Festa della Presentazione del Signore

“DA CUORE A CUORE”

“Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace”

La vera pace: dono di Dio e impegno dell’uomo

Non vi è vera pace se non con Dio e tra di noi.” (Città di Dio, XIX, 21). Sant’Agostino, con la lucidità che lo contraddistingue, ci offre qui una sintesi mirabile di ciò che la Scrittura e la tradizione della Chiesa non cessano di ripetere: la pace non è un semplice equilibrio di forze, un’assenza di conflitti o una tregua armata tra nazioni, ma è comunione, armonia, dono di Dio e responsabilità dell’uomo. La pace è un nome di Dio: “Dominus pax est” (Gdc 6,24), proclama Gedeone nell’Antico Testamento. E, nel Nuovo, Cristo stesso si presenta come il dispensatore della pace vera: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. La pace che vi do non è come quella del mondo.” (Gv 14,27). La pace è un compito Papa Giovanni XXIII, nella sua enciclica Pacem in Terris (1963), traccia un’architettura della pace che si regge su quattro pilastri fondamentali: verità, giustizia, amore e libertà (n. 18-19). Senza la giustizia, la pace è solo una parvenza, un’illusione destinata a infrangersi. È quanto sottolinea anche il Salmo 85: “Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno.” (Sal 85,11). Non può esserci pace se il debole è oppresso, se la dignità umana è violata. Sant’Agostino, nel passo citato, ci invita a considerare la pace come una realtà che non può essere costruita prescindendo da Dio. Ogni tentativo di edificare la pace senza Dio è destinato a rivelarsi fragile, provvisorio, instabile. E ce lo insegna la storia; “Se il Signore no costruisce la casa, invano faticano i costruttori” (Sal 127,1) Eppure, la pace non è solo dono, ma anche compito: Cristo proclama beati non coloro che sognano la pace, ma i costruttori di pace (Mt 5,9). Essere operatori di pace significa avere il coraggio di andare controcorrente, di spezzare la logica dell’odio, di rispondere alla violenza con la forza mite dell’amore. Dietrich Bonhoeffer, martire del nazismo, scriveva: “La pace non significa sicurezza, ma mettersi totalmente nelle mani di Dio.

Dalla pace del cuore alla pace del mondo.

Ma come si può costruire la pace nel mondo se prima non si è in pace con se stessi? Non a caso, Agostino collega la pace con Dio alla pace “tra di noi”. In interiore homine habitat veritas – “La verità abita nell’intimo dell’uomo” (De vera religione, 39,72). Se il nostro cuore è diviso, inquieto, schiavo di risentimenti, come possiamo sperare di portare pace agli altri? È necessario partire dalla pace interiore, che non è indifferenza né rassegnazione, ma la serenità che nasce dalla comunione con Dio. Chi è riconciliato con Dio diventa strumento di riconciliazione nel mondo: San Francesco d’Assisi lo aveva compreso bene quando pregava: “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa’ che io porti amore.

“Ch’io Vi ami sempre più”

La carità diventa così il criterio non solo dell’interpretazione, ma della vita stessa del cristiano. Agostino vede nell’amore il culmine di ogni virtù e l’unica forza capace di ordinare tutti i desideri umani verso il loro vero fine, che è Dio. “Ama e fai ciò che vuoi” (In Epistolam Ioannis ad Parthos 7,8), scriverà altrove, condensando in poche parole l’intero spirito del Vangelo. La carità, infatti, non sopprime la libertà, ma la perfeziona, perché l’amore autentico non conosce costrizioni, ma solo il desiderio di compiere la volontà dell’Amato. La conoscenza e la sapienza, nella riflessione di Agostino, sono poca cosa se non si traducono in un viaggio verso Dio e verso il prossimo. Nel mondo bisogna sentire, compatire, tutelare: amare sempre più, in obbedienza a un altro comando del Signore, che ha messo in noi la sete di progresso. Non si può progredire soltanto nel lavoro, nella preparazione, nella tecnica; con la stessa intensità bisogna fare sempre passi in avanti affinché questo amore a Dio sia sempre più intenso e perfetto. Il Signore ha detto a tutti i suoi: “voi siete la luce del mondo, il sale della terra” (Matth. 5,8); “siate perfetti com’è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt. 5,48). Dunque sempre progredire, con l’aiuto di Dio e nell’amore a Dio. “È troppo grande Dio, troppo Egli merita da noi, perché gli si possano gettare, come ad un povero Lazzaro, appena poche briciole del nostro tempo e del nostro cuore” (Giovanni Paolo I).

La pace nelle case

Non si può sognare la pace tra i popoli se prima non si costruisce la pace nelle proprie case, nelle proprie famiglie, nei rapporti quotidiani. La pace tra gli Stati è solo il riflesso di una pace che deve prima essere vissuta tra le persone. Il Concilio vaticano II, nella Gaudium et Spes, ricorda che “la pace non è la semplice assenza della guerra, né si riduce a garantire l’equilibrio tra forze avverse, ma è fondata su una giusta ordinazione della società umana.” (GS 78). E questa ordinazione non inizia nelle cancellerie della diplomazia, ma nei cuori e nelle relazioni più vicine. Papa Francesco ci avverte: “Quante volte si parla di pace mentre si fabbricano armi o si seminano discordie! La pace comincia nelle piccole cose: nel rispetto, nella capacità di ascolto, nel perdono.” La guerra non si prepara solo nei palazzi del potere, ma nei cuori inaspriti dall’odio, nelle famiglie lacerate da rancori, nelle comunità chiuse nel loro egoismo, ecc. “Se uno dice: ‘Io amo Dio’, e odia suo fratello, è un bugiardo.” (1Gv 4,20). La pace del mondo inizia quando scegliamo di non alzare la voce, di non rispondere all’offesa con l’offesa, di ricostruire un ponte là dove è stato distrutto. Per questo Gesù ci ha lasciato un comandamento preciso: “Se stai per presentare la tua offerta all’altare e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con lui.” (Mt 5,23-24).

La scelta di appartenere alla Città di Dio

Sant’Agostino, nella Città di Dio, distingue tra due città: la civitas terrena, fondata sull’amore di sé fino al disprezzo di Dio, e la civitas Dei, fondata sull’amore di Dio fino al disprezzo di sé (Città di Dio, XIV, 28). Sembra una distinzione un poco estrema, ma serve per rendere l’idea: disprezzo di sé significa prima di tutto altruismo, polarmente opposto all’egoismo. È tra queste due predisposizioni che si deve, inevitabilmente, fare una scelta. Possa il Signore renderci operatori di pace, nelle nostre case, nelle nostre comunità.

Francesco Palazzolo