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Terza Domenica di Avvento

Il “MISSUS” TORNA A CASA

Pieve di S. Maria di castello – lunedì 15 dicembre ore 19.00

Anzi: siccome è di casa in tutto il Friuli (e anche oltre, essendo un’eredità dell’antico e vastissimo patriarcato di Aquileia), il canto del Vangelo dell’Annunciazione dell’angelo a Maria riecheggerà nel luogo da cui è partito a cavallo tra Cinquecento e Seicento, per opera dell’allora patriarca aquileiese Francesco Barbaro. Sarà la pieve di Santa Maria in Castello, a Udine, a ospitare lunedì 15 dicembre la prima celebrazione della Novena di Natale dopo i lavori di restauro conclusisi lo scorso ottobre. La celebrazione inizierà alle 19 sarà presieduta dall’arcivescovo mons. Riccardo Lamba, con esecuzione del Missus di Jacopo Tomadini – versione meno conosciuta rispetto a quella di Candotti, ma non per questo meno pregiata dal punto di vista musicale – da parte della Cappella musicale della Cattedrale di Udine. L’appuntamento è inserito anche nel programma di «Natale in città», promosso dall’Arcidiocesi di Udine.

Un patrimonio dell’intero Friuli

Iniziata sul colle del castello di Udine, la tradizione del canto del Missus non è affatto proprietà della pieve udinese. Tutt’altro. Per nove giorni, dal 15 dicembre fino all’antivigilia di Natale, tutto il Friuli contempla con il canto l’evento dell’incarnazione di Gesù. «Le origini della tradizione liturgica del Missus non sono state mai definite con assoluta certezza» spiega mons. Loris Della Pietra, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano. «Le origini del canto dell’Annunciazione nella novena prenatalizia friulana potrebbero infatti essere illuminate da alcuni indizi offerti dal Codex Rehdigeranus, un documento liturgico di area aquileiese del VI secolo». A questo si aggiunge la tradizione medievale di realizzare delle rappresentazioni viventi delle narrazioni bibliche sui sagrati delle chiese, per catechizzare la popolazione. «In questo contesto – prosegue mons. Della Pietra – sono state riscontrate testimonianze dello “Zu del agnul e de Maria”, ricordato dai registri dei camerari gemonesi come vera drammatizzazione dell’Annunciazione attraverso figuranti che rappresentavano i personaggi coinvolti nell’avvenimento». Fino ad arrivare alla fine del Cinquecento, quando con l’abolizione del rito patriarchino si concluse anche l’esperienza delle sacre rappresentazioni. Il canto dell’Annunciazione, tuttavia, fu recuperato nella Novena di Natale istituita proprio dal patriarca Francesco Barbaro in quegli anni. «È importante notare che il canto del Missus quale parte della novena di Natale era uso esclusivamente friulano, cosa provata dal fatto che in nessun formulario di preghiere per la novena stampato al di fuori del Friuli era compreso il testo di san Luca», spiega ancora Della Pietra

Candotti o Tomadini? Le note della Novena

Oggi la tradizione del canto del Missus prosegue non senza le difficoltà date dal periodo storico, sebbene, le melodie utilizzate e la forma dialogata con tre voci – l’angelo, Maria e il “narratore” – aiutano ad amare questa forma di preghiera. Le vivaci e diffusissime note di Giovanni Battista Candotti rendono allegra e briosa la narrazione e la cantata, ma il compositore cividalese non fu l’unico a mettere in musica il brano dell’Annunciazione: tra gli altri, infatti, si ricordano Jacopo Tomadini (allievo di Candotti), Vittorio Franz (autore di cinque Missus), Raffaele Tomadini, Giovanni Battista Cossetti, Carlo Rieppi e Antonio Foraboschi. Soprattutto in Carnia, invece, sopravvivono numerosi esempi di esecuzione con melodie patriarchine. Diversa, invece, la tradizione nelle Valli del Natisone, dove la Novena del Natale non prevede il canto del Missus. Nella Benecia si celebra la Devetica Božična, una devozione mariana prenatalizia fatta di invocazioni e preghiera del Rosario, vissuta solitamente nelle famiglie e recentemente celebrata, invece, nelle chiese delle diverse comunità. 

(Giovanni Lesa)

Il valore attuale del Natale

Ogni anno, quando arrivano le settimane che precedono il Natale, mi accorgo di quanto questa festa venga vissuta in modo diverso rispetto al suo significato più autentico. Le città si riempiono di luci, i negozi invitano a comprare sempre di più, e spesso sembra che tutto ruoti attorno ai regali, alle cene e a un clima di festa un po’ superficiale. È facile lasciarsi trascinare dalla fretta, dal rumore e dalle mille cose da fare, fino al punto da dimenticare ciò che il Natale realmente celebra. Eppure, basta fermarsi un istante per riscoprire il cuore di questa festa. Nel silenzio della grotta di Betlemme, Dio si fa vicino a noi in un modo sorprendente: non con la forza, ma nella fragilità di un Bambino. È un messaggio che parla al cuore più di qualunque decorazione o regalo: l’amore di Dio che entra nella nostra storia, che sceglie di abitare le nostre ferite, le nostre fatiche, le nostre gioie quotidiane. Il vero Natale non è fatto di luci esteriori, ma di una luce che nasce dentro. È la luce che ci spinge ad aprire il cuore agli altri, a fare spazio, a riconciliarci, a tendere la mano a chi è solo o in difficoltà. È anche il momento in cui, come comunità, ci sentiamo più uniti: nelle nostre celebrazioni, nei gesti di carità, nelle preghiere condivise. E proprio qui, nella semplicità delle nostre parrocchie, ritroviamo la bellezza di un Natale vissuto in modo autentico.

Non si tratta di rinnegare le tradizioni che amiamo – il presepe, l’albero, i doni, i momenti in famiglia – ma di riportarle al loro significato. Ogni gesto può diventare un segno di amore e non solo un’abitudine, ogni incontro, un’occasione per ricordare che, attraverso la nascita di Gesù, Dio continua a visitare le nostre vite. 

Il Natale di oggi rischia di farci guardare verso l’esterno, ma il Natale vero ci invita a guardare verso l’alto e verso l’interno. E forse il dono più grande che possiamo farci è proprio questo: rallentare, fare silenzio, e lasciare che la gioia del Vangelo illumini i nostri giorni. 

Che questo Natale possa essere, per ciascuno di noi, un ritorno alla sorgente. A quel Bambino che, con la sua semplicità, continua a ricordarci che l’amore è l’unica luce che non si spegne. Auguri!

(Sebastiano Ribaudo)