2^ Domenica di Quaresima
“DA CUORE A CUORE”
Nel silenzio Dio parla
“Se vuoi ascoltare la parola di Dio, taci!”.
Sant’Agostino, Sermones 52,16
Un invito caloroso, quello del vescovo di Ippona, che lascia poco spazio all’interpretazione del significato. Ci invita piuttosto all’esplorazione della sua profondità. Il “tacere” a cui ci invita suggerisce una riflessione a più livelli perché, in fin dei conti, il silenzio non è semplicemente l’assenza di suoni o parole, ma rappresenta un momento di apertura interiore, in cui la mente e il cuore si liberano dalle distrazioni, diventando pronti ad accogliere la presenza divina. Il silenzio è il luogo dell’incontro. È lo spazio vuoto che permette alla Parola di attecchire. Pensiamo a Mosè davanti al roveto ardente (Es 3,2). Dio non gli parla nel frastuono, ma in quel silenzio carico di mistero. E Mosè, per ascoltare, deve togliersi i sandali: un gesto che è segno di spoliazione, di umiltà. Anche noi, per ascoltare Dio, dobbiamo “togliere le scarpe” delle distrazioni, delle parole inutili, delle preoccupazioni che ci affollano la mente. Agostino, nel De Trinitate, scrive che l’anima trova Dio “nel segreto più intimo di se stessa”, e che questo segreto si apre solo nel silenzio. È come se la parola di Dio fosse un seme: non può crescere in un terreno rumoroso, battuto e sturo, ha bisogno di profondità e raccoglimento. Ecco perché Gesù, prima di iniziare la sua missione, si ritira nel deserto per quaranta giorni (Mc 1,12-13). Il silenzio diventa il punto di partenza, il tempo necessario per lasciare che “la voce del Padre risuoni senza interferenze”. I monaci del deserto lo sapevano bene: il silenzio è un’arte. “Fuggi, taci, riposa” diceva Abbà Arsenio. Fuggire non nel senso di scappare dal mondo, ma dal superfluo, da ciò che appesantisce l’anima. Tacere, non per disinteresse, ma per imparare ad ascoltare. E riposare, cioè lasciare che il cuore si distenda, che smetta di agitarsi inutilmente. È in questo spazio che Dio parla.
Un gesto di purificazione
L’assenza di parole, però, da sola non basta: ci vuole lavoro interiore. Agostino scrive: “Ritorna al tuo cuore, e in esso troverai Dio” (Sermones 311,13). Ma il cuore è spesso un luogo caotico. Pensieri che si accavallano, desideri che ci trascinano da una parte all’altra, paure che fanno rumore anche quando tutto è tranquillo. Il silenzio diventa allora una purificazione: un tempo in cui lasciar decantare l’anima. San Giovanni della Croce parla della “notte oscura” come di un tempo in cui Dio priva l’anima di ogni consolazione sensibile per insegnarle a cercarlo in profondità. È come se Dio ci dicesse: “Non ti parlo nel modo in cui vorresti, perché voglio che tu impari a cercarmi oltre le emozioni”. Quando tutto tace, il cuore impara a distinguere la voce di Dio, questo vuoto ci mette di fronte a noi stessi, senza scuse. Quando smettiamo di parlare, emergono le domande vere: “Chi sono? Cosa cerco? Di cosa ho paura? ecc.”. È un processo che può fare paura, perché ci costringe a guardare in faccia le nostre fragilità. Ma è proprio lì che Dio ci aspetta; lo sappiamo dalla Bibbia: Dio parla spesso ai suoi profeti nel deserto: uno spazio vuoto, dove non ci si può nascondere. E così è il silenzio: un deserto interiore dove, poco a poco, impariamo a riconoscere la voce che ci chiama per nome. È da notare che i monaci chiamavano il silenzio hesychia, cioè “quiete”, a sua volta definita come il risultato di una lotta. Chi sceglie il silenzio scopre presto quanto sia difficile restarci. Ma è proprio in questa fatica che l’anima si rafforza. Perché il silenzio ci educa: ci insegna la pazienza, la perseveranza, l’umiltà di non pretendere risposte immediate.
Presenza discreta di Dio
Alla fine, il silenzio diventa un’esperienza di presenza. San Francesco d’Assisi, nei momenti più difficili, si ritirava in silenzio nei boschi o nelle grotte. Non cercava risposte immediate, ma lasciava che il silenzio lo riconducesse all’essenziale. E spesso tornava con una pace profonda, frutto non di parole nuove, ma della riscoperta della presenza di Dio nelle cose semplici. Anche nella vita di ogni giorno, il silenzio può diventare uno spazio di incontro. Non serve invero granché: basta proprio dedicarvi qualche momento. Fermarsi qualche minuto in chiesa dopo la Messa, senza correre subito via. Camminare lasciando che solo il respiro e i passi restino a cadenzare il pensiero. Oppure spegnere il cellulare la sera e restare qualche istante in silenzio prima di dormire, lasciando che la giornata decanti davanti a Dio. Sono momenti in cui non succede nulla di straordinario, ma sono un buon esercizio per il cuore. A poco a poco impariamo a stare con noi stessi senza scappare, a lasciare che i pensieri si plachino, a riconoscere quella pace sottile che arriva quando smettiamo di riempire tutto con le parole. E lì, in quel silenzio quotidiano e discreto, ci accorgiamo che Dio è presente. “Se vuoi ascoltare la parola di Dio, taci!” È un invito che vale per tutti, perché il silenzio è una scuola che ci insegna a vivere meglio. Ci rende più attenti, più presenti, più capaci di accogliere l’altro senza dover sempre dire la nostra. Ci aiuta a ridimensionare i problemi, a trovare pace nelle difficoltà, a riscoprire la bellezza delle cose piccole. E, soprattutto, ci apre alla voce più importante, che ha tutto un altro linguaggio. “Quando ci si chiama fra noi uomini, la chiamata è chiarissima. Quando chiama Dio, la cosa è diversa; niente di scritto o di forte o di evidentissimo: un sussurro lieve, un pianissimo che sfiora l’anima.” (Giovanni Paolo I).
Francesco Palazzolo