Carissimi amici,

permettetemi oggi di ricordare un evento di famiglia e di dedicare queste parole ad una persona a me cara. Non è di tutti raggiungere i 100 anni di vita e poter partecipare alla S. Messa per ringraziare il Signore, in occasione di questo traguardo. È possibile soltanto a qualche “privilegiato”… come il mio padrino di Battesimo Santino Nobile. Ecco quello che egli mi ha raccontato giovedì scorso, rammentando il passato che ricorda con una certa lucidità.  Lui era un giovane diciannovenne che stava per partire verso Torino, come soldato, dopo la visita di leva. Era in corso una delle tragedie del secolo scorso, la seconda guerra mondiale. Mio papà gli chiese: “Prime di là vie, no vino di batià chel frut chì? (Prima di partire, non dobbiamo battezzare questo bambino?). Parlava di me. Infatti ero nato il 5 agosto 1942 verso le sei di sera, durante un temporale. Così mi è stato raccontato. Ormai scadeva il tempo utile per celebrare questo sacramento, perché si dovevano battezzare i neonati entro i 10 giorni dalla nascita. Secondo le indicazioni del sinodo diocesano, la chiesa si premurava di offrire questo dono ai bambini nei primi giorni dalla nascita, perché il pericolo di morte infantile si presentava più frequentemente di oggi. Trascorsi i 10 giorni dalla nascita non si sarebbe potuto suonare le campane per il Battesimo. Era un piccolo deterrente, a fin di bene. Così il 15 agosto, solennità della Assunzione della B.V. Maria, mio cugino Santin e mia zia Mine, assieme a mio papà e ai miei 6 fratelli che mi avevano preceduto nella nascita e all’ostetrica (le comari), che aveva assistito al parto avvenuto in casa, mi portarono nella chiesa parrocchiale di Basiliano, dove il parroco don Luigi Londero mi battezzò. A quel tempo le mamme non partecipavano al battesimo dei figli perché dovevano compiere un “rito di purificazione” prima di riprendere la vita di ogni giorno. Normalmente questo rito si faceva in chiesa alcuni giorni dopo il battesimo. Era anche un atto di ringraziamento al Signore per il dono di una nuova creatura. Mia mamma diceva invece che i preti conoscevano le fatiche delle mamme nelle famiglie e così avevano inventato questa regola per lasciarle riposare qualche giorno dopo il parto. Ognuno legge la storia a modo suo ma non stento a credere, anzi mi fa piacere, che fosse anche per questo motivo di rispetto. Insomma il mio padrino, e anche cugino, mi ha seguito sempre nei vari passaggi della mia vita, specialmente durante gli anni della mia formazione in seminario. Era felice di vedermi crescere mentre mi preparavo all’ordinazione presbiterale. Mi ha sempre aiutato con la preghiera, con l’interessamento cordiale e con qualche “mancia” annuale… come fanno tutti i padrini e le madrine ai loro “figliocci/e” in occasione del capodanno. Oggi, alla S. Messa delle 10.30, ho il piacere di dirgli grazie per il suo affetto, per la testimonianza di fede con la quale mi ha sempre accompagnato nella vita. Sono contento di accoglierlo nel duomo di Udine e di condividere con voi questa sua e nostra gioia per i 100 anni della sua vita. Conosco la forza della sua fede con la quale ha vissuto e superato varie e gravi avversità nella sua vita e le gioie di cui ha goduto nella sua famiglia. Assieme ai suoi figli Massimo e Alessandro, alla sorella Rosina, alle loro famiglie e a tutti voi gli porgo i migliori auguri per proseguire nella vita finché il Signore vorrà, nella serenità e nella pace del cuore.                                                                                    Don Luciano

 

IN CAMMINO CON LA CHIESA UNIVERSALE

 

Una Chiesa in cammino.

Due anni fa è iniziato un cammino sinodale, in cui tutta la Chiesa si trova impegnata intorno al tema: «Per un Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione», tre pilastri fondamentali della vita ecclesiale. Sono state previste tre fasi, che si stanno svolgendo nell’arco temporale “ottobre 2021 – ottobre 2023”.

«Questo itinerario è stato pensato come dinamismo di ascolto reciproco: un dinamismo di ascolto reciproco, condotto a tutti i livelli di Chiesa, coinvolgendo tutto il popolo di Dio. Il Cardinale vicario e i Vescovi ausiliari devono ascoltarsi, i preti devono ascoltarsi, i religiosi devono ascoltarsi, i laici devono ascoltarsi. E poi, inter-ascoltarsi tutti. Ascoltarsi; parlarsi e ascoltarsi.

Non si tratta di raccogliere opinioni, no. Non è un’inchiesta, questa; ma si tratta di ascoltare lo Spirito Santo, come troviamo nel libro dell’Apocalisse: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (2,7). Avere orecchi, ascoltare, è il primo impegno.

Si tratta di sentire la voce di Dio, cogliere la sua presenza, intercettare il suo passaggio e soffio di vita».

Il 17 ottobre 2021 si è aperto il Cammino sinodale in tutte le diocesi italiane. Non sono mancate incertezze e perplessità a rallentare il percorso come la pandemia e la guerra in Europa. Nonostante questo «in Italia si sono formati circa 50.000 gruppi sinodali, con i loro facilitatori, per una partecipazione complessiva di mezzo milione di persone. Più di 400 referenti diocesani hanno coordinato il lavoro, insieme alle loro équipe. […] Ciascuna diocesi ha trasmesso alla Segreteria Generale della CEI una sintesi di una decina di pagine. […] Dalle sintesi diocesane sono emerse alcune priorità: crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni; approfondire e integrare il metodo della conversazione spirituale; continuare l’ascolto anche rispetto ai “mondi” meno coinvolti nel primo anno; promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati; snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo».

                                                                                                          (Papa Francesco)

Il Cammino nell’Arcidiocesi di Udine.

I nostri organismi diocesani si sono interrogati su come connettere il cammino della nostra Chiesa con il grande Cammino sinodale.

Certamente sono emerse preoccupazioni per il carico di lavoro che già grava sulle spalle delle nostre comunità, impegnate nella realizzazione del progetto delle Collaborazioni Pastorali. Ma è anche risultato subito evidente che negli ultimi dieci anni la nostra Arcidiocesi ha vissuto un autentico cammino sinodale, caratterizzato da un dialogo fitto e incalzante sulle grandi sfide che stimolano riflessioni e scelte pastorali conseguenti. La risonanza di questa attività pastorale è documentata nel testo del progetto “Siano una cosa sola perché il mondo creda (Gv 17,21): le collaborazioni pastorali. Nuove opportunità per l’azione missionaria della Chiesa sul territorio friulano”.  Dalla promulgazione del documento è nato un percorso di attuazione che ha visto le nostre comunità impegnate nell’attivazione degli organismi di partecipazione, nella formazione degli operatori pastorali e da ultimo nella visita pastorale dell’Arcivescovo. Un autentico cantiere locale, ancora attivo, che ha messo in un dialogo permanente migliaia di battezzati.

Partendo da questa analisi è nata la proposta di coinvolgere i neo-costituiti Consigli Pastorali di Collaborazione nel terzo cantiere del Cammino Sinodale. Non per aggiungere un ulteriore carico di lavoro né per aprire il fronte di una nuova ricerca pastorale ma un’occasione propizia per fare sintesi di un lavoro fatto e prendere coscienza del patrimonio spirituale che ne deriva.

Il terzo cantiere è «il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale», che mira a riconoscere la radice spirituale («la parte migliore») del servizio pastorale. In questa prospettiva la proposta permetterà ai cristiani impegnati nel ministero di rintracciare il fondamento senza il quale un servizio rimane solo una prestazione d’opera che, nel lungo periodo, prosciuga energie e motivazioni.

È utile ribadire che questo resta un tempo di ascolto e non di letture sistematiche e di risposte pastorali, a cui saranno invece dedicate le successive fasi, sapienziale e profetica, del Cammino.

Dovrà essere un ascolto “orientato”, per poter raccogliere descrizioni utili a proseguire il cammino; un ascolto che si fa riflessione, in una circolarità feconda tra esperienza e pensiero.

Una assemblea delle nostre Collaborazioni Pastorali il 18 marzo alle ore 15.00.

Nel cammino delle Collaborazioni Pastorali e nella visita pastorale è emersa la necessità di curare la vita spirituale (degli operatori pastorali e non solo).

Ci troveremo nella Parrocchia della B.V. delle Grazie sabato 18 marzo dalle ore 15 alle 16.30 per confrontarci e trovare una linea comune al fine di progettare il cammino delle nostre parrocchie nei prossimi anni. Tutti possono partecipare, non solo gli operatori pastorali. Ed allora abbiamo accolto queste domande alle quali vogliamo dare risposta.

  • Quali esperienze di ascolto della Parola di Dio e crescita nella fede possiamo progettare? (gruppi biblici, incontri nelle case, lectio divina, accompagnamento spirituale di singole e coppie, processi formativi a tutti i livelli…)?

  • Come possiamo evitare la tentazione dell’efficientismo affannato, innestando il servizio dell’ascolto di Dio e del prossimo? Esistono esperienze positive in merito? Che cosa può aiutarci a “liberare” il tempo necessario per avere cura delle relazioni?

  • Quali sono i servizi e i ministeri necessari che si potrebbero promuovere nella nostra Collaborazione Pastorale?

La sintesi verrà inviata alla segreteria del Centro Attività Pastorali della Diocesi quale contributo al cammino di tutta la chiesa che sa ascoltarsi e desidera ascoltare. Siamo noi tutti la chiesa e pertanto tutti siamo interessati e corresponsabili di questa famiglia che abbraccia il mondo intero e desidera ancora oggi donare la buona notizia del Vangelo.

                                                                                                                 (A cura del parroco)

 

MESSA PER LA PACE

PRESIEDUTA DALL’ARCIVESCOVO IN CATTEDRALE

VENERDI 10 MARZO ORE 19.00

 

Tutti i sacerdoti ed i fedeli delle parrocchie cittadine sono invitati a partecipare.

Canta la Cappella musicale della cattedrale.

In concomitanza è sospesa nell’Oratorio della Purità la Via Crucis delle 18.30 . Via Crucis soltanto nella chiesa di S. Giacomo alle ore 17.00

 

Messaggio dell’Arcivescovo

Quaresima 2023

 

Cari fratelli e sorelle,

iniziamo il tempo di Quaresima portando ancora negli occhi e nel cuore le tristissime immagini della guerra in Ucraina e del devastante terremoto in Turchia e in Siria. Nel vangelo di Luca (Lc 13,1-5) si parla di due eventi simili, anche se di ben altre proporzioni: Pilato aveva soppresso nel sangue un tentativo di rivolta di alcuni giudei contro il potere romano ed una torre delle mura di Gerusalemme era improvvisamente crollata schiacciando diciotto persone.

Gesù invita con forza i discepoli a considerare queste disgrazie non solo come fatti di cronaca di cui parlare, ma come un monito serio di Dio: «Se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo». Dopo un primo impatto emotivo, infatti, potremmo anche noi cadere nella trappola dell’assuefazione e dunque dell’indifferenza verso le devastazioni della guerra come del terremoto, avvertendole lontane da noi. Esse, invece continuano a toccarci da vicino perché portano con sé dei richiami che non dovremmo trascurare. Ne ricordo tre in particolare.

Pregare per la pace

Il primo lo sentiamo continuamente ripetere da Papa Francesco, il quale quasi settimanalmente invita a implorare Dio Padre, per intercessione di Maria, perché torni la pace. Non stanchiamoci, allora, di pregare per la pace. In particolare, venerdì 10 marzo tutte le diocesi e le parrocchie d’Italia sono invitate a celebrare una Santa Messa per la pace. Personalmente la presiederò in cattedrale alle ore 19. Ci inseriamo, in questo modo, in una grande catena di Sante Messe a cui hanno aderito le Chiese di tutti gli Stati europei.

La solidarietà concreta e prolungata nel tempo

Non dimentichiamo, poi, la solidarietà concreta e prolungata nel tempo, per rispondere alla quale merita che ci priviamo anche di qualcosa di superfluo a favore delle popolazioni colpite. Possiamo far giungere loro il nostro aiuto attraverso il canale sicuro della Caritas italiana. La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana propone, inoltre, una raccolta straordinaria nella domenica 26 marzo, quinta di quaresima.

La conversione al Vangelo di Gesù

Ma desidero, sopra a tutto, portare la nostra attenzione su un terzo richiamo che viene direttamente da Gesù: «Se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo». Le due recenti tragedie causate dalla violenza della natura e dalla cattiveria dell’uomo ci scuotono e ci ricordano drammaticamente che l’esistenza nostra e degli altri è “come un soffio” e che è avvelenata, purtroppo, dal male. Per cui raggiunge la vera felicità solo chi si libera dal male e spende i propri giorni con saggezza seguendo la strada del Vangelo.

L’iniziale passo da compiere è risvegliare le coscienze quando sono intontite da un certo torpore morale che porta a confondere il bene e il male. A tale torpore contribuiscono non poco i mezzi di comunicazione di massa, i quali hanno offerto, anche recentemente, spettacoli che, tra lustrini e ammiccamenti, inoculano messaggi gravemente ambigui sul senso della vita e dell’amore.

Durante questo tempo quaresimale accogliamo dunque i tre richiami che vi ho succintamente sottoposto. Troviamo il tempo per la preghiera, invocando, in particolare, il dono della pace. Privandoci del superfluo, doniamo un’elemosina per aiutare chi si trova nella disperazione. Risvegliamo, infine, nella coscienza un desiderio vivo di conversione verso il Vangelo perché i giorni scorrono e non vanno sprecati.

Auguro a tutti una santa Quaresima con la benedizione del Signore.

                                                                                                     + Andrea Bruno Mazzocato, Arcivescovo di Udine

 

 

MERCOLEDI’ DELLE CENERI: INIZIA LA QUARESIMA

 

Giorno di astinenza e digiuno

Inizia la Quaresima con un simbolo che sta al centro della celebrazione e parla al nostro cuore: le ceneri. Questo sapiente segno ci aiuta a vivere in modo autentico la dignità di figli di Dio, sue creature.  Noi proseguiamo in nostro cammino ponendo attenzione alla strada maestra che ci sta davanti, offerta a noi dal Vangelo.

La strada dell’elemosina: Liberando il cuore dai sospetti e dalle paure, diventiamo capaci di commuoverci davanti alle altrui sofferenze e nascono gesti e parole di aiuto e di condivisione con chi fa fatica a procedere nella vita.

La strada del digiuno: Non è una dieta ma è una liberazione dai consumi inutili, dagli sprechi e dagli abusi per avvertire la fame e la sete della Parola di Dio.

La strada della preghiera: è un tempo donato a Dio per l’ascolto di Lui ed una risposta da parte nostra in un dialogo ed un rapporto di amore e di fiducia.

 

ORATORIO DELLA PURITA’:

Nei giorni feriali

Ore 7.30 S. Messa e Recita delle Lodi.

Ore 18.30 Via Crucis

Ore 19.00 S. Messa e Vesperi.

 

CHIESA DI S. GIACOMO:

Ore 17.00 Via Crucis

 

Laudato si’ mi’ Signore, per sor’aqua…

Sorelle e fratelli, sta per iniziare la Quaresima che quest’anno è attraversata da una dimensione fondamentale per la nostra vita cristiana: il Battesimo.

Le acquasantiere

È una occasione opportuna per rimettere e benedire l’acqua nelle acquasantiere domenica prossima e comprendere a fondo questo segno importante della nostra liturgia, per il suo significato. L’acqua viene menzionata moltissime volte nella Bibbia, anzi è uno dei primi elementi che compare nella creazione, quando lo Spirito aleggiava sulle acque. Noi entriamo in chiesa e forse, dopo il Covid, abbiamo perso l’abitudine di intingere la nostra mano nell’acqua per fare il segno della croce. Riprendiamo questa bella usanza perché ci ricorda il nostro Battesimo e, facendo il segno della croce, nel contempo prendiamo coscienza della nostra fede: crediamo nel nostro Dio, uno e trino, e in Gesù Cristo che si è incarnato, ha patito, è morto e risorto per la nostra salvezza. È un segno che non si fa distrattamente ma convinti di compiere un atto di fede nei due grandi misteri della nostra vita cristiana. Così ogni mattina appena alzati e ogni sera prima di andare a dormire.

Il visibile guida all’invisibile

L’acqua appartiene al mondo visibile ma ci apre all’invisibile. È fonte di vita, purifica e fa rinascere, feconda la terra. Anche il diluvio ci parla di una umanità che viene “riassorbita” dall’acqua per dare origine ad una umanità nuova. E così è l’esperienza del popolo ebraico che passa illeso, attraverso il Mar Rosso, dalla schiavitù alla libertà. È sempre imponente e significativa la visione del profeta Ezechiele: sotto la soglia del tempio della nuova Gerusalemme sgorga una sorgente d’acqua che dà origine ad un fiume enorme che invade il deserto e comunica vita alle piante, agli animali ed agli uomini. E la ricerca ansiosa dell’acqua da parte di chi ha sete sincera di incontrare Dio, è richiamata dal salmo 42 (41): “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così la mia anima anela a Te, o Dio”.

L’acqua è sgorgata dal costato di Cristo.

Il nuovo tempio è Gesù. Da Lui, che ha versato ormai tutto il suo sangue come dono totale della vita, esce l’acqua che è il suo Spirito ed ha il potere di far passare l’uomo dalla morte alla vita eterna. Da qui la visione dell’Apocalisse che presenta il fiume di una nuova creazione che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello. “Chi ha sete, venga. Chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita (Ap 22,17). Siamo stati immersi nelle acque del Battesimo, siamo morti con Cristo e rinati con Lui a vita nuova ed eterna, gratuitamente (S. Paolo). È stata per noi la nostra prima Pasqua. Siamo figli di Dio, perciò risuona al nostro orecchio l’invito dello scrittore antico: “Cristiano, diventa quello che sei”.

Il fonte che abbiamo costruito nel battistero sotto il campanile, è molto eloquente. È costituito da una vasca con otto lati. In sei giorni il Signore creò il cielo e la terra. Il settimo riposò. L’ottavo giorno è quello senza tramonto. Col Battesimo già si entra nella via eterna, anzi la vita eterna è entrata in noi poiché Dio è venuto ad abitare in noi. I battezzandi entrano nella vasca battesimale lasciando le tenebre ed escono a oriente verso la luce, dopo l’infusione dell’acqua. Ed è Pasqua.

Dio è la sorgente della vita

Carissimi, recentemente ho visitato a Reana del Rojale la mostra sulla vita di Etty Hillesum, una vita piuttosto complessa e, direi, tormentata anche dalla ricerca di Dio, terminata nel 1943 ad Auschwitz. Così lei scrive:” Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. Alle volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e di sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo.” Tutto questo noi ricordiamo quando entriamo in chiesa e con l’acqua benedetta, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta (S. Francesco) segniamo la nostra persona con la croce.

Un cordiale saluto a tutti.                                                                           Il Parroco Mons. Luciano Nobile

 

“ABBI CURA DI LUI”

 

Cari fratelli e sorelle!

La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. Quando si cammina insieme, è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri “si arrangino”. Perciò, in questa XXXI Giornata Mondiale del Malato, nel pieno di un percorso sinodale, vi invito a riflettere sul fatto che proprio attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza. (omissis)

L’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli. Si tratta dunque di imparare da Lui, per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto. (omissis)

Fratelli, sorelle, non siamo mai pronti per la malattia. E spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. Temiamo la vulnerabilità e la pervasiva cultura del mercato ci spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio. E così il male, quando irrompe e ci assale, ci lascia a terra tramortiti. Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine, e ci avvelena il senso amaro di un’ingiustizia per cui sembra chiudersi anche il Cielo. Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi. Ecco perché è così importante, anche riguardo alla malattia, che la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido “ospedale da campo”: la sua missione, infatti, particolarmente nelle circostanze storiche che attraversiamo, si esprime nell’esercizio della cura. Tutti siamo fragili e vulnerabili; tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare. La condizione degli infermi è quindi un appello che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse sorelle e fratelli.

La Giornata Mondiale del Malato, in effetti, non invita soltanto alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti; essa, nello stesso tempo, mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme. (omissis)

La Parola di Dio è sempre illuminante e contemporanea. Non solo nella denuncia, ma anche nella proposta. La conclusione della parabola del Buon Samaritano, infatti, ci suggerisce come l’esercizio della fraternità, iniziato da un incontro a tu per tu, si possa allargare a una cura organizzata. La locanda, l’albergatore, il denaro, la promessa di tenersi informati a vicenda (cfr Lc 10,34-35): tutto questo fa pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro di operatori sanitari e sociali, all’impegno di familiari e volontari grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte di mondo, il bene si oppone al male.

Gli anni della pandemia hanno aumentato il nostro senso di gratitudine per chi opera ogni giorno per la salute e la ricerca. Ma da una così grande tragedia collettiva non basta uscire onorando degli eroi. Il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti. Occorre pertanto che alla gratitudine corrisponda il ricercare attivamente, in ogni Paese, le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute.

«Abbi cura di lui» (Lc 10,35) è la raccomandazione del Samaritano all’albergatore. Gesù la rilancia anche ad ognuno di noi, e alla fine ci esorta: «Va’ e anche tu fa’ così». Come ho sottolineato in Fratelli tutti, «la parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune». Infatti, «siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile».

Anche l’11 febbraio 2023, guardiamo al Santuario di Lourdes come a una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità. Non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare.

All’intercessione di Maria, Salute degli infermi, affido ognuno di voi, che siete malati; voi che ve ne prendete cura in famiglia, con il lavoro, la ricerca e il volontariato; e voi che vi impegnate a tessere legami personali, ecclesiali e civili di fraternità. A tutti invio di cuore la mia benedizione apostolica.

 

Roma, San Giovanni in Laterano, 10 gennaio 2023.

Papa Francesco

IN TERRA SANTA

23 – 30 agosto 2023

Ad accompagnare i pellegrini saranno don Marcin Gazzetta, direttore dell’ufficio catechistico, e don Stefano Romanello.

Le iscrizioni si accettano fino all’esaurimento dei posti disponibili, e comunque entro il 30 aprile 2023, provvedendo a inviare una mail all’ufficio catechistico (catechesi@diocesiudine.it) con i dati dei partecipanti, numeri di cellulare, la fotocopia del proprio passaporto e la quietanza dell’acconto versato (400 €, su una quota totale di 1.710 €). L’organizzazione del pellegrinaggio è in capo all’agenzia IOT viaggi di Gorizia.

I COLORI DELL’ANDALUSIA

TOUR DI 8 GIORNI: 14-21 APRILE 2023

Il programma e la quota di partecipazione si trova presso le bacheche del Duomo. Le iscrizioni si ricevono direttamente e con urgenza presso la IOT di Gorizia, cui è affidata l’organizzazione. Tel. 0481-530900.

 

 

GIORNATA DELLA VITA

“LA MORTE NON E’ MAI UNA SOLUZIONE”

 

1. Il diffondersi di una “cultura di morte”

In questo nostro tempo, quando l’esistenza si fa complessa e impegnativa, quando sembra che la sfida sia insuperabile e il peso insopportabile, sempre più spesso si approda a una “soluzione” drammatica: dare la morte. Certamente a ogni persona e situazione sono dovuti rispetto e pietà, con quello sguardo carico di empatia e misericordia che scaturisce dal Vangelo. Siamo infatti consapevoli che certe decisioni maturano in condizioni di solitudine, di carenza di cure, di paura dinanzi all’ignoto… È il mistero del male che tutti sgomenta, credenti e non. Ciò, tuttavia, non elimina la preoccupazione che nasce dal constatare come il produrre morte stia progressivamente diventando una risposta pronta, economica e immediata a una serie di problemi personali e sociali. Tanto più che dietro tale “soluzione” è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mentre non lo sono affatto. Quando un figlio non lo posso mantenere, non l’ho voluto, quando so che nascerà disabile o credo che limiterà la mia libertà o metterà a rischio la mia vita… la soluzione è spesso l’aborto.

Quando una malattia non la posso sopportare, quando rimango solo, quando perdo la speranza, quando vengono a mancare le cure palliative, quando non sopporto veder soffrire una persona cara… la via d’uscita può consistere nell’eutanasia o nel “suicidio assistito”.

Quando la relazione con il partner diventa difficile, perché non risponde alle mie aspettative… a volte l’esito è una violenza che arriva a uccidere chi si amava – o si credeva di amare –, sfogandosi persino sui piccoli e all’interno delle mura domestiche. Quando il male di vivere si fa insostenibile e nessuno sembra bucare il muro della solitudine… si finisce non di rado col decidere di togliersi la vita. (omissis)

2. Per una “cultura di vita”

Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indica una strada diversa: dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita. Ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa. Ci aiuta ad accogliere la drammatica prepotenza della malattia e il lento venire della morte, schiudendo il mistero dell’origine e della fine. Ci insegna a condividere le stagioni difficili della sofferenza, della malattia devastante, delle gravidanze che mettono a soqquadro progetti ed equilibri… offrendo relazioni intrise di amore, rispetto, vicinanza, dialogo e servizio. Ci guida a lasciarsi sfidare dalla voglia di vivere dei bambini, dei disabili, degli anziani, dei malati, dei migranti e di tanti uomini e donne che chiedono soprattutto rispetto, dignità e accoglienza. Ci esorta a educare le nuove generazioni alla gratitudine per la vita ricevuta e all’impegno di custodirla con cura, in sé e negli altri. Ci muove a rallegrarci per i tanti uomini e le donne, credenti di tutte le fedi e non credenti, che affrontano i problemi producendo vita, a volte pagando duramente di persona il loro impegno; in tutti costoro riconosciamo infatti l’azione misteriosa e vivificante dello Spirito, che rende le creature “portatrici di salvezza”. A queste persone e alle tante organizzazioni schierate su diversi fronti a difesa della vita va la nostra riconoscenza e il nostro incoraggiamento. (omissis)

3. Ma poi, dare la morte funziona davvero?

D’altra parte, è doveroso chiedersi se il tentativo di risolvere i problemi eliminando le persone sia davvero efficace.

Siamo sicuri che la banalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza elimini la ferita profonda che genera nell’animo di molte donne che vi hanno fatto ricorso? Donne che, in moltissimi casi, avrebbero potuto essere sostenute in una scelta diversa e non rimpianta, come del resto prevedrebbe la stessa legge 194 all’art.5. È questa la consapevolezza alla base di un disagio culturale e sociale che cresce in molti Paesi e che, al di là di indebite polarizzazioni ideologiche, alimenta un dibattito profondo volto al rinnovamento delle normative e al riconoscimento della preziosità di ogni vita, anche quando ancora celata agli occhi: l’esistenza di ciascuno resta unica e inestimabile in ogni sua fase.

Siamo sicuri che il suicidio assistito o l’eutanasia rispettino fino in fondo la libertà di chi li sceglie – spesso sfinito dalla carenza di cure e relazioni – e manifestino vero e responsabile affetto da parte di chi li accompagna a morire? (omissis)

4. La “cultura di morte”: una questione seria

Dare la morte come soluzione pone una seria questione etica, poiché mette in discussione il valore della vita e della persona umana. Alla fondamentale fiducia nella vita e nella sua bontà – per i credenti radicata nella fede – che spinge a scorgere possibilità e valori in ogni condizione dell’esistenza, si sostituisce la superbia di giudicare se e quando una vita, foss’anche la propria, risulti degna di essere vissuta, arrogandosi il diritto di porle fine. Desta inoltre preoccupazione il constatare come ai grandi progressi della scienza e della tecnica, che mettono in condizione di manipolare ed estinguere la vita in modo sempre più rapido e massivo, non corrisponda un’adeguata riflessione sul mistero del nascere e del morire, di cui non siamo evidentemente padroni. Il turbamento di molti dinanzi alla situazione in cui tante persone e famiglie hanno vissuto la malattia e la morte in tempo di Covid ha mostrato come un approccio meramente funzionale a tali dimensioni dell’esistenza risulti del tutto insufficiente. Forse è perché abbiamo perduto la capacità di comprendere e fronteggiare il limite e il dolore che abitano l’esistenza, che crediamo di porvi rimedio attraverso la morte?

5. Rinnovare l’impegno

La Giornata per la vita rinnovi l’adesione dei cattolici al “Vangelo della vita”, l’impegno a smascherare la “cultura di morte”, la capacità di promuovere e sostenere azioni concrete a difesa della vita, mobilitando sempre maggiori energie e risorse. Rinvigorisca una carità che sappia farsi preghiera e azione: anelito e annuncio della pienezza di vita che Dio desidera per i suoi figli; stile di vita coniugale, familiare, ecclesiale e sociale, capace di seminare bene, gioia e speranza anche quando si è circondati da ombre di morte.

 (Il Consiglio permanente della CEI)