2. La speranza come “acqua viva” che ci consente di continuare il nostro cammino
La samaritana, alla quale Gesù chiede da bere presso il pozzo, non comprende quando Lui le dice che potrebbe offrirle “un’acqua viva” (Gv 4,10). All’inizio lei pensa naturalmente all’acqua materiale, Gesù invece intende lo Spirito Santo, quello che Lui darà in abbondanza nel Mistero pasquale e che infonde in noi la speranza che non delude. Già nell’annunciare la sua passione e morte Gesù annuncia la speranza, quando dice: «e il terzo giorno risorgerà» (Mt 20,19). Gesù ci parla del futuro spalancato dalla misericordia del Padre. Sperare con Lui e grazie a Lui vuol dire credere che la storia non si chiude sui nostri errori, sulle nostre violenze e ingiustizie e sul peccato che crocifigge l’Amore. Significa attingere dal suo Cuore aperto il perdono del Padre.
Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione. Il tempo di Quaresima è fatto per sperare, per tornare a rivolgere lo sguardo alla pazienza di Dio, che continua a prendersi cura della sua Creazione, mentre noi l’abbiamo spesso maltrattata (cfr Enc. Laudato si’, 32-33.43-44). È speranza nella riconciliazione, alla quale ci esorta con passione San Paolo: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Ricevendo il perdono, nel Sacramento che è al cuore del nostro processo di conversione, diventiamo a nostra volta diffusori del perdono: avendolo noi stessi ricevuto, possiamo offrirlo attraverso la capacità di vivere un dialogo premuroso e adottando un comportamento che conforta chi è ferito. Il perdono di Dio, anche attraverso le nostre parole e i nostri gesti, permette di vivere una Pasqua di fraternità. Nella Quaresima, stiamo più attenti a «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Enc. Fratelli tutti). A volte, per dare speranza, basta essere «una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza». Nel raccoglimento e nella preghiera silenziosa, la speranza ci viene donata come ispirazione e luce interiore, che illumina sfide e scelte della nostra missione: ecco perché è fondamentale raccogliersi per pregare (cfr Mt 6,6) e incontrare, nel segreto, il Padre della tenerezza. Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” (cfr Ap 21,1-6). Significa ricevere la speranza di Cristo che dà la sua vita sulla croce e che Dio risuscita il terzo giorno, «pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi» (1Pt 3,15).
3. La carità, vissuta sulle orme di Cristo, nell’attenzione e nella compassione verso ciascuno, è la più alta espressione della nostra fede e della nostra speranza.
La carità si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione.
«A partire dall’amore sociale è possibile progredire verso una civiltà dell’amore alla quale tutti possiamo sentirci chiamati. La carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo nuovo, perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti».
La carità è dono che dà senso alla nostra vita e grazie al quale consideriamo chi versa nella privazione quale membro della nostra stessa famiglia, amico, fratello. Il poco, se condiviso con amore, non finisce mai, ma si trasforma in riserva di vita e di felicità. Così avvenne per la farina e l’olio della vedova di Sarepta, che offre la focaccia al profeta Elia (cfr 1 Re 17,7-16); e per i pani che Gesù benedice, spezza e dà ai discepoli da distribuire alla folla (cfr Mc 6,30-44). Così avviene per la nostra elemosina, piccola o grande che sia, offerta con gioia e semplicità.
Vivere una Quaresima di carità vuol dire prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia a causa della pandemia di Covid-19. Nel contesto di grande incertezza sul domani, ricordandoci della parola rivolta da Dio al suo Servo: «Non temere, perché ti ho riscattato» (Is 43,1), offriamo con la nostra carità una parola di fiducia, e facciamo sentire all’altro che Dio lo ama come un figlio. «Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia trasformato dalla carità, che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e apprezzati nella loro immensa dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e pertanto veramente integrati nella società». Cari fratelli e sorelle, ogni tappa della vita è un tempo per credere, sperare e amare. Questo appello a vivere la Quaresima come percorso di conversione, preghiera e condivisione dei nostri beni, ci aiuti a rivisitare, nella nostra memoria comunitaria e personale, la fede che viene da Cristo vivo, la speranza animata dal soffio dello Spirito e l’amore la cui fonte inesauribile è il cuore misericordioso del Padre.
Maria, Madre del Salvatore, fedele ai piedi della croce e nel cuore della Chiesa, ci sostenga con la sua premurosa presenza, e la benedizione del Risorto ci accompagni nel cammino verso la luce pasquale.
Roma, San Giovanni in Laterano, 11 novembre 2020, memoria di San Martino di Tours.Francesco
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-27 09:38:202021-02-27 09:38:20Seconda Domenica di Quaresima
“Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…” (Mt 20,18). Quaresima: tempo per rinnovare fede, speranza e carità.
La Quaresima è un tempo per credere, ovvero per ricevere Dio nella nostra vita e consentirgli di “prendere dimora” presso di noi (cfr Gv 14,23). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, anche dalla saturazione di informazioni – vere o false – e prodotti di consumo, cari fratelli e sorelle, annunciando ai suoi discepoli la sua passione, morte e risurrezione, a compimento della volontà del Padre, Gesù svela loro il senso profondo della sua missione e li chiama ad associarsi ad essa, per la salvezza del mondo. Nel percorrere il cammino quaresimale, che ci conduce verso le celebrazioni pasquali, ricordiamo Colui che «umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). In questo tempo di conversione rinnoviamo la nostra fede, attingiamo l’“acqua viva” della speranza e riceviamo a cuore aperto l’amore di Dio che ci trasforma in fratelli e sorelle in Cristo. Nella notte di Pasqua rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo, per rinascere uomini e donne nuovi, grazie all’opera dello Spirito Santo. Ma già l’itinerario della Quaresima, come l’intero cammino cristiano, sta tutto sotto la luce della Risurrezione, che anima i sentimenti, gli atteggiamenti e le scelte di chi vuole seguire Cristo. Il digiuno, la preghiera e l’elemosina, come vengono presentati da Gesù nella sua predicazione (cfr Mt 6,1-18), sono le condizioni e l’espressione della nostra conversione. La via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa.
1. La fede ci chiama ad accogliere la Verità e a diventarne testimoni, davanti a Dio e davanti a tutti i nostri fratelli e sorelle.
In questo tempo di Quaresima, accogliere e vivere la Verità manifestatasi in Cristo significa prima di tutto lasciarci raggiungere dalla Parola di Dio, che ci viene trasmessa, di generazione in generazione, dalla Chiesa. Questa Verità non è una costruzione dell’intelletto, riservata a poche menti elette, superiori o distinte, ma è un messaggio che riceviamo e possiamo comprendere grazie all’intelligenza del cuore, aperto alla grandezza di Dio che ci ama prima che noi stessi ne prendiamo coscienza. Questa Verità è Cristo stesso, che assumendo fino in fondo la nostra umanità si è fatto Via – esigente ma aperta a tutti – che conduce alla pienezza della Vita. Il digiuno vissuto come esperienza di privazione porta quanti lo vivono in semplicità di cuore a riscoprire il dono di Dio e a comprendere la nostra realtà di creature a sua immagine e somiglianza, che in Lui trovano compimento. Facendo esperienza di una povertà accettata, chi digiuna si fa povero con i poveri e “accumula” la ricchezza dell’amore ricevuto e condiviso. Così inteso e praticato, il digiuno aiuta ad amare Dio e il prossimo in quanto, come insegna San Tommaso d’Aquino, l’amore è un movimento che pone l’attenzione sull’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stessi (cfr Enc. Fratelli tutti, 93). La Quaresima è un tempo per credere, ovvero per ricevere Dio nella nostra vita e consentirgli di “prendere dimora” presso di noi (cfr Gv 14,23). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, anche dalla saturazione di informazioni – vere o false – e prodotti di consumo, per aprire le porte del nostro cuore a Colui che viene a noi povero di tutto, ma «pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14): il Figlio del Dio Salvatore. Papa Francesco
(Segue la prossima domenica)
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-20 09:58:442021-02-20 09:58:44Prima Domenica di Quaresima
nell’intento di favorire l’opera missionaria delle nostre comunità parrocchiali, il nostro Arcivescovo, con gli organi di partecipazione pastorale della Chiesa locale, ha promosso le Collaborazioni Pastorali nella nostra Diocesi. Assieme alle Parrocchie della B.V. delle Grazie, di S. Giorgio maggiore, di S. Quirino e del Redentore, noi formiamo la Collaborazione Pastorale di Udine Centro. Abbiamo iniziato a collaborare nella preparazione dei giovani alla Cresima e nella catechesi ai ragazzi delle Medie. Non nascondo le fatiche che fecondano questo processo di collaborazione. Abbiamo pensato di offrire anche delle opportunità di formazione per gli adulti durante questo tempo di Quaresima. Qui di seguito potete prendere visione delle iniziative che vengono incontro a varie esigenze spirituali dei fedeli. Alcuni incontri avvengono in presenza ed altri on-line, tutti sono finalizzati alla crescita nella vita cristiana, nella prospettiva di una maggiore esperienza di Dio per essere suoi testimoni nel mondo. Auguro a tutti un buon cammino di Quaresima.
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/quaresima-5-2.jpg317700Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-20 08:50:222024-04-30 15:48:13Proposte per il tempo di Quaresima
Aderiamo alla proposta della Caritas Diocesana ”Pane e Parola” per sostenere nella Diocesi di San Martìn (Buenos Aires) 18 mense popolari e la formazione dei volontari. In quella Diocesi si sono susseguiti vari sacerdoti friulani che hanno anche costruito il Santuario di Madone di Mont dove adesso don Claudio Snidero è parroco. Chi desidera partecipare può deporre la sua offerta nelle cassette, in chiesa destinate alla carità.
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/centro-di-ascolto-1.jpg175250Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-20 08:50:212021-02-20 08:50:21Opera di carità durante la Quaresima
Lo scrittore polacco Jan Dobraczyński, nel suo libro L’ombra del Padre, ha narrato in forma di romanzo la vita di San Giuseppe. Con la suggestiva immagine dell’ombra definisce la figura di Giuseppe, che nei confronti di Gesù è l’ombra sulla terra del Padre Celeste: lo custodisce, lo protegge, non si stacca mai da Lui per seguire i suoi passi. Pensiamo a ciò che Mosè ricorda a Israele: «Nel deserto […] hai visto come il Signore, tuo Dio, ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino» (Dt 1,31). Così Giuseppe ha esercitato la paternità per tutta la sua vita.
Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre. Anche la Chiesa di oggi ha bisogno di padri. È sempre attuale l’ammonizione rivolta da San Paolo ai Corinzi: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri» (1 Cor 4,15); e ogni sacerdote o vescovo dovrebbe poter aggiungere come l’Apostolo: «Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo». E ai Galati dice: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!»
Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione. Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione. La paternità che rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli spalanca sempre spazi all’inedito. Ogni figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà. Un padre consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso “inutile”, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita, quando si pone nella situazione di Giuseppe, il quale ha sempre saputo che quel Bambino non era suo, ma era stato semplicemente affidato alle sue cure. In fondo, è ciò che lascia intendere Gesù quando dice: «Non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Mt 23,9).
Tutte le volte che ci troviamo nella condizione di esercitare la paternità, dobbiamo sempre ricordare che non è mai esercizio di possesso, ma “segno” che rinvia a una paternità più alta. In un certo senso, siamo tutti sempre nella condizione di Giuseppe: ombra dell’unico Padre celeste, che «fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45); e ombra che segue il Figlio. ***«Alzati, prendi con te il bambino e sua madre» (Mt 2,13), dice Dio a San Giuseppe. Lo scopo di questa Lettera Apostolica è quello di accrescere l’amore verso questo grande Santo, per essere spinti a implorare la sua intercessione e per imitare le sue virtù e il suo slancio. Infatti, la specifica missione dei Santi è non solo quella di concedere miracoli e grazie, ma di intercedere per noi davanti a Dio, come fecero Abramo e Mosè, come fa Gesù, «unico mediatore» (1 Tm 2,5), che presso Dio Padre è il nostro «avvocato» (1 Gv 2,1), «sempre vivo per intercedere in [nostro] favore» (Eb 7,25; cfr Rm 8,34). I Santi aiutano tutti i fedeli «a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato». La loro vita è una prova concreta che è possibile vivere il Vangelo. Gesù ha detto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), ed essi a loro volta sono esempi di vita da imitare. San Paolo ha esplicitamente esortato: «Diventate miei imitatori!» (1 Cor 4,16). San Giuseppe lo dice attraverso il suo eloquente silenzio.
Davanti all’esempio di tanti Santi e di tante Sante, Sant’Agostino si chiese: «Ciò che questi e queste hanno potuto fare, tu non lo potrai?». E così approdò alla conversione definitiva esclamando: «Tardi ti ho amato, o Bellezza tanto antica e tanto nuova!».
Non resta che implorare da San Giuseppe la grazia delle grazie: la nostra conversione. A lui rivolgiamo la nostra preghiera:
Salve, custode del Redentore, e sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia misericordia e coraggio, e difendici da ogni male.
Amen.
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-13 09:44:142021-02-13 09:44:146^ Domenica del Tempo Ordinario
Lettera di Papa Francesco sulla figura di S. Giuseppe
5. Padre dal coraggio creativo
Se la prima tappa di ogni vera guarigione interiore è accogliere la propria storia, ossia fare spazio dentro noi stessi anche a ciò che non abbiamo scelto nella nostra vita, serve però aggiungere un’altra caratteristica importante: il coraggio creativo. Esso emerge soprattutto quando si incontrano difficoltà. Infatti, davanti a una difficoltà ci si può fermare e abbandonare il campo, oppure ingegnarsi in qualche modo. Sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere.
Molte volte, leggendo i “Vangeli dell’infanzia”, ci viene da domandarci perché Dio non sia intervenuto in maniera diretta e chiara. Ma Dio interviene per mezzo di eventi e persone. Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre. Il Cielo interviene fidandosi del coraggio creativo di quest’uomo, che giungendo a Betlemme e non trovando un alloggio dove Maria possa partorire, sistema una stalla e la riassetta, affinché diventi quanto più possibile un luogo accogliente per il Figlio di Dio che viene nel mondo (cfr Lc 2,6-7). Davanti all’incombente pericolo di Erode, che vuole uccidere il Bambino, ancora una volta in sogno Giuseppe viene allertato per difendere il Bambino, e nel cuore della notte organizza la fuga in Egitto (cfr Mt 2,13-14).
A una lettura superficiale di questi racconti, si ha sempre l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti, ma la “buona notizia” del Vangelo sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza. Anche la nostra vita a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta, Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazaret, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza.
Se certe volte Dio sembra non aiutarci, ciò non significa che ci abbia abbandonati, ma che si fida di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare.(…)
San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre, e anche noi amando la Chiesa continuiamo ad amare il Bambino e sua madre.
Questo Bambino è Colui che dirà: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono “il Bambino” che Giuseppe continua a custodire. Ecco perché San Giuseppe è invocato come protettore dei miseri, dei bisognosi, degli esuli, degli afflitti, dei poveri, dei moribondi. Ed ecco perché la Chiesa non può non amare innanzitutto gli ultimi, perché Gesù ha posto in essi una preferenza, una sua personale identificazione. Da Giuseppe dobbiamo imparare la medesima cura e responsabilità: amare il Bambino e sua madre; amare i Sacramenti e la carità; amare la Chiesa e i poveri. Ognuna di queste realtà è sempre il Bambino e sua madre.
6. Padre lavoratore
Un aspetto che caratterizza San Giuseppe e che è stato posto in evidenza sin dai tempi della prima Enciclica sociale, la Rerum novarum di Leone XIII, è il suo rapporto con il lavoro. San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro.
In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono.
Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia. Una famiglia dove mancasse il lavoro è maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e perfino alla tentazione disperata e disperante del dissolvimento. Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento?
La persona che lavora, qualunque sia il suo compito, collabora con Dio stesso, diventa un po’ creatore del mondo che ci circonda. La crisi del nostro tempo, che è crisi economica, sociale, culturale e spirituale, può rappresentare per tutti un appello a riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro per dare origine a una nuova “normalità”, in cui nessuno sia escluso. Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-06 11:26:212021-02-06 11:26:215^ Domenica del Tempo Ordinario
Ore 16.00 Celebrazione della S. Messa presieduta dall’Arcivescovo.
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/Madonna-di-lourdes-in-Cattedrale-4.jpg7501000Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-06 11:10:422021-02-06 11:10:42Memoria della B.V. di Lourdes
Nelle farmacie aderenti verranno raccolti medicinali da banco da donare ai molti enti assistenziali che si prendono cura delle persone in difficoltà economica.
In proposito, si segnala che, lo scorso anno, grazie all’impegno di oltre 22.248 volontari e al coinvolgimento di 4.944 farmacie e di 17.304 farmacisti, sono stati raccolti 541.175 medicinali.
Sei invitato ad andare in una farmacia che ha aderito a questa iniziativa e ad offrire il tuo contributo di solidarietà acquistando qualche farmaco da banco.
G R A Z I E
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/Banco-Farmaceutico-2.jpg206369Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-06 10:53:042021-02-06 10:53:04Banco Farmaceutico
Martedì 2 febbraio, all’età di 87 anni, è scomparso a seguito di un malore don Antonio Castagnaviz, Canonico della Cattedrale, parroco storico di Rive d’Arcano e Rodeano Basso, collaboratore della Parrocchia di S. Giorgio Maggiore.
Ricordiamolo nella preghiera.
Esequie venerdì 5 febbraio, ore 15.00 in Cattedrale cui seguirà la tumulazione nel cimitero di Ipplis.
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/Mons.-Castagnaviz.jpg442689Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-03 10:46:282021-02-03 10:46:28Chiesa udinese in lutto
La lettera del S. Padre sulla figura di S. Giuseppe interessa da vicino la nostra vita ed in particolare la situazione che stiamo vivendo: Infonde coraggio e fiducia.
3. Padre nell’obbedienza
Analogamente a ciò che Dio ha fatto con Maria, quando le ha manifestato il suo piano di salvezza, così anche a Giuseppe ha rivelato i suoi disegni; e lo ha fatto tramite i sogni, che nella Bibbia, come presso tutti i popoli antichi, venivano considerati come uno dei mezzi con i quali Dio manifesta la sua volontà. (…)
Nel primo sogno l’angelo lo aiuta a risolvere il suo grave dilemma: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; …«Quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo» (Mt 1,24). Con l’obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria. Nel secondo sogno l’angelo ordina a Giuseppe: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto (…) «Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Mt 2,14-15).
In Egitto Giuseppe, con fiducia e pazienza, attese dall’angelo il promesso avviso per ritornare nel suo Paese (…) In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat”, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani. Giuseppe, nel suo ruolo di capo famiglia, insegnò a Gesù ad essere sottomesso ai genitori (cfr Lc 2,51), secondo il comandamento di Dio (cfr Es 20,12).
Nel nascondimento di Nazaret, alla scuola di Giuseppe, Gesù imparò a fare la volontà del Padre. Tale volontà divenne suo cibo quotidiano (cfr Gv 4,34) (…) Da tutte queste vicende risulta che Giuseppe «è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro della salvezza».
4. Padre nell’accoglienza
Giuseppe accoglie Maria senza mettere condizioni preventive. Si fida delle parole dell’Angelo. «La nobiltà del suo cuore gli fa subordinare alla carità quanto ha imparato per legge; e oggi, in questo mondo nel quale la violenza psicologica, verbale e fisica sulla donna è evidente, Giuseppe si presenta come figura di uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria. E nel suo dubbio su come agire nel modo migliore, Dio lo ha aiutato a scegliere illuminando il suo giudizio». Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni.
La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie. Solo a partire da questa accoglienza, da questa riconciliazione, si può anche intuire una storia più grande, un significato più profondo… Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contraddittoria, inaspettata, deludente dell’esistenza.
La venuta di Gesù in mezzo a noi è un dono del Padre, affinché ciascuno si riconcili con la carne della propria storia anche quando non la comprende fino in fondo.
Come Dio ha detto al nostro Santo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20), sembra ripetere anche a noi: “Non abbiate paura!”. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. E non importa se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e se alcune cose ormai sono irreversibili. Dio può far germogliare fiori tra le rocce. Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Egli «è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3,20).
Torna ancora una volta il realismo cristiano, che non butta via nulla di ciò che esiste. La realtà, nella sua misteriosa irriducibilità e complessità, è portatrice di un senso dell’esistenza con le sue luci e le sue ombre (…) In questa prospettiva totale, la fede dà significato ad ogni evento lieto o triste.
Lungi da noi allora il pensare che credere significhi trovare facili soluzioni consolatorie. La fede che ci ha insegnato Cristo è invece quella che vediamo in San Giuseppe, che non cerca scorciatoie, ma affronta “ad occhi aperti” quello che gli sta capitando, assumendone in prima persona la responsabilità.
L’accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole (cfr 1 Cor 1,27), è «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6) e comanda di amare lo straniero. Voglio immaginare che dagli atteggiamenti di Giuseppe Gesù abbia preso lo spunto per la parabola del figlio prodigo e del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32).
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2021-02-01 11:47:202021-02-01 11:47:204^ Domenica del Tempo Ordinario