Sante Messe nella chiesa di S. Maria di Castello

Ore 9.30 Canta l’assemblea.

11.00 Canta l’ Aquilejensis chorus.

15.00 Partecipa anche la parrocchia di Campoformido che viene a soddisfare il voto.

Le Messe nelle altre chiese della Parrocchia sono celebrate secondo l’orario feriale e dopo le Sante Messe verrà impartita la benedizione della gola per intercessione di S. Biagio.


La “Dormitio Virginis”

La statua lignea della Vergine, che risale al sec. XV°, collocata nella nicchia sulla parete entrando a destra, recentemente è stata protetta da una lastra di vetro donata dalla figlia in memoria dei genitori defunti Annamaria Rieppi e e Ezio Garbini. Così dopo l’acquisto dei  banchi nuovi e il restauro della statua, delle panche antiche, delle lanterne, della piccola statua di S. Biagio ecc…. che hanno dato decoro alla chiesa, questo regalo viene a dare degna e opportuna protezione alla statua della Madonna. Tutto è stato fatto in questi anni con la generosità dei fedeli che hanno compreso la necessità di conservare ciò che i nostri padri ci hanno lasciato come testimonianza della loro fede in questa chiesa-madre di Udine. A tutti i benefattori il più vivo ringraziamento e per i defunti la nostra preghiera di suffragio.

Si comunica che il centralino parrocchiale, la segreteria parrocchiale, gli uffici pastorali per la Catechesi e i Sordi e l’archivio parrocchiale resteranno chiusi per le festività natalizie fino a domenica 10 gennaio 2016.

Per informazioni e richieste varie si potrà usare il canale telematico attraverso l’indirizzo: info@cattedraleudine.it. Sarà anche possibile contattare la Sacrestia del Duomo di Udine al n° 0432.506830 dal Lunedì alla Domenica dalle ore 8.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 18.00

Il sito web parrocchiale sarà regolarmente aggiornato anche in questi giorni di chiusura.

In questo Natale invito ognuno ad attraversare la Porta della Misericordia della cattedrale; attraversarla non solo col corpo, ma anche con la mente e con la coscienza esprimendo un desiderio profondo di purificare e rinnovare la nostra persona e la nostra condotta di vita.

È ancora una volta un richiamo al Giubileo straordinario della Misericordia quello lanciato dall’Arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, nell’omelia di questo Santo Natale 2015.

Forte il riferimento alla quotidianità dei rapporti:

Entriamo in cattedrale attraverso quella Porta venendo dalla piazza, dalle strade, dalle nostre case, dai luoghi di lavoro e di ritrovo — ha evidenziato l’Arcivescovo —; venendo dalla vita quotidiana che stiamo spendendo giorno dopo giorno, fianco a fianco con tante altre persone, più o meno vicine. Non sempre è una vita facile e piacevole; riserva ferite nel cuore e sofferenze nell’anima. Me le sono sentite confidare da diverse persone anche in questi giorni, scambiandoci gli auguri natalizi. Se ci pensiamo bene, tutte queste sofferenze hanno una sola causa: la mancanza di misericordia. Quando tra di noi si esauriscono la misericordia, la compassione, la pazienza, la delicatezza, il perdono, inevitabilmente i nostri rapporti diventano come degli ingranaggi senza lubrificante. Girano male e creiamo sofferenze a noi stessi e alle persone vicine. Quante volte basterebbero poche gocce di misericordia per rasserenare gli animi, per tornare a guardarci con benevolenza, per capirci meglio. Ma se nel serbatoio del cuore l’abbiamo esaurita allora subito i rapporti diventano più aridi; prendiamo le distanze l’uno dall’altro perché non ci si fida e ognuno resta più solo con le sue sofferenze.

Dobbiamo riconoscere — ha proseguito mons. Mazzocato — che, volendo un Anno Santo della Misericordia, Papa Francesco ha visto bene; ha intuito che abbiamo bisogno urgente di questa. Ha chiesto di aprire nelle cattedrali, e in altre chiese giubilari, una Porta della Misericordia come un invito ad entrare e ad accostarci alla Sorgente della misericordia per fare un rifornimento interiore.

L’Arcivescovo ha dunque indicato proprio questa virtù cui è dedicato l’Anno giubilare come

la salvezza delle famiglie, delle amicizie, dei rapporti di lavoro, dell’economia, della vita comune nei paesi e nelle città. È la salvezza per tutti gli uomini; per i friulani e per coloro che accogliamo tra noi provenienti da lontano.

Qui il testo integrale dell’omelia.

Notte di Natale – Giovedì 24 dicembre 2015

Ore 19.00 Prima S. Messa di Natale, in Duomo.

Ore 22.00 S. Messa nella Chiesa di S. Maria di castello. Cantano i Pueri Cantores, e l’Aquilejensis Chorus.

Ore 23.00 La Cappella Musicale della Cattedrale propone brani musicali della tradizione natalizia, alternati da letture bibliche.

Ore 24.00 Santa Messa della notte presieduta dall’Arcivescovo. Canta la Cappella musicale della Cattedrale.


Giorno di Natale – Venerdì 25 dicembre.

Le SS. Messe vengono celebrate secondo l’orario festivo: Ore 7.30 – 9.00 – 10.30 12.00 – 19.00.

Ore 10.30 Santa Messa presieduta dall’Arcivescovo. Canta la Cappella Musicale della Cattedrale.

Ore 17.00 Canto dei Vesperi presieduto dall’Arcivescovo.

Ore 19.00 Santa Messa animata dal Coro “Schola dilecta” e presieduta dall’Arciprete.

Orari festività natalizie rispetto agli orari consueti

Museo del duomo sarà chiuso:

24 dicembre 16-18;

25 dicembre;

31 dicembre 16-18;

6 gennaio;

Oratorio della Purità chiuso:

25 dicembre;

31 dicembre 16-18;

6 gennaio;

APERTO IL 26 DICEMBRE DALLE 10-12 E 16-18.

«Abbiamo attraversato la Porta della Misericordia e siamo entrati nel luogo dove ci attende la misericordia di Dio. La nostra cattedrale, in questo momento, è lo spazio sacro della misericordia del Padre che ci aspetta e ci abbraccia come figlioli che tornano a lui pentiti e feriti dalle fatiche della vita. Possiamo fare esperienza del suo abbraccio misericordioso affidandoci alle braccia umane di Gesù che è il Buon Samaritano che si inginocchia vicino ad ognuno di noi e ci raccoglie da terra, dove siamo caduti.

Egli apre il suo Sacro Cuore, squarciato sulla croce, e con la medicina divina della sua misericordia guarisce le tante piaghe del nostro povero cuore». Così l’Arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, nell’omelia pronunciata in occasione della celebrazione odierna per l’apertura della Porta della Misericordia nella Cattedrale di Udine, in contemporanea con tutte le altre diocesi del mondo, un varco da oltrepassare per sperimentare l’amore di Dio che consola, perdona e dona speranza. È entrata così nel vivo anche nella Chiesa udinese il Giubileo straordinario della Misericordia voluto da papa Francesco e apertosi martedì 8 dicembre in piazza San Pietro. «Ma – ha chiesto l’Arcivescovo – noi in che condizione ci troviamo in questo momento davanti a lui? Oltre al portale della cattedrale abbiamo spalancato la porta del nostro cuore?

porta della misericordia

Entreremo nell’Anno Giubilare della Misericordia solo aprendo la porta interiore del nostro cuore perché, se resta chiusa, in noi non entra nessuno, nemmeno Dio». Mons. Mazzocato ha quindi invitato a fare un «esame di coscienza» chiedendoci se ciascuno sente delle «resistenze a causa delle quali non spalanco con gioia la mia casa a Gesù» ed ha messo in guardia dall’«indifferenza verso Dio o tiepidezza spirituale, uno smog sottile che silenziosamente intossica la coscienza e la rende tiepida e poco interessata sia nei confronti di Dio che delle sofferenze degli uomini».

Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata dall’Arcivescovo di Udine nell’apertura della Porta della Misericordia.

Cari fratelli e sorelle,
abbiamo attraversato la Porta della Misericordia e siamo entrati nel luogo dove ci attende la misericordia di Dio. La nostra cattedrale, in questo momento, è lo spazio sacro della misericordia del Padre che ci aspetta e ci abbraccia come figlioli che tornano a lui pentiti e feriti dalle fatiche della vita. Possiamo fare esperienza del suo abbraccio misericordioso affidandoci alle braccia umane di Gesù che è il Buon Samaritano che si inginocchia vicino ad ognuno di noi e ci raccoglie da terra, dove siamo caduti. Egli apre il suo Sacro Cuore, squarciato sulla croce, e con la medicina divina della sua misericordia guarisce le tante piaghe del nostro povero cuore.

Nel vangelo abbiamo ascoltato la profezia di Giovanni Battista: «Io vi battezzo con acqua, ma viene colui che è più forte di me a cui non son degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Così, fa Gesù anche questa sera con ognuno di noi: ci battezza nello Spirito Santo. Cioè, ci riempie col suo Spirito di misericordia e con il fuoco della sua compassione che mai si stanca di volerci bene.

Gesù risorto è veramente in mezzo a noi, in questa cattedrale, perché noi, uniti come un solo popolo, formiamo la Chiesa che è la sua sposa. Alla Chiesa il Signore Gesù ha consegnato, come dote di nozze, i doni della sua misericordia perché essa possa guarire, perdonare, consolare nutrire i suoi figli. In questo luogo santo noi siamo la Chiesa di Cristo perché c’è il vescovo, successore degli apostoli con suoi presbiteri e con tutto il popolo santo di Dio. Questa Chiesa ci offre le sorgenti della misericordia che vengono direttamente da Gesù.

 

Ci offre la sua divina Parola, che abbiamo appena ascoltato e che è capace di penetrare nell’intimo più profondo della nostra coscienza; là dove ognuno di noi custodisce i suoi pensieri più personali, i sentimenti di generosità o di egoismo, i desideri belli o vergognosi, le paure inconfessabili. La Parola del Signore rischiara le nostre confusioni interiori con la luce di verità e  di compassione che viene dallo Spirito Santo. La sua luce ci aiuta a capirci e a confessare la verità più profonda di noi al Padre della misericordia.
La nostra Chiesa, poi, come madre ci nutre di Gesù stesso il quale continua, dall’Ultima Cena in poi, ad offrire il suo vero Corpo e il suo vero Sangue senza risparmio, in ogni S. Messa; senza ritirare il suo dono anche quando viene disprezzato o mangiato  con superficialità e indifferenza, come forse succede a volte anche a noi.

Cari fratelli e sorelle, varcato il portale della cattedrale – Porta della Misericordia durante tutto questo Anno Santo – siamo stati accolti da Gesù che è realmente pronto a donarci la sua misericordia,  a riempirci dello Spirito Santo mentre ascoltiamo la sua Parola e mangiamo il suo Corpo nella comunione eucaristica.

 

Ma noi in che condizione ci troviamo in questo momento davanti a lui? Oltre al portale della cattedrale abbiamo spalancato la porta del nostro cuore? Se questa rimane chiusa, allora il Signore è costretto a ripeterci amaramente, con le parole di Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra e si avvicina solo a parole ma il suo cuore è lontano da me». Entreremo nell’Anno Giubilare della Misericordia solo aprendo la porta interiore del nostro cuore perché, se resta chiusa, in noi non entra nessuno, nemmeno Dio.

 

Con umile sincerità facciamo, allora, subito un esame di coscienza chiedendoci: in questo momento sento in me delle resistenze a causa delle quali non spalanco con gioia la mia casa a Gesù, come fece Zaccheo? Una resistenza mi permetto di ricordare pubblicamente, perché poco o tanto condiziona tutti. Penso all’indifferenza verso Dio o tiepidezza spirituale. L’indifferenza è come uno smog sottile che silenziosamente intossica la coscienza e la rende tiepida e poco interessata sia nei confronti di Dio che delle sofferenze degli uomini. Chi giace nell’indifferenza non sente più dolore e rimorso leggendo il Vangelo e le parole esigenti di Gesù, ma accetta e giustifica tranquillamente i compromessi per cui non sente il bisogno di confessarsi invocando sulla propria miseria la misericordia del Signore. Ha, poi, abituato occhi e cuore a vedere persone che soffrono e muoiono e passa oltre senza farsi più di tanto toccare, come il sacerdote e il levita nella parabola del buon samaritano.

 

L’indifferenza tiene chiuse le porte del nostro cuore perché non vuol farsi scomodare né da Gesù, né dai fratelli e preferisce tranquillamente lasciarli fuori di casa. Questo peccato può essere l’ostacolo più grave per vivere con vera partecipazione personale l’Anno Santo della Misericordia. Possiamo lasciarcelo scivolare sopra senza che produca in noi un cambiamento del cuore e delle abitudini di vita.

Preghiamo, allora, personalmente e tutti assieme lo Spirito Santo perché ci svegli dal sonno dell’indifferenza spirituale. Accogliamo come rivolto a noi il lamento di Dio: «Mi onorate con le labbra ma il vostro cuore è lontano da me». E, ancora, il rimprovero che Gesù, nel libro dell’Apocalisse, fa ai cristiani di Laodicea: «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo».

 

In questo momento, grazie alla celebrazione della santa eucaristia, Gesù vivente ci parla e ci dona tutto se stesso perché lui vede che siamo poveri, ciechi e nudi. Chiediamo la grazia di riconoscerlo anche noi e di avere la gioia di sentire in noi la sua misericordia per uscire di chiesa con il cuore pieno della sua compassione verso i fratelli più deboli e sofferenti.

 

È questo il segreto della vera gioia che di cuore auguro a tutti voi con le parole di S. Paolo, ascoltate nella seconda lettura: «Siate lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!».

 

Noi, pastori del XXI secolo (Lc 2, 8-12; 15)

C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia»… Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».

Immaginiamo la scena di qualche secolo fa: i pastori, persone che non sapevano leggere e scrivere, che del mondo conoscevano le terre dove portavano le greggi, i villaggi dove vivevano e, a malapena, la città dove andavano a finire i soldi che di tanto in tanto qualche esattore veniva a riscuotere. Un mondo piccolissimo, fatto solo di ciò che è essenziale, a volte neanche di quello.

In una fredda notte d’inverno, all’improvviso, accade qualcosa di mai visto prima: una luce vivida nel cielo, una voce che dice che in una mangiatoia c’è un neonato: ma quel neonato non è un bambino qualunque, bensì quel Salvatore nel quale i loro padri, i loro nonni e i nonni dei loro nonni tanto avevano sempre sperato.

Proviamo a immaginare cosa si saranno detti: “Ma, cosa è successo?”…“Hai visto anche tu?”…”No, non può essere” “Ma…”. Finché uno di loro, forse il più saggio o il più povero, il più vecchio o quello che tutti consideravano il più sciocco, non disse la frase che tutti avevano in mente: “Andiamo a vedere quello che solo il Signore può averci detto.”

Spostiamo l’orizzonte temporale di qualche secolo, e veniamo ai nostri giorni. Noi, persone più o meno istruite, abituate a ricevere ogni ora enormi quantità di informazioni da televisione, internet o telefonini; noi, talmente abituati alle nuove scoperte ed alle mirabolanti imprese dell’intelletto umano da non stupirci praticamente più davanti a nulla; noi, che abbiamo dei mezzi di trasporto così veloci da farci sembrare il nostro mondo sempre più piccolo.

Cosa faremmo noi se, in una fredda notte d’inverno, ci apparisse una luce ed una voce ci dicesse che Gesù è tornato, come ci aveva promesso duemila anni fa, che è di nuovo tra noi, magari sotto le spoglie di un bambino nato da una coppia di profughi in una tendopoli?

Forse cercheremmo di dare una spiegazione razionale all’accaduto e, non riuscendoci, lo classificheremmo come un fastidioso frutto della nostra immaginazione, come una sorta di allucinazione, personale o collettiva. Magari ne faremmo un brillante post su qualche social network, accompagnato da un’immagine scattata con lo smartphone, in attesa di contare le risposte o i “mi piace” ricevuti.

Oppure, ascoltando la voce di un bambino o di un invalido, di un barbone o di un Papa, andremmo a vedere?

No, non cerchiamo di dare una risposta a questa domanda: qualunque possa essere il frutto del nostro ragionamento non sarebbe adeguato ad un evento di tale portata. Nel momento in cui una simile eventualità dovesse presentarsi, la capacità di dare una risposta ci verrà fornita dal Signore stesso. Se nella notte santa di Betlemme Dio non avesse dato ai pastori la capacità di credere, loro non si sarebbero mai mossi. E se un domani ci venisse tolto il dono della fede, la superbia del nostro intelletto ci renderebbe incapaci di interpretare persino il più evidente dei segni, la più lampante delle verità.

Chi ci darà il segno, ci darà anche la capacità di riconoscerlo. E in quel momento sapremo come rispondere alla voce di chi ci dirà: “andiamo a vedere”.

Carmelo Intersimone

preghiere

Week end Dell’ Immacolata
rispetto ai consueti orari il:

Museo del duomo sarà chiuso:
Martedi 8 Dicembre sarà chiuso.

Oratorio della purità sarà chiuso:
Lunedì 7 e Martedì 8 Dicembre.

Chiesa S. Maria di Castello sarà aperta:
Domenica 6 Dicembre è aperta dalle  15 alle 17.

INFORMAZIONI PRENOTAZIONI:
museo@cattedraleudine.it

L’Avvento

Oggi inizia il tempo liturgico dell’Avvento. Avvento come preparazione al Natale (prima venuta di Cristo), ma anche come attesa e celebrazione della venuta definitiva del Signore alla fine dei tempi, quando tutti saremo portati nella pienezza del Suo Regno. Un tempo, questo dell’Avvento, di luce, di grazia, di risveglio, di cammino spirituale e di comunione, di autentica conversione, che la Chiesa, di anno in anno, ci offre. Un tempo anche per rinverdire l’accoglienza, la fraternità, la generosa attenzione verso quanti sono nel bisogno. “Il gesto di amore che ci permette di essere prossimi agli altri, ci fa divenire strumenti visibili dell’amore misericordioso di Dio.” Ci prepariamo, dunque, alla celebrazione della venuta di Gesù in mezzo a noi.   “L’Evento unico della storia umana: quello di Dio che si è fatto uomo ed è nato bambino”.  E “nessuno può credersi esonerato dal percorrere la strada dei pastori per vivere “la lieta” avventura cristiana”. Apprestare la festa della nascita di Gesù è l’occasione per rivedere la nostra vita, per ricostruire la nostra mappa dei valori cristiani, per “rivivere, con intensità, un atteggiamento di fede e di attesa della salvezza che Lui viene a portarci”, per riscoprire e comprendere che Dio scende sino a noi soltanto per Amore. Un amore che possiamo ricambiare seguendo il percorso da Lui tracciato, avvicinandoci sempre di più “alle scelte fatte da Dio per incontrare noi uomini: quelle della povertà, del silenzio, del farsi piccolo”. E non trascuriamo la figura, il ruolo della Vergine Maria, ricordata frequentemente nella liturgia, e che qualcuno ha definito la porta che ci permette di entrare in questo periodo di attesa. Da Lei possiamo “imparare a vivere l’umiltà, la povertà, la preghiera, la gioia, il servizio attento e generoso verso tutti”. Paolo VI, nella sua esortazione apostolica Marialis  Cultus, dice: “[…]i fedeli, che vivono con la Liturgia lo spirito dell’Avvento, considerando l’ineffabile amore con cui la Vergine Madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene, vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode”.

La Parola

L’Avvento è anche un tempo di accoglienza, come sopra ho scritto. E la prima accoglienza va rivolta alla Parola di Dio. Con questa consapevolezza e con questo desiderio, nel corso  della settimana, leggiamo e ascoltiamo devotamente Lc 7, 36-50 (Gesù perdona una peccatrice).

“Uno dei farisei lo invitò a mangiare da Lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna…”.

Un episodio d’infinita bellezza. Una scena di conversione e di perdono. Una sconvolgente esperienza di amore, dove emerge la misericordia di Gesù per i peccatori (uno dei temi favoriti di Luca) che non condanna ma accoglie. Egli mette al centro l’amore, l’uomo e la sua vita, e non l’osservanza cieca e ipocrita della legge.  Non caccia via i peccatori, ma va loro incontro, sta con loro, li frequenta.

Soffermiamoci sulle maniere della donna peccatrice che – infrangendo tutte le strette regole sociali, affrontando il rischio del rifiuto, dell’incomprensione, del disprezzo – entra in casa di Simone con un vaso di alabastro pieno di profumo e si prostra in lacrime ai piedi di Gesù, dimostrandogli il suo amore mediante i suoi teneri gesti: “…stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo”. Gesti, questi, non solo di amore (l’amore che ha sperimentato la gratuità del perdono), ma anche di gratitudine, di pentimento e di fede. La donna ha compreso il suo stato di peccato e vuole abbandonarlo. Ha bisogno però che qualcuno la riconosca, le porga la mano. E Gesù la riconosce, la accoglie in una nuova dimensione di vita, comprende il suo dolore e i suoi sentimenti, perdona i suoi peccati e le ridona la pace del cuore.  Osserviamo, poi, il peccato di Simone, e meditiamo. Potrebbe essere il mio peccato, il nostro peccato!   Quel peccato che commettiamo quando ci sentiamo giusti, quando non ci riteniamo peccatori, quando giudichiamo ed etichettiamo chi è diverso da noi, quando pensiamo che sia sufficiente rispettare la legge divina – senza imparare ad amare – per meritare il Paradiso. Cogliamo e consideriamo il modo con il quale Gesù si occupa di Simone. Lui non affronta di petto il pensiero malvagio del fariseo, a evitare di precludersi ogni possibilità di dialogo, e sceglie la via del linguaggio indiretto, ricorrendo alla parabola.  Induce così Simone a ragionare, riflettere e a fare le sue scelte.

“Ogni religione cerca, giustamente, di farci diventare più buoni e peccare di meno. Il cristianesimo sconvolge i criteri. La questione è chi ama di più. E la risposta, ovvia, è colui al quale è stato perdonato di più, che peccò di più. È il paradosso della nuova giustizia” (Silvano Fausti, padre gesuita, biblista).

Buon Avvento a tutti!  Andiamo insieme incontro a Gesù!

                                                                                                        Sebastiano Ribaudo

La  solennità di Cristo Re fu istituita  nel 1925 da Pio XI con intento fortemente sociologico. Infatti, di fronte all’arroganza  delle insorgenti dittature, di fronte al dilagare dell’ateismo e delle ideologie materialiste, sia marxiste sia liberiste, si trattava di affermare il primato di Cristo e del suo Vangelo. La festa fu allora collocata nell’ultima domenica di ottobre, cioè quella precedente alla festa di Tutti i Santi. La riforma del calendario liturgico, nel 1969, l’ha inserita opportunamente nell’ultima domenica del tempo ordinario, quella che precede la prima domenica di Avvento. La nuova collocazione ne cambia anche la prospettiva, mutandone gli accenti da politici in escatologici. Si tratta di manifestare il primato di Dio e del suo regno, che è regno di verità di giustizia di amore e di pace. Questo è l’unico regno che il tempo non distrugge e al quale partecipano coloro che si impegnano per la verità, la giustizia, l’amore e la pace. Cristo Redentore è dunque Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come recita l’Apocalisse (Ap 21,6).

Cristo regna dalla croce

La liturgia della Chiesa celebra il mistero di Cristo in un crescendo incessante, a gloria del Padre, nello Spirito e a salvezza dell’uomo. Oggi contempliamo il Signore che regna dal trono della croce. Nell’umanità trafitta dal Figlio di Dio crocifisso, che apre le porte del paradiso al buon ladrone, viene rivelato il segreto dell’amore che lo ha spinto a dare la sua vita per noi. Cristo, Figlio del Padre e Messia sofferente, rifiuta di salvare se stesso, dimostrando di essere un re inedito. La logica del suo Regno è la nostra salvezza. Intronizzato sulla croce, egli diviene il Signore di tutto e apre le porte del Regno per accogliere i suoi figli. Non è un re come gli altri, è Re dalla croce e poiché noi siamo battezzati nella sua morte, siamo diventati suo corpo regale. E’ un Re che volontariamente rifugge dalle regole che dirigono e dirimono i conflitti di potere, un Re il cui Regno è guidato da nuove regole, un Re che, pur non appartenendo a questo mondo, è nel segno di un’umanità solidale. E’ quel Gesù che nella sua nascita ha privilegiato i pastori, categoria sociale disprezzata dai notabili e dai capi religiosi perché ignoranti e poco osservanti delle regole della purità legale; quel Gesù che ha scelto come suoi più stretti collaboratori dei semplici pescatori e persino il pubblicano Matteo; quel Gesù che ha condiviso la mensa con i peccatori e si è lasciato baciare i piedi da una donna di malaffare e le ha perdonato i peccati. In questa solidarietà con i piccoli, i poveri, gli emarginati, i disprezzati, Gesù rivela la sua regalità, il primato di quell’amore, che costituisce il vero titolo regale di ogni umana creatura. E’ l’amore infatti che vince il mondo e supera la storia, perché rende partecipi dell’identità più profonda di Dio, rende veramente suoi figli, veri fratelli di Cristo ed eredi della sua gloria.

 

Partecipi della regalità di Cristo

Quando noi parliamo della regalità di Gesù, subito richiamiamo la regalità del popolo di Dio, della Chiesa e dei singoli battezzati. Concretamente, che cosa significa per noi essere partecipi di questa regalità? Se si tratta della partecipazione alla regalità di Gesù, allora ha un senso solo: “Amatevi come io ho amato voi” (Gv, 15,12), cioè siate veri testimoni e sacramento della regalità di Dio nel mondo: date anche voi la vostra vita per Dio e i fratelli, nella libertà e nell’amore.  La regalità della Chiesa è dunque la sua carità, quella in cui “fa vedere” la verità di Dio, cioè come Egli è Amore. Nella carità la Chiesa è vera icona del Re, di Dio che si fa vicino ad ogni uomo.
 Un altro aspetto della regalità di Gesù, della Chiesa e dei singoli cristiani, è la libertà. Il battezzato sceglie di donare liberamente se stesso, in quanto figlio e non schiavo, cogliendo l’essenza del Regno di Dio: non una filosofia etica, né una proposta politica, ma Gesù stesso, persona viva che guida la storia dell’uomo, perché egli è “l’Alfa e l’Omega….colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente” (Ap 1,8).
Oggi, ricorre anche la festa del Seminario: essa si coniuga perfettamente con la regalità di Gesù, manifestatasi pienamente nel servizio; egli è il Servo per eccellenza, venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita per tutti. Anche i nostri giovani che decidono di intraprendere il cammino verso il sacerdozio, impegnandosi a diventare “un uomo per gli altri”, scelgono di fare di se stessi un’offerta, un dono totale, nella libertà di figli di Dio. Conformandosi al Re, servire il quale è regnare, impegna i sacerdoti a testimoniare fattivamente l’evento e il messaggio di Gesù, cogliendo in esso l’attesa del Regno di Dio, del suo inserirsi nella storia del singolo, fino ad occupare gli spazi e le possibilità dell’esistere umano. Li impegna altresì a promuovere alacremente le qualità del Regno nell’attesa della sua manifestazione definitiva e gloriosa.
 Nicla e Livio                                                                        

Mio cuore

E quando il silenzio / fascerà nuovamente / tutte le cose / Egli ritornerà./
Verrà  verrà / con assoluta certezza.

(David Maria Turoldo)

 

PREGHIERA PER I SEMINARISTI

Padre buono, in Cristo tuo Figlio ci riveli il tuo amore, ci abbracci come tuoi figli e ci offri la possibilità di scoprire nella tua volontà i lineamenti del nostro vero volto. Padre santo, Tu ci chiami ad essere santi come Tu sei santo.
Ti preghiamo di non far mai mancare alla tua Chiesa ministri e apostoli santi che, con la parole e i sacramenti, aprano la via all’incontro con Te. Padre nostro, con la voce del tuo Santo Spirito, e fidando nella materna intercessione di Maria, Ti invochiamo ardentemente: manda alla tua Chiesa sacerdoti, che siano coraggiosi testimoni della tua infinita bontà. Amen!
(San Giovanni Paolo II papa)