ai numeri. I poveri sono persone, hanno volti, storie, cuori e anime. Sono fratelli e sorelle con i loro pregi e difetti, come tutti, ed è importante entrare in una relazione personale con ognuno di loro (…)

La nostra attenzione verso i poveri sia sempre segnata dal realismo evangelico. La condivisione deve corrispondere alle necessità concrete dell’altro, non a liberarmi del mio superfluo. Anche qui ci vuole discernimento, sotto la guida dello Spirito Santo, per riconoscere le vere esigenze dei fratelli e non le nostre aspirazioni. Ciò di cui sicuramente hanno urgente bisogno è la nostra umanità, il nostro cuore aperto all’amore. Non dimentichiamo: «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, 198). La fede ci insegna che ogni povero è figlio di Dio e che in lui o in lei è presente Cristo: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

 

Saggezza di Papa Francesco

“Proprio in quanto persone della cosiddetta terza età voi, o meglio noi – perché anch’io ne faccio parte -, siamo chiamati a operare per lo sviluppo della cultura della vita, testimoniando che ogni stagione dell’esistenza è un dono di Dio e ha una sua bellezza e una sua importanza, anche se segnate da fragilità.”

(Udienza ai partecipanti alla festa dell’Associazione nazionale lavoratori anziani e federazione senior Italia FederAnziani, 15 ottobre 2016)

“I nonni sono la saggezza, la memoria di un popolo e devono trasmettere questa memoria ai nipotini. I giovani, i bambini devono parlare con i nonni per portare avanti la storia.”

(Discorso alle famiglie all’Incontro mondiale di Dublino, 29.08.18)

“Cari nonni, cari anziani, mettiamoci nella scia di questi vecchi [Simeone e Anna] straordinari! Diventiamo anche noi un po’ poeti della preghiera: prendiamo gusto a cercare parole nostre, riappropriamoci di quelle che ci insegna la Parola di Dio. È un grande dono per la Chiesa, la preghiera dei nonni e degli anziani!”

(Udienza generale dell’11 marzo 2015)

“In questa Giornata della Gioventù, i giovani vogliono salutare i nonni. Li salutano con tanto affetto e li ringraziamo per la testimonianza di saggezza che ci offrono continuamente.”

 (Angelus alla Gmg di Rio de Janeiro, 26 luglio 2013)

“Preghiamo per i nostri nonni, le nostre nonne, che tante volte hanno avuto un ruolo eroico nella trasmissione della fede in tempo di persecuzione. Quando papà e mamma non c’erano a casa e anche avevano idee strane, che la politica del tempo insegnava, sono state le nonne che hanno trasmesso la fede.

(Omelia in Santa Marta, 19 novembre 2013)

“Promettete di preparare la prossima Gmg parlando di più con i nonni? E se i vostri nonni sono già in cielo, con gli anziani?”

(Saluto ai volontari della Gmg di Cracovia, 31 luglio 2016)

“Noi non siamo geronti: siamo dei nonni. Dei nonni ai quali i nostri nipotini guardano. Dei nonni che devono dare loro un senso della vita con la nostra esperienza. Nonni non chiusi nella malinconia della nostra storia, ma aperti per dare questo. Noi siamo dei nonni chiamati a sognare e dare il nostro sogno alla gioventù di oggi: ne ha bisogno. Perché loro prenderanno dai nostri sogni la forza per profetizzare.”

(Ai cardinali, omelia per il 25° della sua ordinazione episcopale)

 

I SANTI CAMMINANO TRA NOI

 

Carissimi fedeli,

mi è gradito unirmi ai parrocchiani di Percoto e condividere anche con voi la loro gioia, per il fatto che il Papa ha riconosciuto le virtù eroiche e la guarigione miracolosa di un bambino argentino destinato inesorabilmente alla morte e invece vive, grazie all’intercessione dell’umile card. Edoardo Pironio che presto verrà proclamato “beato”.

È davvero un regalo per noi friulani. Ventiduesimo figlio degli emigranti Giuseppe (di Percoto) e Enrica Buttazzoni (di Camino di Buttrio) era nato nel 1920 a Nueve de Julio in Argentina. Siccome l’ho conosciuto a Percoto tra gli anni 1970-80 mentre era a Roma per il suo servizio presso la Curia e veniva in Friuli dove si sentiva amato dai suoi compaesani ed io ero parroco di Pavia di Udine, mi è caro ricordare quegli incontri che poi si sono ripetuti mentre ero parroco di S. Quirino in via Gemona ed egli veniva a fare visita ai suoi parenti che gestivano il Bar Valentino sul piazzale Osoppo. In questi anni il gruppo degli “Amici del card. Pironio” mi hanno sempre invitato agli eventi riguardanti questo loro illustre compaesano, ai quali ho partecipato con gratitudine. Aver stretto la mano a un santo come Papa Giovanni Paolo II, come Paolo VI, come card. Pironio, mi provoca una strana sensazione. Mi sembra impossibile che sia avvenuto questo incontro e contemporaneamente mi fa contento che sia accaduto: ho stretto la mano di un santo! Ma davvero? L’ho avuto così vicino? L’ho toccato? Con le mie mani? Mi è difficile immaginare un santo… così alla portata di mano! Un santo sta sugli altari, un po’ distante da noi. Noi non siamo come lui, né saremo capaci di essere come lui. Non è vero.

Infatti questi santi li abbiamo incontrati sulle nostre strade, nella nostra vita. Questo ci conforta perché questi santi dei nostri tempi sono persone vicine a noi anche nel tempo, hanno fatto le nostre stesse esperienze di bene e di male. Hanno vissuto le nostre preoccupazioni e difficoltà. Hanno gioito e fatto festa come noi. Hanno provato e perciò sanno e comprendono. Come è bella questa santità semplice e quotidiana, possibile a tutti!

Certamente santo è Dio. È Lui che si avvicina a noi, ci rende santi partecipandoci la sua vita nel Battesimo e negli altri sacramenti che sono i segni del suo amore nella nostra vita di uomini e donne del nostro tempo così complesso.

Vedo la santità del card. Pironio nell’amore da lui vissuto nel quotidiano, incarnato nell’umano. Parlava in friulano, imparato in famiglia, e raccontava, con una punta di orgoglio, di aver appreso gli insegnamenti del Vangelo dal catechismo che suo padre Giuseppe gli insegnava “par furlan”. Ci ha mostrato un tratto del volto di Cristo nell’amore ai poveri dando voce anche a loro e vivendo la dimensione della povertà, nel suo sguardo limpido verso i giovani che vedeva portatori di speranza e perciò aveva promosso e collaborato nella organizzazione delle Giornate della Gioventù (GMG) che ancora si celebrano e che attirano tanti giovani, lasciando nei loro cuori una esperienza di notevole impatto con la vita di fede. In questa foto lo vediamo accanto al Papa Giovanni Paolo II e all’Arcivescovo Mons. Alfredo Battisti durante l’incontro con la gioventù in occasione del Congresso Eucaristico nel 1992 a Udine. Bella anche la testimonianza di Papa Francesco che, avendo conosciuto in Argentina Mons. Pironio, quale vescovo di Mar del Plata, così di lui diceva: “Ti apriva un panorama di santità dalla sua profonda umiltà. Ti apriva orizzonti, sperimentavi che non chiudeva mai le porte a nessuno.”

Permettetemi adesso un ricordo personale piuttosto faceto. Avevo concelebrato con lui la S. Messa nel Santuario della Madonna di Muris. Al momento della Comunione tutti andavano a riceverla dal card. Pironio e perciò la fila era lunga e il tempo si protraeva mentre io, accanto a lui aspettavo che qualcuno venisse da me, almeno per educazione, ma visto che restavo lì impalato con la particola in mano, dopo qualche minuto di attesa, riposi devotamente la particola nella pisside. Tra il mortificato e il divertito accennai un sorriso che tutti compresero perché provocò altrettanti sorrisi sul volto dei fedeli che erano in fila davanti al cardinale, quasi per dirmi: “Ma don Luciano, scusa sai, cosa pretendi? È il nostro cardinale!”  Mi ritirai in buon ordine e mi sedetti in attesa che la fila davanti al cardinale giungesse al termine. Venne l’ora di pranzo che si tenne nell’Asilo Infantile di Percoto, al quale anch’io ero invitato insieme con le autorità e tanta gente. Fu una festa indimenticabile. Verso la fine del pranzo gli organizzatori mi invitarono a prendere la parola. Feci i convenevoli di rito, porsi gli auguri al cardinale Pironio, mi complimentai coi parrocchiani per la bella festa e poi così terminai: “Cari Percotesi, se il Papa un giorno mi dovesse, per caso, creare cardinale, vi raccomando… non venite tutti da me a fare la Comunione perché qualcuno si offenderebbe!” Tutto finì icon una grande risata e naturalmente il cardinale partecipò divertito. Ora è beato, in Paradiso. Lo possiamo pregare perché metta anche per noi una buona parola presso il Signore. Tra amici ci si aiuta.

Buona domenica a tutti.                                            Il Parroco don Luciano Nobile

 

 

PREGHIERA ALLA MADONNA

 

Maria, madre dei poveri e dei piccoli,
di quelli che non hanno nulla, che soffrono solitudine
perché non trovano comprensione in nessuno.

Grazie per averci dato il Signore.

Ci sentiamo felici e col desiderio di contagiare molti di questa gioia.

Di gridare agli uomini che si odiano che Dio è Padre e ci ama.
Di gridare a quanti hanno paura: «Non temete».

E a quelli che hanno il cuore stanco: «Avanti che Dio ci accompagna».
Madre di chi è in cammino, come te, senza trovare accoglienza, ospitalità.

Insegnaci a essere poveri e piccoli. A non avere ambizioni.
A uscire da noi stessi e a impegnarci, a essere i messaggeri della pace e della speranza.

Che l’amore viva al posto della violenza. Che ci sia giustizia tra gli uomini e i popoli.

Che nella verità, giustizia e amore nasca la vera pace di Cristo
di cui come Chiesa siamo sacramento.

(Card. Eduardo Pironio)

 

IO DIFENDO HALLOWEEN

 

Ricordi e nostalgie

Il 1° novembre, Solennità di Tutti i santi, sono andato a cantare i Vesperi nel Cimitero di San Vito, dove ho accompagnati tanti, tanti defunti in oltre 35 anni di parroco a Udine. Secondo la tradizione, in questo giorno si va a pregare per i morti e si aspergono le tombe con l’acqua benedetta, in ricordo del battesimo ricevuto. È una bella tradizione che manifesta fede e speranza. Poi sono andato al mio paese di nascita, era già buio. Entrato nel cimitero, ho notato pochissime persone aggirarsi tra le tombe. Certamente molti altri erano stati nel primo pomeriggio. Udivo soltanto qualche parola appena sussurrata, per non disturbare quella quiete. Poi silenzio. Solo il rumore dei passi di chi si spostava da una tomba all’altra.  Ho avuto una strana sensazione, mi è sembrato di entrare in un presepio! Tanti lumini accesi sulle tombe mi hanno riportato alle piccole luci accese nelle casette del presepio, che noi tutti, da bambini, senz’altro abbiamo acceso la notte di Natale, restando incantati. Quelle fiammelle rosse e tremolanti, nel silenzio, mi stavano ad indicare una presenza di persone conosciute. Mi è stata cara questa breve camminata sul sentiero tra le tombe, recitando il Rosario, distratto dai ricordi che affollavano la mente ed il cuore. Era una distrazione piacevole o forse non era neppure una distrazione ma un arricchimento della preghiera. Un Rosario, che alle volte sembra monotono per la ripetizione delle stesse preghiere, era diventato un dolce accompagnamento dei sentimenti provati, un desiderio di presenze vive: i genitori, i fratelli, i parenti, i coetanei, i paesani passati all’altra riva del mare della vita. Mi è venuta in mente l’esperienza vissuta da bambino. Le giornate fredde e ventose prima della festa dei Santi, nel pomeriggio, erano dedicate alla cura delle sepolture che dovevano essere perfette e le lapidi spazzolate e lavate. La processione, dopo il canto dei vesperi, dalla chiesa al cimitero, era attesa e partecipata da tutti mentre la cantoria parrocchiale cantava il Miserere solenne che risuona ancora nei miei orecchi. E poi la predica del parroco e le preghiere in latino. Era un rito che si ripeteva ogni anno, al quale anche noi bambini partecipavamo prendendo il nostro posto, accompagnati dalle Suore Dimesse, subito dopo la croce portata con solennità e devozione da una persona adulta. Sentivamo la serietà del momento ed era forse l’unica volta che camminavamo devoti, stringendo una candela in mano, senza scherzare, senza ridere, senza farci dispetti. Io non dimentico mai un piccolo episodio legato a questa candela della notte dei Santi. Suor Elena ci aveva detto che era bene partecipare alla processione portando una candela. La candela costava 100 lire, così mi pare. Come fare? Non potevo essere da meno degli altri bambini. Ho preso il coraggio a quattro mani e ho chiesto i cent francs a mia mamma. L’ho tanto tormentata tutto il pomeriggio finché ha ceduto. Mi ha portato nella sua camera, ha aperto l’ultimo cassetto dell’armadio e ha cercato tra le lenzuola piegate dove aveva nascosto, ben avvolta in un fazzoletto annodato, una moneta e l’ha data a me per la mia insistenza e mi ha fatto felice. Ma ancora oggi sento un filo di rimorso per questa insistente richiesta, poiché solo dopo mi ero reso conto che quella era l’unica moneta che mia mamma conservava come un tesoro nascosto in casa. Tempi ormai passati. Nostalgia? Forse. Sentimentalismi? Mah! Questa è la verità.

Illusioni e verità

Uscendo dal cimitero di S. Vito a Udine, una giovane coppia mi chiama: “don Luciano, come sta?” Vedo anche due bambine. “O bravi, così mi piace! Avete portato le figlie in cimitero!” “Siamo venuti a salutare i nonni”.

A dire il vero non ho visto tanti bambini nel cimitero, forse saranno stati in altro orario. Ma so che c’è una tendenza a nascondere la morte. Passi sì, ma se ne vada in fretta, senza che ce ne accorgiamo. Non creiamo traumi nei bambini. Certamente, non dobbiamo creare traumi. Allora cosa facciamo? Non ne parliamo? Li illudiamo? Oppure potremmo accompagnarli ad accogliere anche questa realtà, che ci manifesta il nostro limite, poiché ci rendiamo conto di non essere onnipotenti. Potremmo anche dare una prospettiva annunciando la Parola di Dio che ci porta a Cristo Risorto, speranza di resurrezione per tutti. Invece si va in piazza ad esorcizzare la morte, nelle forme più macabre. Orribili. Lasciatemi dire, di cattivo gusto ma attraenti per i ragazzi. È Halloween. Perché? Non lo so. Non capisco. Potrei tacere. Cerco di interpretare, senza malizia, senza condanna. Non faccio una crociata. Cerco di ragionare: Mi faccio e rivolgo a voi delle domande. Anch’io da bambino ho giocato con gli altri bambini nella serata della festa dei Santi. Prendevamo una bella zucca grossa e la svuotavamo del suo contenuto. Poi si scavavano gli occhi, il naso e la bocca e quindi all’interno ponevamo una piccola candela. Collocata la zucca in un luogo piuttosto buio ma frequentato lungo la strada, ci nascondevamo per osservare i passanti che all’improvviso si imbattevano in questa specie di teschio che, nei nostri intenti, doveva far paura, per poter divertirci. Gli adulti e i giovani che di là passavano, facevano finta di essere sorpresi e terrorizzati e affrettavano il passo per… darci la soddisfazione di essere riusciti nella nostra impresa. E noi, ingenui e contenti, scoppiavamo a ridere. Sì, ridevamo, ma non sulla morte con la quale avevamo, non dico una certa dimestichezza ma una conoscenza non proprio così traumatica. Infatti nei funerali, noi chierichetti, cercavamo di arrivare per primi in sagrestia per appropriarci del secchiello dell’acqua benedetta, un servizio che ci permetteva di accompagnare il parroco fino nella stanza del morto per poterlo vedere.

Strana curiosità, “naturalmente” educativa. Nessun trauma. Almeno né io, né i miei coetanei ce ne siamo accorti. Siamo rimasti normali, mi pare.

Io difendo “questo” Halloween, naturale e simpatico che fa parte della vita. Mi sembra sia questo il vero “dolcetto o scherzetto”.  Lo scherzo e la realtà andavano insieme.

Alcune domande per riflettere

Cosa vedo dietro l’Halloween sorto in questi anni e dilagante oltre ogni misura con la sua prepotenza sorretta e motivata non certo da uno scherzetto. Immagini horror da una parte sulle piazze e lungo le strade, dall’altra orrori veri sulle piazze e lungo le strade dove imperversa la guerra. Questa festa, chiamiamola così con un termine per me falso, che cresce e viene incrementata da una forte spinta commerciale, cosa significa? È educativa? A parte il fatto che si sostituisce ad una festa religiosa di altro significato, ben più alto e gioioso, dove porta? Ad un mondo di mostri? Di zombie? Di gusto del macabro? Della bruttura? Cari genitori ed educatori cosa pensate di questa attrazione da pare dei ragazzi verso un tipo di mondo che non manifesta alcuna bellezza? E poi in questo tempo in cui la morte miete vittime a causa delle guerre e strazia le famiglie e la società! Che influsso ha sulla psiche dei piccoli …e dei grandi? Cosa si sta promuovendo o si permette di promuovere? E se andassimo controcorrente? Vorrei soltanto suonare un piccolo campanello di allarme e portare alla riflessione.

Io credo sia più bello e più vero pensare alla vita come a un dono da donare, che si svolge nel quotidiano cammino accanto a persone reali e non a fantasmi, che confluisce non verso il nulla o la morte da esorcizzare ma in un abbraccio con Colui che ci ha creati e la cui immagine risplende nel suo Figlio e nel volto di tanti uomini e donne che hanno percorso o vivono la loro vita guardando a Lui e operando come Lui. Promuoviamo la bellezza per rendere bello il mondo!

                                                             Buona domenica. Don Luciano

 

“FINE VITA” Documento dei Vescovi del Triveneto

 

La morte nell’attualità

La cronaca quotidiana parla spesso di morte: dall’Ucraina alla Terra Santa e ai tanti conflitti oggi presenti nel mondo, dai femminicidi ai morti sul lavoro, da quanti annegano tragicamente nel Mediterraneo alle vittime della pena di morte ancora vigente in molte nazioni.

Questioni sulle quali – anche sorretti dal magistero di Papa Francesco – siamo tutti chiamati a prenderci impegnative responsabilità.

C’è un’altra questione che ci interpella: ed è quella dei malati gravi. Di frequente vengono portati a conoscenza dell’opinione pubblica i casi di quanti – in diverse parti del mondo – muoiono per effetto di pratiche eutanasiche legalizzate in un numero sempre più crescente di ordinamenti. Ultimamente si sta imponendo con forza il tema del suicidio assistito, oggetto di riflessione della bioetica, della filosofia e della teologia morale, delle scienze mediche; in ambito culturale e politico è spesso sbandierato come un’acquisizione di diritto e ideologicamente salutato come una conquista di libertà. Come Chiesa avvertiamo l’urgenza e il dovere morale di intervenire, in un contesto di confronto e dialogo, per contribuire ad una riflessione che permetta a tutti e reciprocamente di approssimarsi ad una verità pienamente al servizio della persona. Intendiamo, perciò, rivolgere una parola da condividere con tutti e su cui riflettere insieme.

Le questioni aperte

Sorgono molti interrogativi che toccano la vita di tutti, che riguardano la ricerca di senso, e che interpellano la coscienza di ognuno facendo parte di un destino comune. Quale significato della vita? Come comprendere il mistero della vita? Perché il dolore e la sofferenza innocente? Come assistere i malati gravi e terminali? Come accompagnare i familiari e quanti seguono un loro caro alla conclusione della vita fisica? Quali diritti del malato terminale vanno riconosciuti e garantiti dall’ordinamento statale e dalle strutture sanitarie? Oggi i progressi della medicina hanno portato a situazioni nuove e del tutto inedite. Ma, come la recente pandemia ha dimostrato, la persona non può esimersi dal confronto con il mistero del limite creaturale e della morte che ne rappresenta l’esito estremo e non si può evitare di fare i conti con essa. Si pongono con forza domande sul dolore fisico e sulla sofferenza che ne consegue.

Dignità della persona

La “vulnerabilità” emerge come una cifra insita nell’essere umano e, in una logica di ecologia integrale, in ogni essere vivente. La persona si legge come “essere del bisogno”: un bisogno che si concretizza nel pianto del neonato, nella fragilità dell’adolescente, nello smarrimento dell’adulto, nella solitudine dell’anziano, nella sofferenza del malato, nell’ultimo respiro di chi muore. Tale cifra attraversa ogni fase dell’esistenza umana.

È essenziale porre l’accento sul tema della dignità della persona malata e sul dovere inderogabile di cura che grava su ogni persona ed in particolare su chi opera nel settore socio-sanitario chiamando in causa l’etica, la scienza medica e la deontologia professionale.

Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale.

Non anticipare la morte

Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte. La deriva a cui ci si espone, in un contesto fortemente tecnologizzato, è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico obiettivo il superamento della malattia quanto, piuttosto, il prendersi cura della persona malata. Il paziente inguaribile non è mai incurabile. Per il paziente inguaribile il rischio è duplice: o l’accanimento terapeutico, che determina il superamento del criterio di ragionevolezza e proporzionalità nel processo di cura, o l’abbandono terapeutico, nel momento in cui viene meno la possibilità di ottenere la guarigione, senza ricordare che – se non è possibile guarire – si può sempre alleviare il dolore e la sofferenza attraverso le cure palliative. Nessuno può essere lasciato morire da solo!

Il dramma della sofferenza

Il dramma della sofferenza (spirituale e psicologica), che sempre si accompagna al dolore fisico di chi vive un prolungato periodo di malattia, a volte irreversibile e sottoposto a invasivi trattamenti di sostegno vitale, interpella tutti. La risposta doverosa è sì il rispetto per il travaglio della coscienza di ognuno ma in particolare l’impegno a fare in modo che ogni persona si senta parte di un contesto di relazioni di qualità che permettano di superare lo sconforto e il senso di impotenza. Una società capace di cura evita lo scarto e costruisce cammini di speranza non solo per le persone assistite ma anche per chi se ne prende cura, non lasciando sole le famiglie e rinsaldando il vincolo sociale di solidarietà di fronte a chi soffre. In tutto questo le comunità cristiane sono chiamate a fare la loro parte.

La sentenza della Corte Costituzionale

La sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, intervenuta su un caso specifico, ha tracciato chiari limiti applicativi al suicidio medicalmente assistito fissando condizioni molto stringenti, ribadendo la centralità del valore della vita e della dignità della persona ed investendo il Parlamento – non i singoli Consigli regionali – a pronunciarsi.

Si rimane molto perplessi di fronte al tentativo in atto da parte di alcuni Consigli regionali di sostituirsi al legislatore nazionale con il rischio di creare una babele normativa e favorire una sorta di esodo verso le Regioni più libertarie. Destano anche preoccupazione i pronunciamenti di singoli magistrati che tentano di riempire spazi lasciati vuoti dal legislatore.

Deliberazioni etiche

È compito delle Regioni favorire luoghi di confronto e deliberazione etica quali sono i Comitati etici richiamati dalla sentenza stessa della Corte, poco diffusi sul territorio nazionale e spesso fatti intervenire quando tutto è già stato deciso, vanificando la funzione del Comitato stesso o mettendolo di fronte alla ratifica quasi obbligata di decisioni assunte da altri. E invece essi sono chiamati ad offrire la loro valutazione avendo sempre a cuore la tutela e il bene delle persone. È compito delle Regioni promuovere politiche sanitarie che favoriscano la diffusione della conoscenza e l’uso delle cure palliative, la formazione adeguata del personale, la presenza e l’azione di hospice dove la persona malata in fase terminale trovi un accompagnamento pieno, nelle varie dimensioni del suo essere, cosicché sia alleviato il dolore e lenita la sofferenza. Dispiace, invece, constatare come le cure palliative non siano adeguatamente diffuse e accessibili a tutti, anche nella forma domiciliare, e come vi siano anche differenze tra Regioni che rendono difficile e perciò impraticabile una vera assistenza di qualità, condizione necessaria per una vera alleanza terapeutica in cui il paziente possa sentirsi libero, anche di amare e lasciarsi amare, fino al sopraggiungere naturale della morte che, per il credente, è l’ingresso nella vita piena in Dio. Di fronte alla crisi dei luoghi di confronto e deliberazione etica le comunità, specialmente quelle cristiane, devono sentirsi stimolate a favorire uno spazio etico nel dibattito pubblico, rispondendo anche a quanto affermato dal Comitato Nazionale per la Bioetica (cfr. Vulnerabilità e cura nel welfare di comunità. Il ruolo dello spazio etico per un dibattito pubblico, dicembre 2021), e a promuovere una coraggiosa cultura della vita (cfr. Laudato si’ n. 117: “tutto è connesso”). In tali spazi possono trovare eco le domande di molte donne e molti uomini – credenti, non credenti e in ricerca – che abitano come operatori gli ospedali, le case di cura, le RSA e gli hospice e a cui non basta più solo una risposta tecnico-procedurale.

I cristiani, infine, sono invitati a leggere anche queste esperienze alla luce della fede che ha nel Mistero pasquale – di morte, di risurrezione e di vita piena nello Spirito – il suo centro e culmine. Per il cristiano il mistero del dolore e della sofferenza di ogni persona suscita nel cuore una compassione carica di preghiera e che porta a rimanere accanto a chi è sofferente con l’atteggiamento di Maria e Giovanni ai piedi della croce di Gesù. Al Dio e Signore della vita – che nel suo Figlio Crocifisso ben capisce il dolore e la sofferenza umana fino a farla sua – noi affidiamo tutti, proprio tutti.

 

Presso la Chiesa di S. Giacomo ha sede, da secoli, la conosciutissima “Congregazione della Madonna del suffragio per le anime del purgatorio” detta comunemente Confraternita, sodalizio o Scuola di S. Giacomo. Possono essere iscritti vivi e defunti.

Queste iscrizioni si chiamano “Legati” e il suffragio è perpetuo. All’atto dell’iscrizione viene rilasciata apposita “pagella-sommario delle S. Messe, indulgenze, grazie spirituali e privilegi ” concessi dai Sommi Pontefici a tutti gli iscritti. Ogni giovedì, in perpetuo, viene celebrata una S. Messa per gli iscritti, così come, ogni anno, dal 2 novembre in poi, nell’ottavario tradizionale e, nella seconda domenica di Quaresima, festa di S. Fabio martire, Patrono del Sodalizio.

Tutte le celebrazione sopra menzionate sia settimanali che annuali, hanno carattere di perenne suffragio per gli iscritti defunti e di incessante preghiera per gli iscritti viventi. Il  Sodalizio risale al Medioevo, poco dopo il 1200, ed è stato canonicamente istituito ed approvato a tutti gli effetti canonici il 11 Aprile 1668.                  (Roberto Lesa)

 

02 novembre 2023 Chiesa S. Giacomo:

Ore 10.00 Inizia l’Ottavario di preghiera per i defunti della Confraternita del Suffragio

 

PREGHIERA PER LA PACE

 

 Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. ”Ora,Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace
Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”.

Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace. Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, Dio Amore che ci hai creati e ci chiami a vivere da fratelli, donaci la forza per essere ogni giorno artigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino.

Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perché vinca finalmente la pace.

E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen.               (Papa Francesco)

 

 

TESTIMONIANZE MISSIONARIE

                                            

“Non lasciamoci rubare la speranza…”

Una delle prime impressioni, dopo il mio arrivo nel Nordest del Brasile, particolarmente nel contatto con i ragazzi e i giovani a João Pessoa, è stata la loro mancanza di “libertà di scelta” e di esercizio di responsabilità etica. Questi ragazzi non potevano scegliere niente. Mancavano anche di quello che noi riteniamo essenziale per vivere: non avevano da mangiare in casa, non avevano una scuola che funzionasse almeno per insegnare le cose fondamentali. Non avevano un modello di adulto nel quale riconoscersi, molti non parlavano mai del padre perché, chi ce lo aveva, provava vergogna nel parlarne, perché violento, drogato, o perché aveva abbandonato la famiglia o perché era in carcere.

Non conoscevano professionisti che li ispirassero per pensare al loro futuro. Non avevano tra le loro conoscenze un avvocato, un ingegnere, un medico che li motivasse a studiare o che potesse ispirarli a scelte future. La frase che tutti ripetono, credenti e non praticanti, è “Se Deus quiser!” ma come fatalità, senza responsabilità e speranza. Comprendere la Parola e spezzare il pane. Camminando insieme con gente molto semplice, semianalfabeta, ma sostenuta da una credenza in Dio solida, provata dalle sofferenze della vita, si scopre la possibilità di comprendere “cose nuove” del bagaglio che abbiamo sempre caricato: la Sacra Scrittura. Leggere la storia della liberazione del Popolo di Dio, le lettere di San Paolo dal carcere, la liberazione dal male (‘segni’ più che ‘miracoli’) di cui narrano i Vangeli entrando e camminando nell’inferno di un carcere brasiliano, non è la stessa comprensione che si ha meditando la Parola di Dio in una cappella silenziosa, pulita e ben illuminata. Dover dire quella Parola, spezza il cuore e confonde la nostra mentalità. In alcuni momenti mi sono chiesto “chi evangelizza” e “chi è evangelizzato”?

Gesù evangelizza attraverso di me o io sono evangelizzato da Gesù presente nei più piccoli e umiliati che incontro? Celebrando la Eucaristia, come non pensare a tutto questo, quando si recita nella Preghiera Eucaristica “Egli, come ai discepoli di Emmaus, ci svela il senso delle Scritture e spezza il pane per noi”. Di chi ci facciamo compagni? Con chi spezziamo e mangiamo il pane?

 

“Cuori ardenti, piedi in cammino”

 I piedi in cammino e il cuore ardente. Non è facile scegliere di andare con i piedi nudi e i sandali in mano, lentamente, nella melma o nell’acqua putrida che è la strada quotidiana per molti fratelli nelle zone di missione. Dobbiamo aspettare che vengano loro a cercarci nella cappella o uscire e attraversare quelle strade per visitarli quando sono ammalati, quando vegliano e piangono i loro defunti nelle loro case? Quando riusciamo ad andare e incontrarli, loro che sono abbattuti dalla vergogna per sofferenze umilianti o dalla fiacchezza fisica per i dolori e i pesi che caricano, ci accolgono con una gratitudine e serenità che ci testimoniano le Beatitudini, non proclamate a parole ma sentite sulla pelle e che il nostro cuore, silenziosamente, ascolta. Quante volte la realtà ci costringe a pensare: quali sono gli ambienti, i luoghi, le persone che non bisogna evangelizzare se è vero il comando di Gesù “andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura…” (Marco 16,15)? E le bocche di fumo (pericolosi punti di distribuzione della droga) che occorre superare per entrare nelle favelas, e le case oscure e piccole in cui ci invitano ad entrare coppie non sposate in Chiesa, dove si incontrano figli omoaffettivi uniti col loro compagno, che curano con delicatezza e assoluta fedeltà il vecchio genitore, o donne che si distruggono eroicamente per dare un po’ di dignità al loro compagno incurabile. E sentono l’umiliazione di non essere “regolari” per la Chiesa.

Santa Maria del cammino! Quante volte, aspettando che lo Spirito Santo ci raggiunga per illuminarci sulla strada da prendere, sulle parole da dire, invochiamo la presenza di Maria, madre “dos caminheiros”, che confortò gli Apostoli nell’attesa del Cenacolo. Ci sorprende il carinho (affetto e delicato rispetto) che il Popolo di Dio nordestino ha per Nossa Senhora. La tenerezza e la confidenza, così presente e forte nella mentalità del popolo brasiliano, e che noi interpretiamo come mescolanza di sincretismo religioso, di proiezioni psicanalitiche, che sono fortemente compresenti nelle devozioni popolari. Questionano alla base la nostra teologia e pastorale. Per non dire di chi non frequenta regolarmente la messa alla domenica ma si confessa di non recitare il Terco (la terza parte del rosario) tutti i giorni. Forse Gesù non li ancora raggiunti, ma Maria sta già camminando con loro.

                                                                                         don Sandro

                                                    (missionario nel Nordest del Brasile per 23 anni)