7a Domenica del Tempo Ordinario
“DA CUORE A CUORE”
Una sfida per il nostro tempo
“Vuoi essere grande? Comincia con l’essere piccolo. Vuoi edificare un edificio che arrivi fino al cielo? Pensa prima al fondamento dell’umiltà.” (Sant’Agostino, Sermo 69, 1)
C’è un paradosso cristiano che attraversa tutta la Scrittura e la tradizione della Chiesa: per elevarsi, bisogna abbassarsi; per essere grandi, occorre farsi piccoli. Sant’Agostino esprime questo principio con un’immagine vivida: l’edificio della vita spirituale non si può innalzare senza un solido fondamento, e questo fondamento è l’umiltà. La grandezza autentica, quella che resiste al tempo e alle tempeste della vita, non si costruisce con la ricerca del potere, del successo o della fama, ma con il riconoscimento della propria piccolezza davanti a Dio. L’umiltà, per Agostino, non è semplice modestia, né un atteggiamento esteriore di sottomissione. È la verità più profonda su noi stessi: senza Dio, non siamo nulla. E se c’è un errore che può rovinare ogni crescita spirituale, è proprio la superbia, il desiderio di costruire la propria grandezza su se stessi anziché sulla grazia di Dio. “Ogni orgoglio è superbo contro Dio” (Enarrationes in Psalmos 93, 15), scrive il vescovo di Ippona. L’orgoglio è il tentativo dell’uomo di scalare il cielo con le proprie forze, dimenticando che non è nelle sue capacità.
L’umiltà nella Scrittura: il ribaltamento delle logiche del mondo
Le parole di Agostino si inseriscono in una lunga tradizione biblica. Nelle pagine della Scrittura, Dio ribalta continuamente le logiche umane: sceglie Davide, il più piccolo tra i fratelli, per farne un re; chiama Maria per far entrare nel mondo il Salvatore; fa di Pietro la roccia su cui edificare la Chiesa. “Dio resiste ai superbi, ma agli umili dà la sua grazia” (Gc 4,6), scrive san Giacomo. Gesù stesso ha incarnato questa legge divina nel modo più radicale. “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29), dice ai suoi discepoli. Non solo ha predicato e vissuto l’umiltà, ha scelto il cammino dell’abbassamento per rivelare la vera gloria. San Paolo riassume tutto questo nell’inno cristologico della Lettera ai Filippesi: Cristo “svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo […] per questo Dio lo ha esaltato” (Fil 2,7-9).
Altri testimoni della Chiesa: dall’imitazione di Cristo all’umiltà come via
Nei secoli, i grandi maestri spirituali hanno ripreso e sviluppato l’insegnamento di Agostino. San Benedetto, nella Regola, dedica un intero capitolo alla scala dell’umiltà: una progressione interiore che porta il monaco dall’obbedienza esteriore alla pace profonda di chi ha abbandonato ogni orgoglio. Per lui, l’umiltà è l’atteggiamento fondamentale del vero discepolo: “Quanto più si sale in alto, tanto più bisogna abbassarsi” (Regula Benedicti, 7). San Francesco d’Assisi, sulle orme di Cristo, ripeteva ai suoi frati: “Quanto vale un uomo davanti a Dio, tanto vale e non di più”. Nessuna ricchezza, nessuna abilità acquisita, nessuna posizione sociale possono aggiungere qualcosa al valore di una persona davanti a Dio: solo l’umiltà permette di riconoscere e accogliere la grazia. Anche santa Teresa di Lisieux, con la sua “piccola via”, ha testimoniato la forza di questa virtù: non bisogna cercare le grandi imprese, ma accettare la propria fragilità e abbandonarsi all’amore di Dio. ”L’umiltà non consiste nel dire che si è miseri, ma nel saper accettare che Dio ci ami nella nostra miseria” (Manoscritto C, 36r).
L’umiltà oggi: una sfida per il nostro tempo
Se l’umiltà è così essenziale, perché è così difficile? Forse perché, nel giudicare una persona, spesso valutiamo l’autoaffermazione, l’apparenza, e poiché siamo giudicati a nostra volta proviamo a dimostrare queste stesse caratteristiche. Siamo portati a credere che valiamo solo in base a ciò che realizziamo, a come appariamo agli occhi degli altri. Ma è proprio in questo contesto che l’umiltà diventa un segno di contraddizione: non significa rinunciare a crescere, ma costruire a partire da basi più solide; non è rassegnazione, ma una riflessione sui nostri veri bisogni e aspirazioni, eliminare il superfluo, avere fiducia nel fatto che è Dio a operare in noi. Raniero Cantalamessa, parlando dell’umiltà, dice che essa è “la chiave che apre tutte le porte del cuore di Dio” (La vita in Cristo). Essa rende possibile l’amore autentico, la misericordia, la pazienza. È l’umiltà che ci permette di accettare la debolezza, la sofferenza, perfino la malattia, senza perdere la pace. E oggi, guardando alla fragilità fisica di Papa Francesco, vediamo un testimone vivente di questa verità. Il Papa, con il suo corpo affaticato e il suo spirito saldo, ci ricorda che la Chiesa non si regge sulla forza umana, ma sulla grazia di Dio. Preghiamo per lui, perché il Signore gli conceda una pronta guarigione, lo sostenga con la sua grazia e lo custodisca. Pensando alla precarietà che vediamo ovunque in questo momento, ricordiamo che proprio nella fragilità si manifesta la vera grandezza, e che è proprio nell’umiltà che Dio compie le sue opere più grandi.
Francesco Palazzolo