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6a Domenica del Tempo Ordinario

“DA CUORE A CUORE”

“Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?” (Sermo 241, 2)

La creazione è un libro aperto che narra la gloria di Dio. Le montagne, i fiumi, il cielo stellato non fanno sermoni, eppure evangelizzano. Dicono “guardaci”, e poi “guarda oltre noi”; traspare che questa bellezza non è fine a sé stessa, è rimando, segno, traccia. È una riflessione che si fa poche volte, preferiamo interrogare il creato solo per dominarlo. Ne misuriamo solo le risorse, ne calcoliamo solo l’utilità. Manca lo sguardo contemplativo, quello capace di lasciarsi ferire dalla meraviglia. Così il mondo diventa muto, non perché abbia smesso di parlare, ma perché il cuore è diventato sordo. “Non è il mondo che è povero, è l’occhio che è spento”, dicevano i Padri del deserto.

Il segno del creato

Per Agostino, ogni realtà creata è un segno (signum), una freccia che indica l’Invisibile. Chi si ferma alla bellezza visibile e non va oltre, non ha compreso il messaggio. “Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?” chiede il vescovo di Ippona. È la domanda decisiva: il creato è bello, ma la sua bellezza è fragile, passeggera. Fiori che appassiscono, cieli che mutano, mari che si agitano. Ma poi torna sempre l’equilibrio; la natura, pur attraversando periodi di grande turbamento, sa rigenerarsi, rinnovando continuamente la sua bellezza. Ogni catastrofe, ogni ciclicità del tempo, sembra solo un passaggio che prepara il terreno per un nuovo inizio. In questa instabilità apparente, nella continua rinascita delle stagioni e nel ritorno del silenzio dopo il fragore, si rivela la ‘Bellezza Immutabile’, quella che è la vera sorgente di tutto ciò che è il creato. La fragilità non è mai fine a se stessa, ma diventa il riflesso di una perfezione che rimane intatta, al di là del cambiamento e della morte.

Agostino, con la sua profonda conoscenza del cuore umano, vede nell’orgoglio la radice di ogni rovina, anche la rovina della terra. “L’uomo superbo non è mai custode, è sempre predatore. Perché il superbo non sa amare, sa solo possedere. Possiede la terra, la sfrutta, la svuota.” Ma chi vive per il possesso distrugge ciò che ama. Il creato non è una miniera, ma un magnifico monumento, una casa in cui siamo ospiti. Il mondo è dono di Dio, affidato alla nostra responsabilità, affinché lo custodiamo e ne traiamo beneficio con rispetto. La questione ecologica è, in fondo, una questione morale. Non si può amare il Creatore e calpestare la sua opera. “Non si può adorare Cristo e distruggere la terra su cui Egli è passato, i cieli sotto cui ha pregato, il mare che ha placato”.

 Contemplazione e conversione Ma come tornare a un rapporto giusto con il creato? Non basta la tecnica, non bastano le leggi. Serve una conversione dello sguardo. La radice della crisi ecologica è una crisi spirituale. Abbiamo perso il senso del mondo come theophania, epifania, manifestazione di Dio. Abbiamo smarrito la capacità di stupirci. “Interroga la bellezza”. Non osservare soltanto. Interroga. Ascolta. “Contemplare il creato è pregare con gli occhi”, è, continua Agostino, vedere il cielo non solo come spazio, ma come promessa. È sentire l’oceano non solo come massa d’acqua, ma come profondità del mistero. È riconoscere che ogni fiore, ogni albero, ogni animale è una parola di Dio. Per questo la custodia del creato è inseparabile dalla custodia del cuore. Non c’è una vera ecologia della terra senza un’ecologia dello spirito. La violenza verso la natura nasce dalla violenza interiore, dall’avidità, dall’egoismo, dalla mancanza di pace. È inutile piantare alberi fuori, se lasciamo seccare l’albero della nostra anima. Agostino direbbe: inizia dal cuore. Non puoi amare il creato se non ami il Creatore. Non puoi custodire la terra se non impari a custodire te stesso. Il primo giardino da coltivare è l’anima. Il mondo è lo spazio che non ha bisogno di noi, ma in cui noi siamo venuti a stare; si è lasciato plasmare, adattandosi alla nostra presenza. E anche adesso, che lo abbiamo modificato per trovare il nostro posto, ci chiede soltanto di riconoscere il suo ordine, di viverlo con rispetto. La creazione è una presenza che ci accoglie, non un semplice strumento da utilizzare, ma un bene da custodire con gratitudine. “Interroga la bellezza”, ci invita Agostino, ricordandoci che, se sapremo contemplarlo, il creato avrà molto da dirci.

Francesco Palazzolo