Et incarnatus est

 

Carissimi parrocchiani e fedeli che frequentate la cattedrale, è sempre bello e a me gradito poter rivolgere a voi gli auguri di Natale. Lo faccio da 15 anni ormai e sono felice di annunciare sempre la stessa bella notizia che Gesù si è incarnato in mezzo a noi e perciò ancora quest’anno canteremo: “Dio si è fatto come noi, per farci come Lui”.

Nostalgia del S. Natale

Ogni anno sento la nostalgia del Natale e non mi vergogno, del Natale della mia infanzia. La preparazione incominciava abbastanza presto. Si doveva mettere una tavola nell’angolo a sinistra entrando in cucina, che era anche sala da pranzo e salotto. Tutto era in un’unica stanza e perciò anche il presepio era parte di noi. Il tavolo era abbastanza grande per ospitare e sostenere anche le montagne che erano resti di ceppaie di gelso portate a casa dalla campagna per bruciare sul fuoco ma che, per l’occasione, diventavano monti con grotte da cui scendeva il fiume simulato da una striscia di carta argentata, recuperata chissà dove… per formare poi un laghetto rappresentato da un frammento di specchio trovato in qualche fosso del paese. Ma occorreva anche il muschio per coprire tutta la tavola ed allora andavamo in campagna sui crinali dei fossi o lungo qualche scarpata che custodiva qualche larga macchia di muschio soffice e profumato, specialmente nelle zone più ombreggiate. Doveva essere il migliore, il muschio più bello e raccolto a zolle perché così restava unito ed un po’ umido per mantenere il suo colore verde e durare a lungo. Su questo prato fresco ed accogliente trovavano posto tutti i personaggi del Presepio che ogni anno aumentavano di numero. Le “statuine” di carta ritagliate da qualche libro e rinforzate con cartone incollato ad ognuna con la colla di farina di frumento impastata con l’acqua, erano sostenute da un listello di materiale più consistente perché non cadessero al primo soffio di vento o colpo d’aria che entrava all’aprirsi della porta di casa. Ogni precauzione però era inutile quando un nemico, durante la notte, con un balzo felino e veloce, entrava con passo felpato e silenzioso in mezzo alle statuine ignare e immobili. Era il gatto, sornione e giocherellone durante il giorno, dispettoso e traditore durante la notte. Al suo passaggio, nell’oscurità e nel silenzio, tutte le statuine cadevano restando prone o supine sul muschio, come innocenti caduti sui campi di battaglia. Al mattino le ricomponevo nella loro posizione naturale, una in piedi, l’altra seduta, una terza in ginocchio o comunque nella posizione indicata dal suo mestiere e dal compito che stava svolgendo. Il gatto, sacrilego, non si limitava soltanto a procurare questo devastante scompiglio ma si accomodava all’ingresso della capanna, facendo scomparire dietro di sé, sia la sacra famiglia che il bue e l’asinello. Inutili erano le mie rimostranze quotidiane e le sgridate mattutine, sia perché fuggiva spaventato al sentirmi alzar la voce, sia perché non capiva come mai lui non potesse fare da statuina vivente accanto alle altre, vicino alle pecore, a debita distanza dal cane dei pastori, in mezzo alle galline e alle anatre come era solito passeggiare nel cortile di casa. Poi venne l’epoca delle statuine vere. Erano fatte di gesso, bellissime, colorate. Le avevo viste solo in chiesa. Mi incantavano. Non vedevo l’ora di poterle comperare ma nel mio paese nessun negozio le vendeva e poi non c’erano letteralmente i soldi per comperarle. La fantasia però, nel momento del bisogno, ci veniva benevolmente incontro per racimolare qualche risparmio. Ci affidammo ad Angelino che veniva a scuola a Udine, dove c’erano i negozi di oggetti religiosi. Lo aspettavamo sulla piazza verso le sette di sera, prima della novena di Natale, quando lui rientrava con la corriera che si annunciava col suo caratteristico suono di clacson, noto a tutti anche oggi. Già al sentirlo mi saliva il cuore in gola per l’emozione ed accelerava i suoi battiti per la gioia di poter ammirare le statuine di terracotta colorata, ancora avvolte nella carta di giornale. Vorrei assaporare ancora questa emozione, forse ritenuta di poco conto e non degna di nota ma per me era profonda, attesa per lungo tempo e gustata lentamente come si gusta con piacere un bicchiere d’acqua fresca quando la calura si fa sentire e si anela di giungere ad una fonte. Mio fratello Toni ed io risparmiavamo qualche spicciolo per comperare innanzitutto Gesù Bambino con le braccia spalancate ed il volto sorridente poi la Madonna, inginocchiata a fianco della culla, con le mani giunte e lo sguardo dolce rivolto a Gesù e quindi S. Giuseppe, con la faccia serena e preoccupata insieme, in piedi, appoggiato al suo inseparabile bastone che si doveva cambiare di anno in anno perché andava sempre perso quando si riponeva in una cassetta il Presepio dopo l’Epifania. Non mancavano il bue e l’asino che scaldavano la sacra famiglia, col loro fiato umido e caldo: la scena doveva essere completa nella capanna di Betlemme! Nessun personaggio doveva mancare! Tutti erano necessari. Ricordo che un giorno mio fratello ebbe l’idea di mettere una piccola lampadina anche nella capanna, dato che Gesù era la luce del mondo. Da un’altra stanza tirò il filo elettrico, quello intrecciato di una volta, ma appena acceso l’interruttore il filo iniziò ad ardere dal punto di partenza e piano piano il fuoco stava giungendo al Presepio e solo la prontezza di mio papà, chiamato d’urgenza dalla stalla dove stava lavorando, tolse di mezzo il pericolo prima che capitasse il peggio. Per me il Natale stava lì, davanti ai miei occhi, era la nascita di Gesù, il figlio di Dio. Nasceva a casa mia, dove ero nato anch’io. E per questo lo consideravo mio fratello. Infatti dopo che era nato in chiesa durante la Messa di mezzanotte, in un presepio più grande, al canto del “Gloria in excelsis Deo” intonato dal parroco a voce spiegata…io correvo a casa e subito ponevo la statuina di Gesù Bambino al centro della capanna, al suo posto, sulla paglia che mandava riflessi dorati. Mi pareva di aiutarlo a nascere. Era questa la sorpresa, l’incanto, lo stupore: nasceva anche a casa mia, dove eravamo nati tutti noi. Diventava uno di noi. Non sapevo come e nemmeno perché, non cercavo ragioni o spiegazioni. Era così e basta. A Natale Gesù Bambino doveva nascere anche nel mio Presepio. Fantasia di un bambino di una volta; ed oggi come la posso chiamare? Nostalgia dell’infanzia, sentimentalismi, vecchiaia che avanza? Tutto vero. Ed ognuno ha la libertà di pensarlo. Ma c’è un “ma”…altrimenti quanto detto, anche da me sarebbe considerato un banale ricordo infantile che non regge di fronte a considerazioni giustamente più attuali, profonde ed impegnative.

Gesù nasce oggi a casa nostra

Carissimi, mi accorgo oggi che io non ero lontano dalla verità, anzi, ero inconsciamente nella verità. Vorrei stupirmi ancora adesso. Infatti anche oggi Gesù nasce misteriosamente, questo è un evento che accade a chi apre il cuore, è una realtà che si può vivere nelle nostre case. Anche oggi può essere disturbato e ostacolato ma nulla può uccidere l’attesa che suscita la sua nascita, il desiderio di un ”oltre, un di più”, di un dono che viene dall’alto, di una luce che scende senza abbagliare. Non ci basta quello che vediamo ogni giorno, il cuore è sempre assetato di gioia e di felicità, del volto di Dio. Ed ecco allora alcune certezze che fanno parte della nostra fede. “Il Verbo di Dio si fece carne” in una famiglia. La famiglia è una realtà di salvezza, vince la solitudine, esorcizza la paura del futuro, dona forza per lottare, fa esperimentare la condivisione, abilita alla relazione autentica, favorisce il dialogo, aiuta ad aprirsi a rapporti di rispetto e generosità, trasmette la fede e le verità più alte. “Venne ad abitare in mezzo a noi”. Egli è solidale con noi e ci insegna a restare uniti tra noi in modo costruttivo, a fare rete tra noi in famiglia, nella realtà lavorativa, nelle istituzioni. Siamo chiamati a camminare concretamente e a sostenerci a vicenda, in modo visibile e fruttuoso. Come ha fatto Lui. Noi vediamo personaggi diversi nel Presepio, esercitano vari mestieri ma tutti sono rivolti ed incamminati verso la capanna di Betlemme. È una meta comune. A nessuno dobbiamo sbarrare la strada verso il Signore, se mai dobbiamo favorirla, non dobbiamo restare indietro ma possibilmente affrettare il passo. Siamo fiamme che ardono di passione umana Un secondo momento della nostalgia natalizia è per me il ricordo vivo dei Re Magi. Già alcuni giorni prima del Natale collocavo in lontananza i Re Magi e piano piano, quotidianamente, li spostavo nella direzione della capanna. Non potevano restare immobili, lontani, e poi, di punto in bianco, comparire davanti a Gesù. Dovevano percorrere il tragitto stabilito, fino a giungere lentamente davanti a Gesù per adorarlo. Mi è sempre piaciuta l’“Adorazione dei Magi” di El Greco conservata al Prado di Madrid. Dio si è incarnato sulla terra ed è Lui il centro di gravità, su nel Paradiso, e perciò i personaggi si allungano verso l’alto come fiamme. Noi siamo terra ma siamo attratti dal cielo. Dio si è fatto terra ma la terra è la strada verso il cielo, siamo fiamme che ardono di passione per le cose umane ma queste sono le strade per quelle divine. Abbiamo una missione che è fatta di compiti e di doveri nella vita. La nostra testimonianza concreta indica il divino che sta in noi. È il suo amore. Fermiamoci davanti al Presepio a guardare, come bambini, il Bambino. Sentiamo la nostalgia del divino dentro di noi. Osserviamo le sue braccia allargate in segno di accoglienza: è questo gesto che mette tutti in movimento, dà garanzia che Dio è in noi e con noi. Oggi e sempre. Anche tramite noi. Imitando il suo gesto accogliente forse qualcuno potrebbe mettersi in movimento e incontrare Dio stesso. Non sarebbe la prima volta che ciò succede. Anche se questo non succedesse, la nostra accoglienza sarebbe già un gesto natalizio, che fa nascere o rinascere. Ad ognuno resta la sua responsabilità. Braccia spalancate o braccia conserte, occhi aperti o occhi chiusi, cuore forte o cuore indurito. Accogliere Gesù è accogliere anche tutti i suoi fratelli. E adesso ognuno faccia la sua parte perché il Natale sia buono per tutti. Lo auguro a voi e a me.

Buon Natale                                                                                                                                                                                                              Il Parroco Mons. Luciano Nobile

IL VANGELO DI LUCA

 

Lc 1,39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

IL VANGELO DI LUCA

 

 

Carissimi, proseguiamo nella spiegazione del Vangelo di Luca, per poter comprendere con maggiore consapevolezza quanto l’autore sacro racconta.

I primi due capitoli del Vangelo di Luca sono comunemente conosciuti come il “Vangelo dell’infanzia”.  L’evangelista ci racconta la nascita di Gesù con gli avvenimenti che la precedono e la seguono, sino all’età di dodici anni, e ci dice che ha fatto delle ricerche per conoscere questi fatti quindi fatti certi, ma il linguaggio che usa nel raccontarli è “biblico”. Si serve del linguaggio, metodo di raccontare, che nel Vecchio Testamento hanno usato gli scrittori sacri per avvenimenti simili – apparizioni di angeli, annunci, nascite -.

Penso sia utile per la fede e la preghiera fermarsi un attimo su ogni avvenimento.

Annuncio della nascita Giovanni: «Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria…» (Lc 1,5-35). In un solo versetto ci sono sei nomi propri – Erode, Giudea, Zaccaria, Abia, Aronne, Elisabetta -. L’azione di Dio cade nel tessuto normale degli avvenimenti profani, in un luogo preciso, con persone precise realizza la sua promessa. Ma ciò che conta agli occhi di Dio non è Erode il Grande, ma una coppia di persone modeste in cui depone e fa crescere la sua promessa.

Annuncio a Maria: «Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio…a una vergine…chiamata Maria» (Lc 1,26-38). Al mattino, a mezzogiorno e a sera, per tre volte al giorno suonano le campane. E’ l’Ave Maria. Il saluto dell’angelo scandisce l’inizio, il centro e la fine del giorno per ricordarci che principio e fine di tutta la vita cristiana è l’Incarnazione del Verbo. «Gioisci, piena di grazia…» dice l’angelo a Maria e noi con questa gioia, per antica tradizione, cantiamo nella novena del Natale questo passo del Vangelo, noto e ripetuto “Missus est». Il “sì” di Maria ha fatto scendere Dio tra noi e il nostro “sì” deve annunciare al mondo il grande dono ricevuto.

La visita di Maria ad Elisabetta e il “Magnificat”: «In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa…» (Lc 1,39-56). Maria per la sua fede nella Parola, porta in sé la beatitudine di quel dono che è Dio stesso. Elisabetta trasalisce; riconosce in lei la realtà di ogni promessa. E’ la prima visita che Dio fa al suo popolo e il suo popolo lo riconosce.

Il “Magnificat” è il canto di noi che abbiamo sperimentato “oggi” la salvezza, ma è anche un compendio della storia della salvezza che descrive l’azione di Dio, è un grazie al Dio delle Beatitudini.

La nascita di Giovanni Battista e il “Benedictus”: «Per Elisabetta intanto si compi il tempo del parto e diede alla luce un figlio». (Lc 1,57-80). Al centro di questo racconto evangelico è la questione circa il nome da dare al figlio della promessa fatta a Zaccaria. Nel dilungarsi in questa discussione e sulla nascita di Giovanni Luca vuole rendere cosciente il cristiano che viene dal paganesimo e concepisce la vita sotto il dominio del fato, che “il Signore mi ha disegnato con amore sul palmo della sua mano” (Is 49,16), “fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome” (Is 49,1). Il Benedictus è come il Magnificat un canto per leggere la storia con gli occhi della fede.

La nascita di Gesù: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1-21). Siamo davanti al presepio (mangiatoia), inginocchiati, contempliamo il Bambino, Maria, Giuseppe, ascoltiamo il coro degli angeli, osserviamo i pastori e, con profonda gratitudine, adoriamo il Dio fatto bambino per noi. Contempliamo quel Gesù che, come scrive un frate servita, ha avuto una grande intuizione: non portare gli uomini verso Dio, perché quando si portano gli uomini verso Dio c’è bisogno della legge, delle regole, del culto con la conseguenza che alcuni rimangono indietro, che altri restano esclusi. Gesù ha voluto portare Dio agli uomini “et Verbum Caro factum est”. E’ il momento dello stupore del “non capire” tanto è grande ciò che è avvenuto e avviene oggi qui. «Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia… oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11).

La presentazione di Gesù al tempio: «Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale… portarono il bambino al tempio per presentarlo al Signore» (Lc 2,22-40). E’ il racconto dell’incontro della famiglia di Gesù con il vecchio Simeone e la profetessa Anna. Anche qui abbiamo un bellissimo inno «Nunc dimittis».

Gesù tra i dottori del tempio: «I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per le feste di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni vi salirono secondo la consuetudine della festa» (Lc 2, 41-52). Gesù rivela la sua missione. Pur rimanendo sottomesso ai genitori terreni, la sua missione è quella di essere l’inviato dal Padre.

Nota: Gli altri avvenimenti dell’infanzia di Gesù: visita dei Magi, Fuga in Egitto, strage degli innocenti e ritorno a Nazaret sono narrati dall’evangelista Matteo al capitolo secondo del suo Vangelo.

Buon Natale!                                                                                                                                                                                              Mons. Pietro Romanello

IL VANGELO DI LUCA

 

 

Luca giustamente è considerato un evangelista storico. Egli è sensibile alla dimensione del tempo come presente, passato e futuro e conosce bene il loro reciproco rapporto. All’inizio del Vangelo Luca scrive: «…anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scrivere un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto». Lui si rivolge a cristiani della terza generazione, provenienti dal paganesimo. Distanti da Cristo nello spazio e nel tempo, non l’hanno visto quando è venuto né hanno conosciuto coloro che lo videro. Luca vuole che sia chiaro a tutti che non sta iniziando a raccontare una favola, un mito esoterico nato dalla fantasia di un sognatore. Egli intende riferirsi a fatti concreti. L’intervento di Dio nella storia dell’Umanità è avvenuto in un momento e in un luogo ben definiti.

«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria» (2,2-2). Così inizia il racconto della nascita di Gesù. Il censimento di cui parla Luca è l’atto che consacra l’occupazione militare dei romani, dandole la definitiva struttura politica ed economica. E’ un atto di dominio dell’uomo sul uomo. Siamo nel 6 a.C. e Luca sembra indicare un censimento avvenuto nel 6 d.C. L’intento di questa trasposizione è teologica. La salvezza non è una storia fuori dello spazio e del tempo: è una storia con fatti ben precisi e databili. Il Messia entra e nasce in questa storia di potere e di male, entra come colui che serve (22,27), come povero che non ha dove posare il capo (9,59) per guidare i nostri passi nella via della pace, alla ricchezza sostituisce la povertà, al potere il servizio, alla superbia, l’umiltà. Luca vuole anche dichiarare solennemente che il Figlio di Dio si è inserito nella storia universale, che è diventato cittadino del mondo.

«Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommo sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (3,1-2). Il riferimento qui è preciso e importante perché permette di datare l’inizio della vita pubblica di Gesù. In Palestina l’anno comincia il 1° ottobre e allora l’anno decimoquinto di dell’impero di Tiberio si situa tra il 1° ottobre del 27 e il 30 settembre del 28 d.C. Perché Luca fa tutti questi nomi e aggiunge Anna, che sommo sacerdote non era più da 15 anni? L’evangelista vuol raggiungere il numero sette, numero dal grande significato simbolico, significa la totalità. La storia sacra e profana, giudaica e pagana, è coinvolta nell’avvenimento che sta per essere raccontato. E’ un inizio che riguarda tutti i popoli e tutte le istituzioni civili e religiose.

Tutto questo ci serve per capire alcuni aspetti del Vangelo di Luca. Ma è fondamentale ricordare che Luca è l’evangelista sensibile e attento ai bisogni dei poveri, mette in rilievo gli episodi in cui traspare la tenerezza di Gesù verso gli ultimi, gli emarginati, gli esclusi, i peccatori.

Colgo l’occasione per ringraziare tutti a motivo dei saluti che continuamente mi inviate e so che vi interessate del mio stato di salute e pregate per me. Vi sono grato e anch’io vi ricordo nella preghiera al Signore e all’Immacolata: “Sub tuum presidium confugimus, sancta Dei Genetrix…”                                                 Mons. Pietro Romanello

Sabato 8 dicembre – FESTA DELL’IMMACOLATA

«Ave Maria gratia plena» è il saluto dell’Angelo. Per i Padri della Chiesa il titolo “piena di grazia” è sinonimo di «piena di misericordia». Maria stessa lo proclama nel Magnificat: «Ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46), «si è ricordato della sua misericordia (1,54)…. La sua misericordia si estende di generazione in generazione» (1,50). Maria si sente beneficiaria della misericordia, la testimone privilegiata di essa. In lei la misericordia di Dio non si attua come perdono dei peccati, ma come preservazione dal peccato.

Oggi accogliamo l’invito pressante di Papa Francesco. L’11 settembre scorso nell’omelia a Santa Marta ho affermato: «La preghiera è l’arma contro il Grande Accusatore che “gira per il mondo cercando come accusare”. Solo la preghiera lo può sconfiggere. I mistici russi e i grandi santi di tutte le tradizioni consigliavano, nei momenti di turbolenza spirituale, – e questo è un momento assai difficile per la nostra santa Chiesa – di proteggersi sotto il manto della Santa Madre di Dio pronunciando l’invocazione Sub tuum Praesidium».

Recitiamo ogni giorno questa preghiera:

            –Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,/Santa Madre di Dio./

            -Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova,

            -ma liberaci da ogni pericolo,/ o Vergine Gloriosa e Benedetta.

 

 

Le S. Messe vengono celebrate con orario festivo 7.30-9.00-10.30-12.00-19.00.

Ore 10.30: S. Messa e Vestizione dei nuovi “Pueri Cantores”.

I bambini portano la statuina della Madonna che metteranno nel Presepio nelle loro famiglie. Le statuine verranno benedette davanti al Presepio della cattedrale, al termine della Santa Messa.

Ore 20.30: nella Chiesa di S. Pietro Martire, concerto di musica sacra organizzato dalla Associazione “Amici di don De Roia”. Canta il coro “Vos de mont” diretto dal m° Marco Maiero.

Carissimi fedeli,

mi è gradito pubblicare su questo foglietto in queste domeniche di Avvento, una riflessione di Mons. Pietro Romanello che vive nell’ambito della nostra parrocchia ed è prezioso collaboratore pastorale perché ci sostiene con la sua preghiera e, come canonico, è disponibile per ascoltare le confessioni ogni giovedì e sabato dalle 9.30 alle 11.30 in cattedrale.

Inoltre durante questo tempo di Avvento detterà la Lectio Divina sul Vangelo di Luca, ogni mercoledì sera alle ore 20.30 nella sala della casa canonica, via di Prampero,6.

È un incontro di riflessione e di preghiera, aperto a tutti, che ci prepara al S. Natale. Invito caldamente alla partecipazione. Si tratta di dedicare a se stessi un’ora di tempo, per volersi bene e per voler bene agli altri. Auguro a tutti un buon cammino di Avvento nella comunità parrocchiale di S. Maria Annunziata: ”…alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

                                                                                                                                                                                          Il Parroco Mons. Luciano Nobile

 

 

IL VANGELO DI LUCA

 

 

Carissimi, ci sono esperienze, esempi, letture….. che ti segnano la vita. Mi ha sempre affascinato “la visione profetica della storia” di Giorgio La Pira – il santo sindaco di Firenze -. In ogni situazione, occasione, vedeva la volontà ben espressa di Dio. Mi sono chiesto: «Può essere un segno profetico che in questo Anno Liturgico ci venga proposto nelle liturgie domenicali il Vangelo di Luca?» Penso di sì. L’evangelista Luca si pone con acutezza i problemi che ci poniamo anche noi: cosa significa che Cristo ci ha salvati e quale salvezza ci ha portato, se vediamo ancora tanto male in noi e intorno a noi? Come mai la storia sembra continuare ancora come prima? Perché il male c’è ancora e sembra dominare il mondo? Quale è il senso del tempo presente e delle cose – belle e buone, brutte e cattive – nei confronti del futuro definitivo dell’uomo? E potremmo continuare. In un mondo perduto, che sembra scivolare sempre più velocemente nell’abisso, egli presenta la misericordia di un Dio che, nel Figlio, è solidale con ogni suo figlio. Perché nessuno si perda, lui stesso si è perduto per incontrare tutti e ricondurli alla casa del Padre. Ora il Padre invita tutti alla festa del Figlio perduto e ritrovato, anche quelli che non ammettono di essersi perduti. La verità è che Dio è Padre di tutti e non ha figli in più, che possa buttare via o sprecare. Non abbiamo forse vera necessità di speranza e di fiducia? Luca annuncia che la chiave di lettura della nostra storia è la vicenda di Gesù: in lui si compie il futuro della salvezza aperta a tutta l’umanità. Si apre il cuore alla speranza e alla fiducia – fede; di Dio e Gesù abbiamo bisogno e ci fidiamo.

            Luca è l’evangelista che non ha incontrato Gesù, non lo ha visto. Il desiderio struggente di poter vedere Gesù lo troviamo in alcune frasi del suo vangelo: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete» (10,23). «Ma lui non l’hanno visto» (24,24). Il suo desiderio deve essere anche il nostro. Cammineremo bene assieme.

            Dante Alighieri chiama Luca «scriba mansuetudinis Christi» il suo è il vangelo della misericordia. «Diventate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (6,36) è il tema di tutto il suo vangelo. Egli vive e canta l’amore folle di un Dio innamorato dell’uomo sua creatura.

            La missione, di Gesù e quindi la nostra, è quella del samaritano (10,29-37). Egli è l’escluso perché si fa carico di ogni esclusione. Il suo cammino passa necessariamente per la via della povertà, dell’umiliazione e dell’umiltà del Figlio dell’uomo che si dona in mano agli uomini. E così vince l’egoismo che divide i fratelli. E solo così è rivelata la sapienza del Padre che è amore.

BREVI NOTE BIOGRAFICHE DI SAN LUCA

Pagano di nascita (Col 4,11), medico di professione (4,14), proveniente, secondo una tradizione, da Antiochia di Siria. L’apostolo Paolo (2, Tm 4,11) lo considera suo compagno che lo avrebbe accompagnato nel suo secondo e terzo viaggio e lo avrebbe seguito nella sua prigionia a Roma. Luca oltre al Vangelo ha scritto anche gli Atti degli apostoli.

                                                                                                                                                                      Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano