“Si avvicinavano a lui i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro»”(Lc 15,1-2). Così inizia il Vangelo di questa domenica. Ma ancora in Luca leggiamo: “E’ venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico di pubblicani e di peccatori” (Lc 7,34). Nel Vangelo di Matteo: “Mentre sedeva a tavola nella casa (di Matteo), sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli” (Mt 9,10). I pubblicani li conosciamo, sono gli esattori delle tasse per conto dei romani, i peccatori sono gli ebrei poco osservanti delle regole e dei precetti del Talmud. I farisei sono parte di un partito religioso giudaico propugnatore di una profonda conoscenza della Torah, la legge biblica, e di una rigida interpretazione soprattutto riguardo al sabato, alla purità rituale e alle decime. Nonostante il profondo impegno religioso, l’esagerato zelo per la legge e la purità li porta a un altero isolamento e al disprezzo del popolo. Gli scribi, uomini colti dediti allo studio e sono membri della classe dirigente. Spesso nel Vangelo li troviamo assieme ai farisei.
Gesù ci ha rivelato che Dio è “amico di pubblicani e peccatori”: ma fino a quando lo sarà? Non verrà il giorno in cui cambierà atteggiamento nei loro confronti? Pensiamo che abbiano, abbiamo, tempo fino alla fine della vita per convertirsi, poi basta. Al momento della resa dei conti Dio smette di essere buono e diventa un giudice giusto. Questo cambiamento di sentimenti non può che lasciarci stupiti e sconcertati. C’è una risposta convincente?
Ai farisei e agli scribi che mormoravano “Egli disse loro questa parabola” (Lc 15,3). Dopo il racconto della parabola della pecorella smarrita e della dramma perdura (Lc 15, 4-10) Gesù racconta la più bella parabola, il Vangelo nel Vangelo, la chiamano i Padri della Chiesa, la parabola del ‘Padre misericordioso’ o ancora meglio ‘Parabola dell’amore del Padre’, in genere conosciuta come ‘il figliol prodigo’. Qui troviamo la risposta al nostro pressante interrogativo. Gesù usa il genere letterario della parabola, racconto allegorico, perché presentando tre personaggi l’ascoltatore si senta attratto totalmente da uno solo, quello che incarna il messaggio. Gesù non si rivolge ai pubblicani e ai peccatori, ma ai farisei e agli scribi. Gli impeccabili che stanno correndo un grosso rischio spirituale perché hanno falsato completamente il rapporto con Dio, non hanno capito che egli ama tutti gratuitamente e davanti a lui non si possono accampare meriti.
“Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: ‘Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta’. Ed egli divise tra loro le sue sostanze” (Lc 15,11-12). Rispetto della libertà e totale generosità. Questo figlio dopo essere finito a “pascolare i porci” decide di tornare dal padre, non perché pentito, ma perché “io qui muoio di fame”. A questo punto torna in scena il padre: non dice una parola. La sua reazione di fronte al figlio che ritorna è descritta in cinque verbi che da soli bastano a far considerare questo versetto (20) come uno dei più belli di tutta la Bibbia.
–“Quando era ancora lontano, suo padre lo vide”. Da sempre lo aspettava, sempre guardava quella strada senza mai stancarsi.
–”ebbe compassione”. Il testo originale parla di una commozione così grande da essere percepita anche fisicamente, nelle viscere. Nei Vangeli questa espressione compare 12 volte ed è sempre riferita a Dio o a Gesù.
–”gli corse incontro”. Si mise a correre anche se vecchio; dimenticando il suo rango. Agisce ascoltando solo il cuore.
–”gli si gettò al collo”. Gli cadde quasi addosso con un abbraccio totale.
–”e lo baciò”. E’ il segno dell’accoglienza, l’espressione della gioia e del perdono.
“E facciamo festa” (Lc15,23). Noi vorremmo che la parabola finisse qui, ma Gesù continua: “Il figlio maggiore si trovava nei campi” (Lc 15,25).«E’ l’uomo dei rimpianti, onesto e infelice, che ha perso la gioia di vivere: non ama quello che fa, e il cuore è assente. Tutti noi siamo un po’ così, onesti e infelici, cristiani del capretto, come ci chiama P. D. Turoldo, viviamo più da salariati che da figli. Ma l’amore del padre non è commisurato ai meriti dei figli, sarebbe amore mercenario. Non si misura su di un capretto. Non c’è nessun capretto, c’è molto di più, tutto: “tutto ciò che è mio è tuo” (Lc 15,319. (P. Ronchi) Mons. Pietro Romanello
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-30 11:58:122019-03-30 11:58:12Quarta Domenica di Quaresima
ll Triduo Pasquale è il centro di tutto l’anno liturgico e non c’è celebrazione più importante di questa per noi cristiani. Celebreremo anche quest’anno l’atto di obbedienza per il quale siamo stati salvati, il gesto d’amore che ci ha ridato la Vita per sempre! Durante il Triduo Pasquale non rievochiamo un avvenimento del passato a modo di commemorazione, come si può fare per qualsiasi evento tragico, noi celebriamo la passione, morte e resurrezione del Signore Gesù a modo di Mistero. L’evento della crocefissione, agonia, morte e resurrezione di Gesù, si riattualizza, si rende presente negli effetti salvifici. Per mezzo della celebrazione del Triduo Pasquale l’evento della nostra salvezza diviene contemporaneo a noi e noi a lui. Il Triduo Pasquale, ricco di riti e celebrazioni, costituisce per i cristiani il cuore della liturgia in quanto memoriale dell’essenza della fede in Gesù Cristo morto e risorto. Con il termine “triduo pasquale” si fa riferimento ai tre giorni precedenti la Domenica di Pasqua, nei quali si fa memoriale della passione e morte di Cristo, prima della Risurrezione nel giorno di Pasqua. Secondo il Rito Cattolico Romano il Triduo ha inizio con i Vespri del Giovedì Santo e la celebrazione della “Cena del Signore” e si conclude con i Vespri del giorno di Pasqua.
Il Triduo Pasquale è “tutto un grande mistero di amore e di misericordia”. Quest’anno inizieremo a celebrarlo in cattedrale, insieme con il Vescovo ed i fedeli della Parrocchia che vorranno partecipare, poiché la Parrocchia è unica anche se le chiese sono diverse. Pertanto anche coloro che sono abituati a frequentare la chiesa di San Giacomo o di San Pietro martire, sono invitati a recarsi in cattedrale per vivere insieme la Pasqua del Signore morto e risorto. Il parroco don Luciano Nobile
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/Triduo-Pasquale.png272269Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-30 11:46:152019-03-30 11:46:15Il Triduo Pasquale in Cattedrale
Ci sono delle persone che possiedono degli ulivi? Ci sono delle persone che conoscono dei proprietari di qualche oliveto? Abbiano la cortesia di chiamare il parroco: 0432 505302
Servono gli ulivi per la domenica delle palme (14.04.19).
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/ulivo.jpg154327Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-30 10:25:092019-03-30 10:25:09Appello !!!
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/via-crucis.jpg147300Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-30 09:49:262019-03-30 09:49:26Via Crucis
Una delle chiese più belle e antiche di Udine, San Giorgio Maggiore di borgo Grazzano, ospita una copia autentica della Sacra Sindone, proveniente da Torino.
L’evento ha lo scopo di raccogliere i fedeli in preghiera in questo periodo quaresimale e per tutto il tempo pasquale, ricordando questa sacra reliquia e saranno organizzati degli incontri che culmineranno con un approfondimento sul mistero della Sacra Sindone.
Il Parroco don angelo Favretto ha voluto aprire le porte della chiesa per «riallacciare quel connubio tra vita e fede che da sempre contraddistingue la gente del Friuli».
Quattro gli incontri quaresimali che si svolgeranno per tre giovedì iniziati il 14 marzo. Ad accompagnare i fedeli in questo percorso ci sarà una copia autentica della Sacra Sindone proveniente da Torino, che sarà custodita in una speciale teca realizzata per l’occasione.
La sacra sindone è il lenzuolo funerario di lino conservato nella cattedrale del capoluogo piemontese, sul quale è impresso il volto di un uomo flagellato e crocifisso, che si pensa abbia avvolto il corpo di Cristo nel sepolcro. Proprio il volto della Sindone è tra i grandi misteri della religione cristiana e sarà il tema dell’incontro del 5 aprile, alle 20.30. A condurre l’incontro sarà il sindonologo Giulio Fanti, professore associato di Misure meccaniche e termiche al dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Padova, coadiuvato dal medico anatomopatologo Matteo Bevilacqua.
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/Sacra-Sindone.jpg169300Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-30 09:17:382024-04-30 15:19:41Copia autentica della Sindone a Udine
La festa dell’Annunciazione del Signore è stata molto partecipata grazie anche alla presenza dei parrocchiani, dei volontari del “Centro Aiuto alla vita”, delle famiglie,
dei Pueri cantores del Duomo
e dei cresimandi adulti che hanno ricevuto il Credo.
Grazie a tutti.
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/grazie-3.png159318Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-30 09:03:452019-03-30 09:03:45Ringraziamenti
“In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere assieme a quello dei loro sacrifici” (Lc 13,1). Il Vangelo di questa domenica di Quaresima inizia con la cronaca di un crimine commesso da Pilato. Alcuni pellegrini venuti dalla Galilea per offrire sacrifici al tempio, era la pasqua degli Ebrei, sono coinvolti in un fatto di sangue. Il fatto è veramente accaduto, ne siamo certo, perchè Luca all’inizio del suo Vangelo scrive:”Ho deciso di fare accurate ricerche” (Lc 1,3). La Pasqua celebra la liberazione dall’Egitto è inevitabile che risvegli in ogni israelita aspirazioni alla libertà e acuisca il sentimento di rivalsa contro l’oppressore romano. Forse galilei un po’ fanatici: una parola, un gesto, provocano una rissa con i soldati romani di guardia al Tempio. Pilato, che, durante le feste di Pasqua, si trasferiva da Cesarea a Gerusalemme per assicurare l’ordine e prevenire sommosse non tollera nemmeno l’accenno alla ribellione: fa intervenire i soldati che, senza alcun rispetto per il luogo santo, massacra i malcapitati galilei. La crudeltà e la sua insensibilità verso le tradizioni religiose degli ebrei erano noti. Giuseppe Flavio riferisce che Pilato, quando condusse la prima volta le truppe romane a Gerusalemme da Cesarea, commise una violazione senza precedenti alla sensibilità ebraica. Fece introdurre di notte in città stendardi militari con i busti dell’imperatore, che erano considerati immagini idolatriche dagli ebrei. Una massiccia manifestazione di protesta e di sfida e l’intervento dell’Imperatore, convinsero Pilato a rimuovere gli stendardi. Ancora Giuseppe Flavio parla di proteste quando Pilato si appropriò dei fondi del Tempio per costruire un acquedotto per la città di Gerusalemme. In quella occasione Pilato ordinò che i soldati romani, vestiti da civili ebrei e armati con bastoni nascosti, si confondessero con la folla schiamazzante e attaccassero la gente a un segnale convenuto. Ci furono molti morti e feriti. Ci siamo dilungati su Pilato, prefetto romano della Giudea dal 26 al 36, perchè ogni domenica nel Credo recitiamo «patì sotto Ponzio Pilato».
“Prendendo la parola , Gesù disse loro: Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei per aver subito tale sorte” (Lc 13,2). I latori della notizia si attendevano due precise risposte. Una severa dichiarazione di posizione antiromana, una condanna di Pilato e, forse, un coinvolgimento in una rivolta armata. E, in base delle loro convinzioni, dichiarasse che sono morti perchè erano carichi di peccati. Anche i diciotto morti nel crollo della torre di Sìloe, secondo loro, erano morti perchè peccatori. «Gesù prende le difese sia di Dio, sia degli uccisi: non è Dio che arma la mano di Pilato, che aggiunge sangue a sangue, che abbatte torri. Non ci sono colpe segrete da punire» (P. Ronchi). La risposta di Gesù: “No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5). Luca non è interessato al contenuto della conversione, quali cose cambiare, ma a un cambiamento che vada alla radice. Questo è il significato del termine ‘conversione’. La via proposta ai discepoli, e a noi, nei capitoli precedenti questa è ‘conversione’. E queste è la proposta quaresimale. Non c’è poi una minaccia, ma un consiglio: la vita è precaria, fragile, usa bene il tuo tempo.
“Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò” (Lc 13,6). Le parole della parabola: un tale, fico, vigna, vignaiolo, tre anni. “Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle” (Is 5,1). I discepoli, quindi noi, siamo il fico, simbolo di vita serena, gustoso per i suoi frutti e riposante per la sua ombra, piantati dentro la vigna/Israele/Chiesa che Dio ama, per dare frutti. Quali frutti? Lo dice San Paolo ai Gàlati: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, grandezza d’animo, benignità, bontà, fedeltà, mansuetudine, sobrietà” (Gal 5,22-23). Dopo tre anni, i tre anni della vita pubblica di Gesù, il Lieto Annuncio/Vangelo, cioè Gesù il volto bello visibile di Dio riceve ancora un rifiuto. Allora il padrone/dio, non il Dio di Gesù, ma il dio vendicativo degli Ebrei ordina: “Taglialo dunque “ (Lc 13,7). “Padrone lascialo ancora quest’anno” (Lc 13,8) è la voce del vignaiolo, Gesù. «”Lascialo ancora quest’anno” (Lc 13,8) e porterà frutto. In questo ancora c’è il miracolo della pietà divina: una piccola probabilità, uno stoppino fumigante, una canna incrinata sono sufficienti a Dio. Convertirsi è credere a questo Dio, non al padrone che minaccia morte, ma al contadino fidente che si prende cura di quella zolla di terra che è il mio cuore. Dio si fida di me, io mi fido di Dio. In questo incontro di fedi, da un raddoppio di fiducia nasce la salvezza» (P. Ronchi, Respirare Cristo).
Buona Domenica. Mons. Pietro Romanello
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-23 09:41:402019-03-23 09:41:40Terza Domenica di Quaresima
in queste domeniche di Quaresima mi corre l’obbligo di presentare e di richiamare l’importanza delle celebrazioni dell’Arcivescovo in cattedrale, che è la chiesa madre. Il vescovo è un segno vivo del Buon Pastore che è Gesù e i sacerdoti inviati da lui nelle varie parrocchie lo rappresentano e partecipano come cooperatori al suo ministero pastorale. Lo dico anche in vista di alcune decisioni che, in occasione del Triduo Pasquale, si prenderanno. In queste domeniche cercherò di rendere ragione di queste scelte onde addivenire ad una condivisione convinta ed accolta da persone adulte nella fede.
La funzione del vescovo, come dottore, santificatore e pastore della sua Chiesa, brilla soprattutto nella celebrazione della sacra liturgia da lui compiuta con il popolo. «Perciò bisogna che tutti diano la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi intorno al vescovo principalmente nella chiesa cattedrale; convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri».
Dunque le sacre celebrazioni presiedute dal vescovo, manifestano il mistero della Chiesa a cui è presente Cristo; perciò non sono un semplice apparato di cerimonie. Inoltre è opportuno che queste celebrazioni siano di esempio per tutta la diocesi e brillino per la partecipazione attiva del popolo. Perciò in esse la comunità riunita partecipi con il canto, il dialogo, il sacro silenzio, l’attenzione interna e la partecipazione sacramentale. Dunque in tempi determinati e nei giorni più importanti dell’anno liturgico si preveda questa piena manifestazione della Chiesa particolare a cui siano invitati il popolo proveniente dalle diverse parti della diocesi e, per quanto sarà possibile, i presbiteri…… In queste assemblee la carità dei fedeli si estenda alla Chiesa universale e sia suscitato in essi un servizio più fervido al vangelo e agli uomini. (Dal cerimoniale dei Vescovi) Il Parroco Luciano Nobile
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/crisma.jpg683911Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-23 09:30:092019-03-23 09:30:09Importanza della liturgia celebrata dal Vescovo
Carissimi fedeli, anche oggi colgo la felice occasione di condividere con voi il Vangelo che viene proclamato durante le SS. Messe, che è sempre una bella notizia per noi.
“Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,28-29). Notiamo con una certa curiosità la precisazione dell’evangelista “Circa otto giorni dopo questi discorsi”. I discorsi a cui Luca si riferisce sono quelli riportati nel capitolo sesto del suo Vangelo: “Beati voi, poveri” (Lc 6,20); “Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici” (Lc 6,27); “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36); “Date e vi sarà dato” (Lc 6, 38); “Può forse un cieco guidare un altro cieco?” (Lc 6, 39); “Ipocrita! Togli prima la trave del tuo occhio” (Lc 6,42); “Perché mi invocate: Signore, Signore! E non fate quello che vi dico?” (Lc 6,46). Gesù aveva presentato la sua proposta del vero discepolo, dell’uomo riuscito secondo Dio. Ma i cristiani delle comunità di Luca si tormentano nel dubbio della scelta: queste proposte fanno di me un uomo di successo secondo Dio, ma sono, umanamente parlando, un fallimento. E chi è questo Gesù che propone un tale rischio? Una nascita anonima: gli uomini che contavano allora erano Cesare Augusto, Quirinio, i sacerdoti del tempio e lui l’ultimo, bambino in una grotta. Una vita anche di fatti prodigiosi, ma sempre con poveri, ammalati, lebbrosi, peccatori, amato dai poveri, ma perseguitato dai potenti. Erode Antipa (Lc, 13,32) desiderava vederlo, me Gesù manda a dirgli che ‘non era della sua cerchia’. La fine: condannato e crocefisso come un qualunque malfattore tra due ladri; un fallimento.
Il racconto del Vangelo di oggi è una rivelazione rivolta ai discepoli, rivelazione che ha come oggetto il significato profondo e nascosto della persona di Gesù e della sua opera. Inoltre Luca, con questo racconto, vuole preparare le sue comunità, e quindi noi, a leggere alla luce di Dio gli eventi pasquali. Questa rivelazione ci viene comunicata mediante riferimenti all’Antico Testamento e a due episodi della stessa vita di Gesù, ossia il Battesimo – con il quale il nostro racconto ha diverse analogie – e con i racconti pasquali – coi quali ha innegabile parentela di vocabolario e di immagini -.
“…e salì sul monte a pregare” (Lc 9,28). Il racconto della trasfigurazione di Gesù viene riferito in modo quasi identico dal Vangelo di Marco, di Matteo e di Luca – detti i Vangeli sinottici perché totalmente simili nella struttura e nel testo-, ma solo Luca scrive “salì a pregare” e aggiunge che “il suo volto cambiò d’aspetto e le sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,29). Non parla di trasfigurazione, ma di cambiamento d’aspetto. Questo splendore è il segno della gloria di chi è unito a Dio. La luce sul volto di Gesù indica che, durante la preghiera, egli ha compreso e fatto suo il progetto del Padre; ha capito che il suo sacrificio non si sarebbe concluso con la sconfitta, ma nella gloria della risurrezione. E i tre discepoli, senz’altro i più preparati, scelti da Gesù per vivere questa esperienza spirituale, notano questo “cambio d’aspetto e questa veste sfolgorante”.
“Ed ecco due uomini conversavano con lui. Erano Mosè ed Elia” (Lc 9,30). Gesù è il compimento dell’Antico Testamento e la via che egli percorre è la via della Croce: questo è il primo grande insegnamento. Alcuni elementi del racconto, come la nube e la voce, la presenza di Mosè ci pongono in direzione delle teofanie del Sinai -manifestazioni di Dio – il modello di tutte le teofanie bibliche. Con questo parallelo Luca vuol affermare che Gesù è il nuovo Mosè, il profeta definitivo, e che in lui giungono a compimento l’Alleanza e la legge. Mosè (Es. e Dt.) ed Elia (1/2 Re.) sono personaggi particolarmente qualificati a discorrere con Gesù del suo esodo e della sua Croce. Mosè guidò il popolo di Dio nel passaggio (esodo) dall’Egitto alla terra promessa. Ma fu anche chiamato a vivere un suo esodo personale. Crebbe alla corte del Faraone, ma preferì la solidarietà col suo popolo; minacciato da uno del suo popolo in favore del quale era intervenuto, è costretto a fuggire nel deserto; chiamato da Dio a guidare la marcia di Israele verso la libertà, provò ripetutamente l’amarezza della contestazione e dell’abbandono; e morì alle soglie della terra promessa, senza la soddisfazione di entrarvi. Elia, profeta fra i più tenaci e vigorosi, insofferente di ogni forma di idolatria e della corruzione del governo, conobbe la via della fuga, del deserto e della solitudine, ma anche la gioia della presenza del Signore e il conforto della sua parola. Ascoltare le Scritture, conoscere l’esperienza di Mosè, di Elia e di altri profeti ci aiutano a comprendere più a fondo il ‘nuovo esodo’ che Gesù ha compiuto e che il discepolo dovrà a sua volta compiere. La trasfigurazione è una rivelazione in anticipo della futura risurrezione di Gesù, ma è, lo ripetiamo, anche una rivelazione di ciò che Gesù è già: il Figlio di Dio. L’episodio è una chiave che permette di cogliere la vera natura di Gesù dietro le apparenze che lo nascondono.
“Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne…” (Lc 9,33). La trasfigurazione è anche una rivelazione dell’identità del discepolo. La via del discepolo è come quella del Maestro, ugualmente incamminata verso la Croce e la risurrezione. La comunione con Dio è già operante. E di tanto in tanto questa realtà profonda e pasquale, normalmente nascosta, affiora. Nel viaggio della fede non mancano momenti chiari, momenti gioiosi, all’interno della fatica dell’esistenza cristiana. Il loro carattere è però fugace e provvisorio, e il discepolo deve imparare ad accontentarsi. Pietro desiderava eternizzare quell’improvvisa chiara visione, quella gioiosa esperienza. E’ un desiderio che rivela un’incomprensione dell’avvenimento: ”Egli non sapeva quello che diceva” (Lc 9,33). I momenti gioiosi e chiari disseminati nella vita di fede non sono il definitivo, ma soltanto la sua pregustazione; non sono la meta, ma soltanto un anticipo profetico di essa. La strada del discepolo è ancora quella della croce.
Auguro a tutti una buona domenica. Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano
https://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/04/la-domenica.jpg284500Cattedrale di Udinehttps://www.cattedraleudine.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-logo_Cattedrale-Udine_150x150-300x300.pngCattedrale di Udine2019-03-16 09:29:342019-03-16 09:29:34Seconda domenica di Quaresima
è iniziato il Tempo della Quaresima e noi ci mettiamo in ascolto attento della parola di Dio che guida la nostra vita.
“Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati ebbe fame” (Lc 4,1-2). Il Vangelo di oggi non è la cronaca fedele, redatta da un testimone oculare, della sfida tra Gesù e il diavolo, ma una lezione di catechesi e vuole insegnarci che Gesù è stato messo alla prova non con tre, ma con ”ogni tentazione” (Lc 6,13). Non sono tre episodi isolati della vita di Gesù, ma a tre parabole in cui, attraverso immagini e richiami biblici, Luca afferma che Gesù è stato tentato in tutto come noi.
“…per quaranta giorni” (Lc 4,2). Il quaranta è un numero ricorrente nella Bibbia. Sul monte Sinai “Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane e senza bere acqua” (Es 34,25). “Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Fino a quando sopporterò questa comunità malvagia che mormora contro di me? Riferisci loro…Quanto a voi, i vostri cadaveri cadranno in questo deserto. I vostri figli saranno nomadi nel deserto per quarant’anni…»” (Nm 14,26ss). Nel primo libro dei Re si legge che il profeta Elia, mentre era in fuga, fu invitato dall’angelo a mangiare una focaccia cotta su pietre roventi e a bere un orcio d’acqua: “Si alzò mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb” (1Re 19,6-8). Da questi esempi riusciamo a capire come Luca abbia costruito il racconto delle tentazioni e notiamo il ripetersi del numero quaranta. I numeri nella Bibbia hanno spesso un valore simbolico. Il numero quaranta può indicare ‘una generazione’ oppure ‘tutta una vita’ e ancora, ed è il caso del Vangelo di oggi, ‘un periodo di preparazione’,più o meno lungo, a un grande avvenimento. Il diluvio che preparò una nuova umanità durò quaranta giorni e quaranta notti (Gn 9,1ss). Gesù, dopo il Battesimo nel Giordano, si prepara alla sua ‘grande’ missione “..,nel deserto, per quaranta giorni” collegandosi così all’esperienza di Israele “per quarant’anni nel deserto messo alla prova per sapere quello che aveva nel cuore” (Dt 8,2) . La Chiesa, fin dal IV secolo, prendendo spunto da questi testi biblici, propone un periodo di preparazione di quaranta giorni, Quaresima/quadragesima, qui il numero non è simbolico, alla più grande festa cristiana.
“Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei il Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Il diavolo lo condusse in alto… e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la gloria…se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me». Lo condusse a Gerusalemme sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù…» (Lc 4,2-12). Rimaniamo un po’ sconcertati che Gesù abbia avuto dubbi come noi, che abbia incontrato difficoltà nell’adempimento della sua missione, Che abbia scoperto gradualmente il progetto del Padre. Abbiamo quasi paura di abbassarlo troppo al nostro livello. Ci viene incontro l’autore della Lettera agli ebrei. ”Infatti proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,18). “Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze; egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). L’evangelista Luca parla di tentazioni, ma forse è meglio parlare, sull’esempio della Lettera agli ebrei, di prove. Il centro della narrazione del Vangelo di oggi è costituito da tre suggerimenti di Satana e della triplice risposta di Gesù. Si tratta di una prova che è possibile leggere da diverse angolature. Sostanzialmente il diavolo suggerisce a Gesù di percorrere una via messianica conforme alle attese popolari. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-100 dC.) racconta che ‘uomini fanatici sobillavano il popolo a recarsi nel deserto perché là Dio avrebbe ripetuto il prodigio della manna, o a recarsi sulla spianata del tempio dove Dio sarebbe prodigiosamente disceso dal cielo, e assicuravano che il Messia avrebbe assunto la sovranità sul mondo intero. Conformarsi alle attese del popolo, per essere in tal modo accettato e popolare, o attenersi alla Parola di Dio? Lette a questo livello, si comprende che le tre tentazioni si riducono nella sostanza a una sola. «Le grandi tentazioni, le vere, non sono quelle di cui si preoccupa o si ossessiona un certo cristianesimo moralista, non sono quelle che ci saremmo aspettate. Quelle, ad esempio, che riguardano la sfera sessuale, ma sono quelle che vanno a demolire la fede» (O. Clèment). Per due volte il diavolo si rivolge a Gesù dicendogli “Se tu sei il Figlio di Dio”. E’ dunque in gioco il modo di pensare la filiazione divina. Per Gesù l’essere figlio si esprime nell’obbedienza e nella dedizione, per Satana nel poter usare della potenza di Dio per la propria gloria e a piacimento. In tutte tre le tentazioni Gesù ha trovato la risposta al tentatore nelle Scritture. ”Non di solo pane vive l’uomo”,“Solo il Signore tuo Dio adorerai”“Non tenterai il Signore tuo Dio”. Sono tre citazioni che sottolineano la fiducia nella Parola e la dedizione all’unico Signore. Sono queste le due virtù che sconfiggono Satana, e sono al tempo stesso i due atteggiamenti sui quali la missione della Chiesa deve confidare. Lo Spirito non percorre altre strade.
“Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Lc 4,13). La prova si riproporrà nella vita di Gesù e, più tardi, nella vita della comunità dei discepoli. Tutta la vita di Gesù e accompagnata dalla prova, come egli stesso dirà ai discepoli: ”Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mia prove” (Lc 22,29). Una prova insistente proveniente da varie parti (da Satana, da scribi e farisei, dalla gente) e sempre uguale: distogliere Gesù dalla fiducia nella Parola di Dio e indurlo a percorrere strade umanamente più promettenti. Ma il tempo della prova è soprattutto la Passione che Luca definisce “l’ora vostra, e il potere delle tenebre” (Lc 22,53). Una prova che Gesù supera nella preghiera (Getzemani) e nel più completo e fiducioso abbandono nelle mani del Padre.
Buona Domenica e buon cammino di Quaresima nell’ascolto della Parola di Dio. Mons. Pietro Romanello, Canonico del Capitolo Metropolitano
LE OPERE DELLA PENITENZA QUARESIMALE
Nel V secolo S. Pietro Crisologo afferma: “Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia è la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia” (Discorso 43).
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