Mandi, pre’ Pieri

Il mio ricordo di don Pietro risale ad un tempo molto lontano, agli anni del Seminario quando lui ormai stava portando a termine il suo percorso di formazione al sacerdozio ed io frequentavo ancora il liceo. Tra classi così distanti  non c’era comunicazione anche per una certa soggezione che noi più giovani avevamo di fronte ai chierici che erano vicini alla Ordinazione presbiterale. Sapevo che proveniva da Moruzzo.

Ci siamo incontrati realmente nel 1975, quando don Pietro è diventato Parroco di S. Giovanni al Natisone ed io stavo muovendo i primi passi come parroco di Pavia di Udine, due paesi che, a quel tempo, appartenevano alla stessa Forania di Rosazzo-Manzano. Questa appartenenza ci ha offerto l’occasione di conoscerci meglio attraverso gli incontri mensili dei sacerdoti e le visite occasionali. Quando divenni Vicario di quella Forania, mi suggerì di non limitare gli incontri dei sacerdoti a qualche ora soltanto per ascoltare un relatore, discutere di cose certo interessanti legate alla nostra vita pastorale ed ai cambiamenti di quegli anni del post-concilio ma di dedicare a noi stessi qualche momento di relax… per conoscerci meglio in un clima di amicizia. La proposta era piaciuta a tutti e diverse volte abbiamo colto l’occasione per momenti di riposo e allegria trascorsi insieme in fraternità in una casa di proprietà di suoi amici, sulle colline nei dintorni di S. Giovanni al Natisone dove lui ci faceva trovare un pranzo sempre innaffiato da un buon bicchier di vino che, da quelle parti, si gradisce sempre volentieri per la sua bontà… Alle volte comparivano anche le carte da gioco per una “briscola o un tresette” e così si trascorreva qualche ora nel pomeriggio in armonia. Racconto questo con una certa nostalgia perché mi è sempre piaciuta l’amicizia non solo con “gli amici più stretti” ma anche quella più allargata e altrettanto importante, motivata non da simpatia reciproca né da condivisione di idee e di opinioni uguali, ma originata da un legame spirituale che è la medesima partecipazione al sacerdozio di Cristo nell’Ordine del Presbiterato. Questo legame sacramentale poi si estende e si palesa in una collaborazione fattiva nella stessa chiesa diocesana e viene ancor più arricchito da una accoglienza umana, reciproca e cordiale, ricca di stima, che aiuta a smussare tensioni e a superare gelosie e ad evitare inutili chiacchiere e pettegolezzi che portano ad affievolire o addirittura a dimenticare il senso della nostra appartenenza ad una chiesa che è in missione.  Mi è sempre piaciuta l’umanità di quei preti che, pur deboli e difettosi, sono ricchi nel cuore.

Ma torniamo a noi. Circa 5 anni fa don Pietro, pur con dispiacere, scese da Sappada a Udine, dopo 20 anni di servizio pastorale in quella Parrocchia così lontana dalla città e ai confini della Diocesi. Lì aveva dedicato una parte della sua vita. Venne ad abitare al 2° piano della casa canonica in via di Prampero, assieme alla sua fedele collaboratrice famigliare Marilena che lo ha accudito per tanti anni ed ha tenuto aperta la porta della canonica,se mai fosse stato necessario, perché la casa di D. Pietro era sempre aperta. Certamente la città non è il paese, i rapporti con le persone vanno alle volte cercati, creati e consolidati nel tempo, la conoscenza delle persone non è immediata. Ha bisogno di tempo. Don Pietro mi disse subito che avrebbe voluto collaborare in parrocchia al di là dell’impegno di canonico nella preghiera delle Lodi ogni giorno e del ministero della Confessione due volte alla settimana. Gli affidai volentieri la celebrazione della S. Messa delle ore 12 alla domenica, impegno che mantenne finché la salute glielo ha permesso. Devo dire che le sue omelie erano gradite perché con uno studio storico-scientifico dei testi condotto con semplicità e presentato con termini alla portata di tutti, diventavano interessanti, senza trascurare la parte esortativa che nasceva quasi naturalmente dalla parte dottrinale ben interpretata. Una volta alla settimana, per lunghi periodi ci ha aiutati nella esperienza di “lectio divina”, seguendo i programmi diocesani. Credo che per lui fosse chiara la mia responsabilità di Parroco, per cui sapeva mantenere il suo posto; non è mai stato invadente, come d’altronde anche io da parte mia ho avuto per lui il rispetto che gli dovevo come confratello e come persona più anziana di me. Il rispetto reciproco della persona e dei vari ruoli sta alla base della relazione autentica e sincera e della vera amicizia nei rapporti pastorali. Se si accorgeva che a qualche domanda o curiosità io rispondevo in modo evasivo, quando alla domenica sera salivo a trovarlo, non insisteva ma con un astuto sorriso cambiava discorso.

Era un sacerdote intelligente, piuttosto arguto e alle volte anche punzecchiante se non graffiante, certamente ironico ma non acido,. Se non capito, poteva essere frainteso e creare risentimenti. E lui si rendeva conto ma faceva parte del suo carattere e perciò gli era difficile porre sempre attenzione e correggersi. Capace di minimizzare le situazioni mi raccomandava di non affannarmi tanto per la pastorale.

Potrei dire altro ma non mi dilungo anche per non annoiare. Vorrei però che rimanesse in tutti un buon ricordo di don Pietro, al quale con voi dico grazie. Ora non ci resta che pregare per lui e lui prega per noi.

La S. Messa del funerale, presieduta dal Vicario Generale in assenza dell’ Arcivescovo pellegrino a Lourdes, venerdì scorso al mattino  in cattedrale, è stata ben partecipata da oltre trenta sacerdoti, dai canonici del Capitolo Metropolitano e da tanta gente proveniente anche dalle Parrocchie dove don Pietro ha svolto la sua attività pastorale: Latisana, Bordano, S. Giovanni al Natisone, Sappada. A Sappada è stato un trionfo, la gente non l’ha dimenticato e commossa gremiva la chiesa, dove di nuovo abbiamo celebrato la S. Messa presieduta dal sappadino Mons. Pietro Piller, Vicario foraneo della montagna.

Ora riposa nel cimitero di Sappada. Certamente non mancheranno i fiori sulla sua tomba nelle belle stagioni e d’inverno scenderà la neve a dipingere di candore le case, le lapidi e le croci del cimitero e tutto il paesaggio e come soffice coltre custodirà nel silenzio le sue spoglie mortali fino al giorno della resurrezione.

E cumò, pre’ Pieri, duar in pas.

Cordialmente.  D. Luciano Nobile.

“È BELLO PER NOI ESSERE QUI”

Esercizi spirituali per giovani dai 18 ai 30 anni, promossi dal   Vicariato Urbano

Casa Stella Maris” – Lentiai (BL) = 2-5 settembre. (www.pgudine.it)

SOLENNITA’ DEI SANTI PATRONI ERMACORA E FORTUNATO

GIOVEDI’ 11 LUGLIO

ore 20.30 in Cattedrale

Canto dei primi Vespri dei Santi Patroni

L’Arcivescovo S.E. Mons. Andrea Bruno Mazzocato annuncerà il tema del prossimo anno liturgico

 

VENERDI’ 12 LUGLIO

Ore 10.30 in Cattedrale

S. Messa presieduta dall’Arcivescovo

Benedizione della città.

 

Storia

IMPARIAMO A RINGRAZIARE….NON A LAMENTARCI

 

Carissimi parrocchiani,

al termine dell’anno pastorale 2018-19 ringrazio il Signore con voi per tutti i momenti di grazia che ci ha elargito e per le difficoltà superate. Anche quelle non superate sono una grazia perché ci aiutano ad essere umili e a ricorrere a Lui. Mi è gradito poter ringraziare anche tutte le persone che si sono dedicate affinché la parrocchia potesse godere di quei servizi che sono necessari alla sua vita. Chi resta all’esterno come spettatore, al balcone, e guarda alla chiesa come ad un ente che eroga servizi al momento del bisogno purtroppo non ha compreso chi sia la Chiesa, non si accorge della vitalità che la anima e dello Spirito che agisce nel silenzio e trasforma le persone. Chi vive relazioni sincere, animate dallo Spirito di Dio, riceve la capacità di vedere al di là di ciò che appare in superficie. Così nelle famiglie, nel lavoro, nella scuola dove i cristiani danno la loro testimonianza, sorretti dall’incontro con Dio nell’Eucaristia domenicale e con le persone che vivono la stessa fede. Mi pare di dover dire un grazie, non convenzionale, ma riconoscente da parte di tutta la comunità a coloro che hanno condiviso da vicino l’azione pastorale della chiesa.

Sono i canonici che attendono alle confessioni, i sacerdoti che celebrano i sacramenti, il Consiglio pastorale ed il consiglio per gli affari economici, i catechisti dei bambini, dei giovani e degli adulti per la crescita nella vita della fede, le Suore, coloro che curano la Liturgia domenicale (lettori, chierichetti, ministri della Comunione Eucaristica, cantori, organisti, i Pueri cantores, la Cappella musicale, l’Aquileiensis Chorus, la Schola dilecta, i piccolo coro dei giovani africani), i sagrestani e coloro che addobbano gli altari con i fiori, coloro che ci rappresentano nel volontariato caritativo presso il Fogolar che accoglie persone senza fissa dimora, coloro che sostengono l’adorazione eucaristica nella chiesa di S. Pietro martire ogni sabato sera. Non posso dimenticare chi cura il sito della Parrocchia e chi prepara e stampa questo foglietto tutte le domeniche.

 “Gli amici della cattedrale” tengono aperte le porte ed accolgono i visitatori del nostro Museo e delle nostre chiese ed attendono che altri vogliano partecipare a questa attività culturale. Anche coloro che tutti i giorni vengono alla S. Messa sostengono con la preghiera la nostra comunità. Nella nostra parrocchia trovano un punto di riferimento i sordi che godono di una assistenza spirituale e culturale ormai consolidata e di una segreteria efficiente, grazie anche ad una segretaria zelante e ad una interprete ammirevole che presta mensilmente il suo servizio gratuito. L’Associazione dei Templari Cattolici tiene aperta la chiesa di S. Cristoforo il venerdì ed il sabato e verso sera anima la preghiera dei Vesperi. Spero di non aver dimenticato qualcuno. Non voglio fare elogi inutili e fare nomi ma soltanto evidenziare quanta ricchezza venga donata nella nostra comunità parrocchiale, che può sembrare così anonima ma in effetti, per chi lo vuole, offre possibilità di crescita nella vita cristiana e di collaborazione. Siamo tutti in missione. Non è vanagloria fermarci a rendere grazie al Signore per quello che Egli opera in mezzo a noi tramite le persone che vivono con noi. La loro testimonianza possa essere contagiosa e porti frutti abbondanti di bene.

A tutti un grazie cordiale da parte mia e di coloro che possono usufruire del servizio di tante persone che aiutano a passare dall’individualismo ad un atteggiamento di apertura e di amore verso gli altri.

Auguro a tutti di poter godere un momento di riposo per riprendere il cammino con maggiore alacrità nel prossimo anno pastorale. Cordialmente.                                                                                     Don Luciano, parroco.

“Il Signore ha lasciato ai suoi un segno di speranza ed un viatico per il cammino nel sacramento della fede in cui elementi naturali, coltivati dall’uomo, vengono trasformati nel corpo e nel sangue glorioso di Lui, in un banchetto di comunione fraterna che è pregustazione del convito celeste. (Gaudium et spes 38). L’Eucaristia sostiene il nostro cammino, infonde speranza e fiducia nei nostri cuori perché non veniamo meno nei momenti difficili. Il racconto della moltiplicazione dei pani prefigura i gesti propri dell’ultima cena e della celebrazione eucaristica. Gesù nutre una folla immensa in un luogo deserto e coinvolge in questo atto sublime di carità i suoi discepoli, anticipando così la missione della chiesa nel mondo. Noi fin d’ora possiamo pregustare i beni del convito celeste nell’attesa del ritorno glorioso di Cristo. “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete a questo calice voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. (1Cor 11,26)

Superare le divisioni e le frontiere

 

«So che alcuni di voi sono credenti, altri non tanto, ma io dirò ai credenti: pregate per l’Europa, pregate per l’Europa, per l’unità. Che il Signore ci dia la grazia. Ai non credenti: augurate la buona volontà, l’augurio del cuore, il desiderio che l’Europa torni ad essere il sogno dei Padri fondatori». Così Papa Francesco ha concluso la conferenza stampa nel viaggio aereo di ritorno dalla Romania. Sulle spinte ideologiche ed esterne che cercano di dividere e fare a pezzi l’Europa, Papa Francesco ha detto: «Bisogna riprendere lo spirito dei Padri fondatori. L’Europa ha bisogno di sé stessa, di essere sé stessa, della propria identità, della propria unità, e superare le divisioni e le frontiere», perché «stiamo vedendo delle frontiere in Europa: questo non fa bene. Nemmeno frontiere culturali, non fanno bene…». «È vero – ha aggiunto il Papa – che ogni Paese ha la propria cultura e deve custodirla, ma con lo spirito del poliedro: c’è una globalizzazione dove si rispettano le culture di tutti, ma tutti uniti. Per favore, l’Europa non si lasci vincere dal pessimismo o dalle ideologie, perché l’Europa, in questo momento, è attaccata non con cannoni o bombe ma con ideologie: ideologie che non sono europee, che vengono da fuori o nascono in gruppetti europei, ma non sono grandi». Ha spiegato il Pontefice: «Pensate all’Europa, divisa e belligerante, del ‘14 e del ‘32-’33 fino al ‘39, quando è scoppiata la guerra… Ma non torniamo a questo, per favore! Impariamo dalla storia. Non cadiamo nella stessa buca. L’altra volta vi ho detto che si dice che l’unico animale che cade due volte nella stessa buca è l’uomo: l’asino mai lo fa!». Alla domanda su quali dovrebbero essere i rapporti tra le confessioni, in modo particolare tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa, il rapporto tra le varie etnie e il rapporto tra il mondo politico e la società civile, Papa Francesco ha risposto chiaramente: «In genere, io direi, il rapporto della mano tesa. (…) Si deve fare un processo di avvicinamento, sempre: tra le diverse etnie, le diverse confessioni religiose, soprattutto le due cristiane… Questa è la prima cosa: sempre la mano tesa, l’ascolto dell’altro». La Chiesa Ortodossa – ha osservato – ha un grande Patriarca: «un uomo di grande cuore e un grande studioso. Conosce la mistica dei Padri del deserto, la mistica spirituale, ha studiato in Germania… È anche un uomo di preghiera. È facile avvicinarsi a Daniel, è facile, perché io lo sento fratello e noi abbiamo parlato come fratelli».

«Io – ha sottolineato il Papa – non dirò: “Ma perché voi…”, e lui non dirà: “Ma perché voi…”. Andiamo insieme! Avendo sempre questa idea: l’ecumenismo non è arrivare alla fine della partita, delle discussioni. L’ecumenismo si fa camminando insieme. Camminando insieme. Pregando insieme. l’ecumenismo della preghiera. Abbiamo nella storia l’ecumenismo del sangue: quando uccidevano i cristiani non domandavano: “Tu sei ortodosso? Tu sei cattolico? Tu sei luterano? Tu sei anglicano?”. No. “Tu sei cristiano”, e il sangue si mischiava. Un ecumenismo della testimonianza, è un altro ecumenismo. Della preghiera, del sangue, della testimonianza…». «Poi – ha precisato il Pontefice – c’è l’ecumenismo del povero, come lo chiamo io, che è lavorare insieme, in quello che possiamo, lavorare per aiutare gli ammalati, gli infermi, la gente che è un po’ al margine del minimo benessere: aiutare. Questo è un bel programma ecumenico, no? Camminare insieme, e questo è già unità dei cristiani». Dopo aver raccontato di diffuse manifestazioni di collaborazione e celebrazioni tra Vescovi luterani, ortodossi e cattolici, il Papa ha esclamato: «Ma non aspettare che i teologi si mettano d’accordo per arrivare all’Eucaristia. L’Eucaristia si fa tutti i giorni con la preghiera, con la memoria del sangue dei nostri martiri, con le opere di carità e anche volendosi bene!». «Quando io ero a Buenos Aires – ha raccontato Bergoglio – sono stato invitato dalla Chiesa scozzese a fare parecchie prediche, e andavo lì, facevo la predica… Si può! Si può camminare insieme. Unità, fratellanza, mano tesa, guardarsi con bontà, non sparlare degli altri… Difetti ne abbiamo tutti, tutti. Ma se camminiamo insieme, i difetti li lasciamo da parte». «Io – ha affermato il Papa – ho l’esperienza di preghiera con tanti, tanti pastori luterani, evangelici e anche ortodossi. I Patriarchi sono aperti. Sì, anche noi cattolici abbiamo gente chiusa, che non vuole e dicono: “No, gli ortodossi sono scismatici”. Sono cose vecchie. Gli ortodossi sono cristiani. Ma ci sono dei gruppi cattolici un po’ integralisti: dobbiamo tollerarli, pregare per loro perché il Signore e lo Spirito Santo ammorbidiscano un po’ il cuore».                                                   (Antonio Gaspari)

Carissimi fedeli,

prosegue anche oggi il messaggio di Papa Francesco sulle comunicazioni sociali. Egli eleva il discorso fino a portarci alla contemplazione della Santissima Trinità dove troviamo la sorgente della unità anche tra di noi, della comunione e della comunicazione, delle relazioni interpersonali.

La Solennità di Pentecoste, che oggi celebriamo, giunge proprio a tema, infatti ci riporta allo Spirito di amore infinito ed eterno che intercorre tra il Padre ed il Figlio e che viene a noi stessi donato. L’invito del Papa, verso la fine di questo testo, è quanto mai opportuno ed estremamente pratico: ”Apriamo la strada al dialogo, all’incontro, al sorriso, alla carezza… Questa è la rete che vogliamo”. È una rete che tutti possiamo costruire ed adoperare, ogni giorno. Non occorrono tante competenze tecniche ma l’accoglienza umile dell’amore di Dio. Per questo vi auguro una buona Pentecoste!

Cordialmente.                                                                                                                                    Il Parroco don Luciano

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

(SECONDA PARTE)

“Siamo membra gli uni degli altri”

Una possibile risposta può essere abbozzata a partire da una terza metafora, quella del corpo e delle membra, che San Paolo usa per parlare della relazione di reciprocità tra le persone, fondata in un organismo che le unisce. «Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). L’essere membra gli uni degli altri è la motivazione profonda, con la quale l’Apostolo esorta a deporre la menzogna e a dire la verità: l’obbligo a custodire la verità nasce dall’esigenza di non smentire la reciproca relazione di comunione. La verità infatti si rivela nella comunione. La menzogna invece è rifiuto egoistico di riconoscere la propria appartenenza al corpo; è rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unica via per trovare se stessi.

La metafora del corpo e delle membra ci porta a riflettere sulla nostra identità, che è fondata sulla comunione e sull’alterità. Come cristiani ci riconosciamo tutti membra dell’unico corpo di cui Cristo è il capo. Questo ci aiuta a non vedere le persone come potenziali concorrenti, ma a considerare anche i nemici come persone. Non c’è più bisogno dell’avversario per auto-definirsi, perché lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo nuovo, come parte integrante e condizione della relazione e della prossimità. Tale capacità di comprensione e di comunicazione tra le persone umane ha il suo fondamento nella comunione di amore tra le Persone divine. Dio non è Solitudine, ma Comunione; è Amore, e perciò comunicazione, perché l’amore sempre comunica, anzi comunica se stesso per incontrare l’altro. Per comunicare con noi e per comunicarsi a noi Dio si adatta al nostro linguaggio, stabilendo nella storia un vero e proprio dialogo con l’umanità (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 2).

In virtù del nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio che è comunione e comunicazione-di-sé, noi portiamo sempre nel cuore la nostalgia di vivere in comunione, di appartenere a una comunità. «Nulla, infatti – afferma San Basilio –, è così specifico della nostra natura quanto l’entrare in rapporto gli uni con gli altri, l’aver bisogno gli uni degli altri».

Il contesto attuale chiama tutti noi a investire sulle relazioni, ad affermare anche nella rete e attraverso la rete il carattere interpersonale della nostra umanità. A maggior ragione noi cristiani siamo chiamati a manifestare quella comunione che segna la nostra identità di credenti. La fede stessa, infatti, è una relazione, un incontro; e sotto la spinta dell’amore di Dio noi possiamo comunicare, accogliere e comprendere il dono dell’altro e corrispondervi. È proprio la comunione a immagine della Trinità che distingue la persona dall’individuo. Dalla fede in un Dio che è Trinità consegue che per essere me stesso ho bisogno dell’altro. Sono veramente umano, veramente personale, solo se mi relaziono agli altri. Il termine persona denota infatti l’essere umano come “volto”, rivolto verso l’altro, coinvolto con gli altri. La nostra vita cresce in umanità col passare dal carattere individuale a quello personale; l’autentico cammino di umanizzazione va dall’individuo che percepisce l’altro come rivale, alla persona che lo riconosce come compagno di viaggio.

Dal “like” all ’“amen”

L’immagine del corpo e delle membra ci ricorda che l’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce se stessa e rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Se la rete è occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza fisicamente lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta di ciò che ci unisce, allora è una risorsa.

Così possiamo passare dalla diagnosi alla terapia: aprendo la strada al dialogo, all’incontro, al sorriso, alla carezza… Questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”, ma sulla verità, sull’“amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri.   (Papa Francesco).

 

 

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Carissimi fedeli,

in queste due domeniche mi sembra giusto dare spazio al messaggio del Papa in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali e della S. Messa con tutti i gruppi etnici cattolici presenti nella nostra Arcidiocesi, che si celebrano proprio oggi.  Il messaggio è ricco di spunti per la meditazione e per una educazione di noi stessi circa l’uso di questi strumenti che sono una opportunità e possono diventare un rischio. Ci possono aprire o chiudere alle vere relazioni. E poi la Pentecoste è la Solennità della comunicazione dello Spirito Santo alla chiesa. Lo Spirito di Dio unisce tutti nel suo amore superando la dispersione delle lingue. Vi esorto a leggere il messaggio del Papa, vi invito a partecipare alla Novena di Pentecoste che ha luogo ogni sera alle ore 19.00 (giorni feriali alla Purità e sabato e domenica in Cattedrale) e vi saluto con cordialità, augurandovi una bella domenica ed una buona settimana.

Il Parroco don Luciano Nobile

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

PER LA 53ma GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

« “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). 
Dalle social network communities alla comunità umana »

 

Cari fratelli e sorelle, da quando internet è stato disponibile, la Chiesa ha sempre cercato di promuoverne l’uso a servizio dell’incontro tra le persone e della solidarietà tra tutti. Con questo Messaggio vorrei invitarvi ancora una volta a riflettere sul fondamento e l’importanza del nostro essere-in-relazione e a riscoprire, nella vastità delle sfide dell’attuale contesto comunicativo, il desiderio dell’uomo che non vuole rimanere nella propria solitudine.

Le metafore della “rete” e della “comunità”

L’ambiente mediale oggi è talmente pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano. La rete è una risorsa del nostro tempo. E’ una fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili. Numerosi esperti però, a proposito delle profonde trasformazioni impresse dalla tecnologia alle logiche di produzione, circolazione e fruizione dei contenuti, evidenziano anche i rischi che minacciano la ricerca e la condivisione di una informazione autentica su scala globale. Se internet rappresenta una possibilità straordinaria di accesso al sapere, è vero anche che si è rivelato come uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali, che spesso assumono la forma del discredito.

Occorre riconoscere che le reti sociali, se per un verso servono a collegarci di più, a farci ritrovare e aiutare gli uni gli altri, per l’altro si prestano anche ad un uso manipolatorio dei dati personali, finalizzato a ottenere vantaggi sul piano politico o economico, senza il dovuto rispetto della persona e dei suoi diritti. Tra i più giovani le statistiche rivelano che un ragazzo su quattro è coinvolto in episodi di cyberbullismo.

Nella complessità di questo scenario può essere utile tornare a riflettere sulla metafora della rete posta inizialmente a fondamento di internet, per riscoprirne le potenzialità positive. La figura della rete ci invita a riflettere sulla molteplicità dei percorsi e dei nodi che ne assicurano la tenuta, in assenza di un centro, di una struttura di tipo gerarchico, di un’organizzazione di tipo verticale. La rete funziona grazie alla compartecipazione di tutti gli elementi.

Ricondotta alla dimensione antropologica, la metafora della rete richiama un’altra figura densa di significati: quella della comunità. Una comunità è tanto più forte quanto più è coesa e solidale, animata da sentimenti di fiducia e persegue obiettivi condivisi. La comunità come rete solidale richiede l’ascolto reciproco e il dialogo, basato sull’uso responsabile del linguaggio.

È a tutti evidente come, nello scenario attuale, la social network community non sia automaticamente sinonimo di comunità. Nei casi migliori le community riescono a dare prova di coesione e solidarietà, ma spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli. Inoltre, nel social web troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio. Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo.

La rete è un’occasione per promuovere l’incontro con gli altri, ma può anche potenziare il nostro autoisolamento, come una ragnatela capace di intrappolare. Sono i ragazzi ad essere più esposti all’illusione che il social web possa appagarli totalmente sul piano relazionale, fino al fenomeno pericoloso dei giovani “eremiti sociali” che rischiano di estraniarsi completamente dalla società. Questa dinamica drammatica manifesta un grave strappo nel tessuto relazionale della società, una lacerazione che non possiamo ignorare.

Questa realtà multiforme e insidiosa pone diverse questioni di carattere etico, sociale, giuridico, politico, economico, e interpella anche la Chiesa. Mentre i governi cercano le vie di regolamentazione legale per salvare la visione originaria di una rete libera, aperta e sicura, tutti abbiamo la possibilità e la responsabilità di favorirne un uso positivo. È chiaro che non basta moltiplicare le connessioni perché aumenti anche la comprensione reciproca. Come ritrovare, dunque, la vera identità comunitaria nella consapevolezza della responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri anche nella rete online?

(continua la prossima settimana)